Sollecitata dalla Commissione Tributaria Provinciale di Genova, la Corte di giustizia UE è stata chiamata a pronunciarsi nell’ambito di una controversia scaturita dagli accertamenti IVA notificati dall’Agenzia delle entrate ad una società francese con rappresentante fiscale in Italia.
L’operatore francese prima di trasferire il macchinario di sua produzione ad un cliente spagnolo, invia tale bene in Italia ad un’impresa nazionale che si occupa dell’assemblaggio e della fornitura di altri componenti. Una volta completato, il macchinario riparte dall’Italia verso il cliente spagnolo dell’operatore francese.
Riguardo al trasferimento del bene, il soggetto francese consapevole che non è previsto che il macchinario, una volta lavorato in Italia, ritorni in Francia, aveva trattato l’introduzione dei beni in Italia come un acquisto intracomunitario “assimilato”, applicando l’IVA, per il tramite del proprio rappresentante fiscale, ai sensi dell’art. 38, comma 3, lett. b), del D.L. n. 331/1993.
Una volta terminate le attività in Italia, il bene viene ritrasferito in Spagna e, essendo stato acquisito nella sfera fiscale del rappresentante fiscale dell’operatore francese, viene da esso fatturato al cliente spagnolo, applicando il regime di non imponibilità (art. 41, primo comma, del D.L. n. 331/1993).
In sede di verifica fiscale, l’Agenzia delle entrate ha ritenuto invece che, essendo i beni destinati a lasciare l’Italia al termine della lavorazione, la loro introduzione nel territorio dello Stato fruisse del regime sospensivo previsto dall’art. 38, comma 5, lett. a), dello stesso D.L. n. 331/1993, secondo cui non costituisce acquisto intracomunitario “l’introduzione nel territorio dello Stato di beni oggetto di perizie (2) o di operazioni di perfezionamento o di manipolazioni usuali[omissis] ……. se i beni sono successivamente trasportati o spediti al committente, soggetto passivo d’imposta, nello Stato membro di provenienza o per suo conto in altro Stato membro ovvero fuori del territorio della Comunità”, con la conseguenza che la successiva cessione, non integrando il presupposto territoriale, non aveva natura intracomunitaria e, quindi, non rilevava ai fini della formazione del plafond.
Dalla lettura della sentenza 6 marzo 2014, C-606/12 e C-607/1, nella quale la Corte di giustizia offre la propria interpretazione sul tema della cd. Sospensione dell’operazione intracomunitaria, emerge in modo evidente l’incompatibilità della norma nazionale, contenuta art. 38, quinto comma, lett. a), del D.L. n. 331/1993, rispetto alla corrispondente disposizione unionale di cui all’art. 17, par. 2, lett. f, della direttiva 2006/112/CE.
Normativa comunitaria
Come noto, in merito alla disciplina relativa al regime sospensivo delle operazioni intracomunitarie, la normativa comunitaria di riferimento è contenuta nell’art. 17, par. 2, lett. f, della direttiva 2006/112/CE, secondo cui: “Non si considera trasferimento a destinazione di un altro Stato membro la spedizione o il trasporto di un bene ai fini di una delle operazioni seguenti: [omissis] f) la prestazione di un servizio resa al soggetto passivo e avente per oggetto la perizia o lavori riguardanti il bene materialmente eseguiti nel territorio dello Stato membro di arrivo della spedizione o del trasporto del bene, qualora il bene, al termine della perizia o dei lavori, sia rispedito al soggetto passivo nello Stato membro a partire dal quale era stato inizialmente spedito o trasportato”.
Da quanto sopra riportato, emerge come secondo il legislatore comunitario la spedizione di un bene ai fini della prestazione di un servizio resa al soggetto passivo non si considera trasferimento a destinazione di un altro Stato membro (regime sospensivo) qualora tale bene sia successivamente rispedito al soggetto passivo nello Stato membro di origine, cioè quello a partire dal quale esso era stato inizialmente spedito.
In difetto di tale condizione, il trasferimento dei beni da uno Stato all’altro costituisce cessione intracomunitaria (nel Paese di origine) ed acquisto intracomunitario (nel Paese di destinazione).
L’eventuale successiva cessione dei beni sarà pertanto localizzata nel Paese membro in cui è effettuata la lavorazione, il quale:
- riscuoterà l’imposta dovuta qualora la cessione sia imponibile (ad esempio consumo interno)
- oppure rileverà l’operazione come non imponibile nell’ipotesi in cui essa si configuri quale cessione intracomunitaria o all’esportazione.
L’incompatibilità rilevata dalla Corte di giustizia e gli effetti sulla norma interna
La norma unionale sopra riportata è stata oggetto di recepimento da parte del nostro legislatore (art. 38, quinto comma, lett. a), del D.L. n. 331/1993), prevedendo, nello specifico che:
“Non costituiscono acquisti intracomunitari: a) l’introduzione nel territorio dello Stato di beni oggetto di operazioni di perfezionamento o di manipolazioni usuali [omissis]…, se i beni sono successivamente trasportati o spediti al committente, soggetto passivo d’imposta, nello Stato membro di provenienza o per suo conto in altro Stato membro ovvero fuori del territorio della Comunità”.
Da quanto sopra riportato risulta evidente come la norma interna (art. 38, quinto comma, lett. a), del D.L. n. 331/1993) è in evidente contrasto con la con la corrispondente disposizione unionale (art. 17, par. 2, lett. f, della direttiva 2006/112/CE).
Mentre la norma unionale accorda il regime sospensivo esclusivamente qualora il bene, al termine delle operazioni che ha subito nel territorio in cui è stato trasferito, sia rispedito al soggetto passivo nello Stato membro dal quale erano stati inizialmente spediti o trasportati (qualora il bene, al termine della perizia o dei lavori, sia rispedito al soggetto passivo nello Stato membro a partire dal quale era stato inizialmente spedito o trasportato), la norma italiana consente l’applicazione del regime sospensivo anche ai trasferimenti destinati ad un qualsiasi paese diverso da quello di esecuzione della prestazione (comunitario e non), anche se differente da quello di partenza (se i beni sono successivamente trasportati o spediti al committente, soggetto passivo d’imposta, nello Stato membro di provenienza o per suo conto in altro Stato membro ovvero fuori del territorio della Comunità).
Conclusione
Anche in assenza di un tempestivo intervento legislativo che adegui la norma nazionale al risultato interpretativo reso dalla Corte di giustizia, le imprese che delocalizzano i processi di lavorazione in altri Paesi membri dovranno porre particolare attenzione nei trasferimenti di beni “in uscita” dal territorio dello Stato a fini di perizie o lavorazioni in altro Stato membro.
Pertanto, sotto il profilo operativo, se un bene, al termine della trasformazione, non viene restituito al committente nel Paese da cui era arrivato, ma viene inviato come «prodotto compensatorio» in uno Stato membro diverso da quello di provenienza ovvero venga esportato, il committente non residente dovrebbe ivi acquisire la partita per rilevare l'acquisto intracomunitario del bene originariamente introdotto e la successiva cessione intracomunitaria o l'esportazione del prodotto trasformato.
Natale Galimi