L’art. 165 d.P.R. n. 917/1986 (recante il Testo Unico delle Imposte sui redditi, anche T.u.i.r.) prevede il rimedio al fenomeno di doppia imposizione internazionale che si può, generalmente, concretizzare in caso di produzione di reddito transnazionale.
Le regole alla base del calcolo del credito di imposta sono complesse e spesso generano dubbi interpretativi e difficoltà applicative. È stata, quindi, salutata con grande favore la Circolare recentemente emessa dalla Agenzia delle Entrate in data 5 marzo 2015 (C.M. n.9/E del 2015) che ha fornito importanti chiarimenti. Ma la materia sarà interessata a breve da un intervento normativo modificativo: ed infatti, lo schema di decreto “crescita e internazionalizzazione” (approvato in esame preliminare dal Consiglio dei Ministri il 21 aprile 2015 e trasmesso, per il relativo parere, al Senato il 29 aprile 2015) interviene sulla disciplina del credito per imposte estere:
- da un lato, estendendo il riporto delle eccedenze di imposta anche ai soggetti non imprenditori
- dall’altro rimuovendo la c.d. “per country limitation”.
Si diceva che il procedimento di quantificazione del credito spettante non è banale. Esso, infatti, passa attraverso due fasi principali che dischiudono ulteriori sub-procedimenti:
- individuazione e quantificazione del reddito estero e suo concorso alla base imponibile italiana: ciò avviene in applicazione del principio della tassazione su base mondiale per i soggetti residenti nel territorio dello Stato;
- quantificazione del credito di imposta e sua esposizione nella dichiarazione dei redditi italiana.
Individuazione e quantificazione del reddito estero e suo concorso alla base imponibile italiana
Nell’ambito della prima fase, si deve innanzitutto ricorrere all’art. 23 T.u.i.r. che, anche se individua i redditi tassabili prodotti in Italia dai non residenti, si presta ad una lettura a specchio per i residenti che producono redditi esteri (ed invero l’art. 165 dispone che “i redditi si considerano prodotti all’estero sulla base di criteri reciproci a quelli previsti dall’art. 23”).
L’applicazione “a specchio” dell’art. 23 opera solo in assenza di una Convenzione contro le doppie imposizioni tra l’Italia ed il Paese della fonte del reddito, caso in cui il diritto al credito è riconosciuto in relazione a qualsiasi elemento di reddito che lo Stato della fonte ha tassato in virtù della Convenzione.
In assenza di quest’ultima, si fa riferimento all’art. 23 del T.u.i.r. in relazione al quale la C.M. n. 9/E si è soffermata sul caso dei singoli elementi di reddito (dividendi, interessi…) conseguiti all’estero da società ed enti commerciali residenti. Per tali elementi reddituali è riconosciuto il credito di imposta anche in assenza di una stabile organizzazione all’estero, in quanto considerati – in virtù del principio del trattamento isolato dei redditi sancito dall’art. 152, comma 2 del T.u.i.r. (valevole in generale per le imprese non residenti in Italia e prive di stabile organizzazione, ma ritenuto estendibile, simmetricamente, alle imprese residenti che hanno redditi di fonte estera in assenza di stabile organizzazione) – redditi “prodotti all’estero” secondo criteri speculari a quelli per essi previsti dall’art. 23 T.u.i.r.
Quantificazione del credito di imposta e sua esposizione nella dichiarazione dei redditi italiana
Passando alla seconda fase, ovvero della quantificazione del credito, il procedimento si biforca nel calcolo di due limiti:
- da un lato il calcolo della quota di imposta lorda italiana;
- dall’altro quello dell’imposta netta che rappresenta il limite della detrazione.
Nel nostro ordinamento è infatti adottato il credito d’imposta ordinario, anziché pieno. La differenza tra le due metodologie sta nel fatto che nel credito d’imposta ordinario la detrazione è limitata alla quota dell’imposta dovuta nello Stato di residenza sul reddito prodotto all’estero.
Ai sensi dell’art. 165, comma 1 si deve innanzitutto calcolare la quota di imposta lorda italiana, corrispondente al rapporto tra redditi prodotti all’estero e reddito complessivo. Questo perché la detrazione, come detto, è data per quanto pagato all’estero, ma non in misura superiore alla quota di imposta italiana attribuibile al reddito prodotto all’estero.
Preme precisare, anche perché conducente a risultati favorevoli al contribuente, che – come specificato dalla C.M. n. 9/E – per i redditi diversi da quelli di impresa e di lavoro autonomo, il reddito estero, così come rideterminato in base alle disposizioni fiscali italiane, deve essere assunto al lordo dei costi con l’effetto incrementale del rapporto di detraibilità (i.e. aumenta il limite alla detrazione scomputabile).
Si noti bene che, nell’ambito del calcolo del limite dell’imposta lorda, l’eccedenza del credito estero può essere recuperato solo per i redditi di impresa secondo una specifica procedura dettagliata al comma 6 dell’art. 165.
Venendo al secondo sub-procedimento relativo alla quantificazione del credito, esso è dato dal calcolo del secondo limite dell’imposta nazionale netta. Con riferimento all’eccedenza che dovesse emergere, la C.M. n. 9/E rinvia all’art. 11, comma 4 T.u.i.r. che consente di computare detta eccedenza in diminuzione dell’imposta relativa al periodo d’imposta successivo o di chiederne il rimborso in sede di dichiarazione. A ciò la Circolare aggiunge la possibilità di un utilizzo in compensazione ai sensi dell’art. 17 D.Lgs. n. 241/1997 con imposte e contributi.
Ai fini della fruizione del credito d’imposta, il pagamento dell’imposta allo Stato estero deve essere stato fatto a titolo definitivo. La definitività, come specificato dalla nuova Circolare e come già evidenziato anche in precedenti documenti di prassi, coincide con la irripetibilità.
Nel caso di redditi prodotti in più Stati esteri, il legislatore ha adottato il metodo c.d. per country limitation, prevedendo, al comma 3 dell’art. 165 del T.u.i.r., che la detrazione debba essere effettuata separatamente per ciascuno Stato.
Infine, bisogna segnalare che la detrazione deve essere fatta valere, a pena di decadenza, nella dichiarazione dei redditi. L’art. 165, comma 8 prevede che “la detrazione non spetta in caso di omessa presentazione della dichiarazione o di omessa indicazione dei redditi prodotti all’estero”.
In particolare, dall’omessa dichiarazione discende l’irrimediabile perdita del credito d’imposta. Viceversa la mancata o parziale indicazione dei redditi prodotti all’estero lascia ancora aperto lo spiraglio della detrazione con una dichiarazione integrativa nei termini di legge. Tale possibilità è confermata anche dalla C.M. n. 9/E, che si è soffermata sull’istituto del ravvedimento operoso, così come novellato dall’ ultima legge di stabilità, la quale – come noto – ne ha esteso significativamente gli effetti premiali.
Giovanna Costa
Studio Legale Tributario Marino e Associati, docente NIBI del Corso Executive “Fiscalità Internazionale”