Oggetto principale dell’attività
Tale criterio ha natura residuale e si applica quando in base agli altri due criteri la società/ente non risulta localizzata in Italia.
Per oggetto principale si intende l’attività essenziale per realizzare direttamente gli scopi indicati dalla legge, dall’atto costitutivo o dallo statuto artt. 5, c. 3 lett. d), e 73, c. 4 – secondo periodo, tuir.
In mancanza dell’atto costitutivo o dello statuto, l’oggetto principale dell’attività è determinato in base all’attività effettivamente esercitata (principalità dell’oggetto) nel territorio dello Stato (artt. 5, c. 3 lett. d, e 73, c. 5, tuir).
Se l’atto costitutivo o lo statuto della società/ente prevedono lo svolgimento di più attività, occorre fare riferimento a quella che è ritenuta essenziale per il raggiungimento dei suoi scopi primari e che lo tipizzano.
In tale contesto è utile anche precisare che cosa si intenda con principalità dell’oggetto.
Può accadere che l’attività svolta in Italia e negli altri Paesi sia quantitativamente prevalente rispetto a ciascuna attività svolta all’estero, ma non rispetto all’insieme delle attività della società (prevalenza relativa).
- La dottrina civilistica risolve il problema ritenendo che sia prevalente l’oggetto sociale svolto in Italia.
- Dal punto di vista fiscale, invece, la soluzione non è così agevole in quanto il requisito (fiscale) deve essere verificato con riferimento ad elementi quantitativi e qualitativi per individuare nell’attività globale dell’impresa il suo nucleo principale.
In base a quanto sopra detto si evince che, nel caso di mancanza di sede legale od amministrativa, i requisiti per poter considerare residente in Italia una società sono i seguenti:
- principalità delle attività svolte in Italia rispetto alle attività svolte all’estero con riferimento all’atto costitutivo;
- in assenza di indicazioni nell’atto costitutivo, principalità delle attività svolte in Italia rispetto alle attività svolte all’estero in base ad un’analisi sostanziale;
- mantenimento della principalità per la maggior parte del periodo d’imposta.
Esterovestizione
Con tale termine si intende la localizzazione della residenza fiscale delle società in Stati esteri con il precipuo scopo di sottrarsi agli obblighi fiscali previsti dall’ordinamento di appartenenza.
Al fine di porre un freno a tale fenomeno e con l’intento di valorizzare gli aspetti certi, concreti e sostanziali della fattispecie in luogo di quelli formali, in ossequio al principio della “sostanza sulla forma” utilizzato in campo internazionale, sono stati aggiunti i commi 5-bis e 5-ter all’art. 73 del tuir.
La novella legislativa contenuta nel comma 5-bis dell’art. 73 del tuir si colloca nel contesto delineato dalla Suprema Corte (Sentenza 22 gennaio 1958 n. 136, riportata nella prima parte del presente argomento nel n. 199 della newsletter Newsmercati) in quanto consente all’Amministrazione Finanziaria di presumere, “salvo prova contraria”, l'esistenza nel territorio dello Stato della sede dell'amministrazione di società ed enti non residenti che detengano partecipazioni dirette di controllo in società di capitali ed enti residenti, quando, lo stesso soggetto estero sia a sua volta, alternativamente:
a) controllato, anche indirettamente, ai sensi dell'articolo 2359, primo comma del codice civile, da soggetti residenti nel territorio dello Stato;
b) amministrato da un consiglio di amministrazione o altro organo di gestione equivalente, formato in prevalenza da consiglieri residenti nel territorio dello Stato.
La norma dispone, in definitiva, l'inversione, a carico del contribuente, dell'onere della prova, dotando l'ordinamento di uno strumento che solleva l'amministrazione finanziaria dalla necessità di provare l'effettiva sede della amministrazione di entità che presentano elementi di collegamento con il territorio dello Stato molteplici e significativi. In tale ottica la norma persegue l'obiettivo di migliorare l'efficacia dell'azione di contrasto nei confronti di pratiche elusive, facilitando il compito del verificatore nell'accertamento degli elementi di fatto per la determinazione della residenza effettiva delle società. La disposizione in esame si applica alle società ed enti che presentano i due rilevanti e continuativi elementi di collegamento con il territorio dello Stato indicati precedentemente nelle lettere a) e b).
La norma de qua, inoltre, e' applicabile anche nelle ipotesi in cui tra i soggetti residenti controllanti e controllati si interpongano più sub-holding estere. La presunzione di residenza in Italia della società estera che direttamente controlla una società italiana, renderà operativa, infatti, la presunzione anche per la società estera inserita nell'anello immediatamente superiore della catena societaria; quest'ultima si troverà, infatti, a controllare direttamente la sub-holding estera, considerata residente in Italia.
Il novello comma 5-ter dell’art. 73 del tuir, invece, precisa che il presupposto per la sussistenza del controllo (dei soggetti italiani sull’entità estera e di questa su società ed enti residenti) dovrà essere valutato con riferimento alla data chiusura dell’esercizio della controllata estera. Infine viene affermato che per le persone fisiche devono essere computati anche i voti spettanti al coniuge, ai familiari entro il terzo grado ed agli affini entro il secondo.
Onere della prova
In precedenza, si è detto che l’onere della prova è a carico del contribuente il quale, per vincere la presunzione, dovrà dimostrare, con argomenti adeguati e convincenti, che la sede di direzione effettiva della società non e' in Italia bensì all'estero.
Tali argomenti e prove dovranno dimostrare che esistono elementi di fatto, situazioni od atti, idonei a manifestare un concreto radicamento della direzione effettiva nello Stato estero.
Nel caso in cui il contribuente non dimostri (o lo faccia non in modo adeguato) che la sede effettiva si trova nello Stato estero in luogo dell’Italia, il soggetto estero verrà considerato residente e dovrà, quindi, soggiacere a tutti gli obblighi strumentali e sostanziali che l'ordinamento italiano prevede per le società e gli enti residenti. A titolo esemplificativo, gli effetti di più immediato impatto per le sub-holding esterovestite riguarderanno:
- i capital gain realizzati dalla cessione di partecipazioni da assoggettare al regime di imponibilità o di esenzione previsti dagli articoli 86 e 87 del TUIR;
- le ritenute da operare sui pagamenti di interessi dividendi e royalty corrisposti a non residenti o sui pagamenti di interessi e royalty corrisposti a soggetti residenti fuori del regime di impresa;
- il concorso al reddito in misura pari al 100 per cento del loro ammontare degli utili di partecipazione provenienti da società residenti in Stati o territori a fiscalità privilegiata.
Al contrario, i predetti soggetti non dovranno subire ritenute sui flussi di dividendi, interessi e royalty in uscita dall'Italia e potranno scomputare in sede di dichiarazione annuale le ritenute eventualmente subite nel periodo di imposta per il quale sono da considerare residenti, anche se - ad inizio - operate a titolo di imposta.
A conclusione di questo articolo, ritengo opportuno richiamare l’attenzione su due questioni:
- il collegamento con l’art. 167 del tuir (CFC);
- la compatibilità con il Trattato dell’U.E. e le convenzioni contro le doppie imposizioni stipulate dall’Italia.
Il collegamento con l’art. 167 del tuir (CFC)
In relazione al collegamento con la normativa CFC è bene precisare in quali termini la disposizione del nuovo comma 5-bis dell'art. 73 del TUIR può interferire sulla applicabilità dell’art. 167 del tuir, nell'ipotesi in cui un soggetto residente controlli una società o un ente residente o localizzato in Stati o territori a fiscalità privilegiata che, a sua volta, detenga partecipazioni di controllo in società di capitali o enti commerciali residenti in Italia.
E' evidente che la presunzione di residenza nel territorio dello Stato dell'entità estera rende, in punto di principio, inoperante la disposizione dell'art. 167. Non sarà imputabile al soggetto controllante il reddito che la controllata stessa, in quanto residente, e' tenuta a dichiarare in Italia. Qualora, tuttavia, sia fornita la prova contraria, atta a vincere la presunzione di residenza in Italia, la controllata non residente rimane attratta, ricorrendone le condizioni, alla disciplina dell'art. 167.
In altri termini, il reddito della controllata estera non assoggettato a tassazione in Italia in dipendenza del suo, comprovato, status di società non residente resta imputabile per trasparenza al soggetto controllante ai sensi del citato art. 167. L'effettiva localizzazione della sede della amministrazione della controllata estera fuori del territorio dello Stato e quindi la sua autonomia decisionale e di gestione, non escludono, infatti, che il suo reddito sia da considerare nella disponibilità economica del controllante residente.
La compatibilità con il Trattato dell’U.E. e le convenzioni contro le doppie imposizioni stipulate dall’Italia
Per quanto concerne la compatibilità con il Trattato dell’U.E. e le convenzioni contro le doppie imposizioni stipulate dall’Italia, la norma è coerente con l'orientamento della Corte di Giustizia, che nella sentenza Centros (Causa C-81/87) ha affermato il principio secondo cui gli Stati membri sono liberi di determinare il criterio di collegamento di una società con il territorio dello Stato. Tale principio risulta, indirettamente, confermato anche dalla più recente sentenza emessa nella Causa C-208/00, relativa ad una controversia concernente una società olandese che, in base all'ordinamento tedesco, era stata considerata residente in Germania a partire dal momento in cui le sue quote di maggioranza erano state acquistate da cittadini ivi residenti. Inoltre, la possibilità di fornire la prova contraria garantisce la valutazione caso per caso e dunque la proporzionalità della norma rispetto al fine perseguito, necessario a mitigare, secondo la suprema Corte, la portata generale delle disposizioni antielusive.
Infine non si ravvisano profili di contrasto con le convenzioni contro le doppie imposizioni, stipulate dall'Italia. Queste ultime, infatti, non interferiscono con i differenti criteri di collegamento soggettivo che ciascuno Stato seleziona per stabilire la residenza di un soggetto sul proprio territorio, limitandosi a indicare quali elementi e circostanze devono essere, prioritariamente, valutati in ipotesi di doppia residenza.
L'effettiva sede della amministrazione e' uno di questi elementi. Per di più, esso è, nella gran parte delle convenzioni, quello determinante per l'attribuzione della residenza di soggetti diversi dalle persone fisiche. La reale presenza della sede dell’amministrazione nell'uno o nell'altro ordinamento implica, poi, accertamenti di merito e diventa una mera questione di prova da valutare sulla base dei principi interpretativi, affermatisi a livello internazionale e rinvenibili nello stesso Commentario al Modello OCSE di Convenzione. Gli elementi su cui si fonda la presunzione, relativa, introdotta dalla norma in esame si richiamano a quei principi, senza escludere che possano essere di volta in volta valutati altri aspetti, dati e circostanze.
Ernesto CHERICI