L’istituto del credito di imposta costituisce un rimedio contro la doppia imposizione giuridica che viene a crearsi in presenza di redditi transnazionali assoggettati a tassazione, in capo al medesimo soggetto, sia nel Paese in cui il reddito è prodotto, sia nel Paese di residenza.
L’ordinamento fiscale italiano ha adottato il credito d’imposta (c.d. “foreign tax credit”) sui redditi prodotti all’estero dai propri residenti, già disciplinato dall’articolo 15 del testo unico delle imposte sui redditi approvato con decreto del Presidente della Repubblica 22 dicembre 1986, n. 917 -TUIR.
Per poter beneficiare del credito d’imposta sono richieste le seguenti condizioni:
- produzione di un reddito estero;
- pagamento delle imposte estere a titolo definitivo;
- concorso del reddito estero alla formazione del reddito imponibile in Italia.
Con tale metodo, infatti, quando l’imposta estera, rispetto a quella dovuta in Italia (Paese di residenza del contribuente) è:
- inferiore, occorre versare all’Erario italiano la differenza;
- superiore, non si dà luogo a “restituzione” dell’eccedenza, in quanto il credito compete solo fino a concorrenza dell’imposta italiana relativa al reddito estero.
Reddito prodotto all’estero: definizione e criticità tipiche
Ai sensi del comma 2 dell’articolo 165 del TUIR, “i redditi si considerano prodotti all’estero sulla base di criteri reciproci a quelli previsti dall’articolo 23 per individuare quelli prodotti nel territorio dello Stato”.
La definizione interna di “reddito prodotto all’estero” si rende applicabile solo nei casi in cui non sia in vigore una Convenzione contro le doppie imposizioni tra l’Italia e lo Stato della fonte del reddito.
Infatti, i suddetti criteri di collegamento non operano in presenza di una Convenzione che contenga una disposizione analoga a quella di cui all’articolo 23B del Modello OCSE, che elimina la doppia imposizione con il metodo del credito, consentendo al contribuente di detrarre dall’imposta sul reddito dovuta nello Stato di residenza le imposte pagate all’estero sui redditi ivi prodotti.
In applicazione della norma convenzionale, pertanto, il diritto al credito viene riconosciuto in riferimento a qualsiasi elemento di reddito che lo Stato della fonte ha assoggettato ad imposizione conformemente alla specifica Convenzione applicabile.
In mancanza di una Convenzione, invece, occorre fare riferimento all’articolo 23 del TUIR secondo cui, ai fini dell’applicazione dell’imposta nei confronti dei non residenti, un reddito è da considerare come prodotto nel territorio dello Stato, quando sia possibile stabilirne il collegamento con una fonte produttiva situata in Italia, sulla base di precisi parametri che il legislatore interno ha tipizzato.
La circolare in oggetto analizza le due criticità tipiche che possono sorgere per effetto della nozione di “reddito prodotto all’estero” :
- Conseguimento all’estero di singoli elementi di reddito (interessi, dividendi, royalties);
- Conseguimento all’estero di redditi che non sono riconducibili a una delle singole categorie previste dall’articolo 23 del TUIR (redditi di natura commerciale in assenza di una stabile organizzazione, ecc.).
Per beneficiare del credito d’imposta previsto dall’articolo 165 del TUIR è necessario che i redditi prodotti all’estero concorrano alla formazione del reddito complessivo del soggetto residente. L’istituto non è quindi applicabile in presenza di redditi assoggettati a ritenuta a titolo di imposta, a imposta sostitutiva o a imposizione sostitutiva, operata dallo stesso contribuente in sede di presentazione della dichiarazione dei redditi ai sensi dell’articolo 18 del TUIR.
Sulla base di tale disposizione, infatti, i redditi di capitale corrisposti da soggetti non residenti e percepiti direttamente all’estero senza l’intervento di un sostituto d’imposta sono soggetti, a cura del contribuente, in occasione della presentazione della dichiarazione dei redditi, ad imposizione sostitutiva nella stessa misura delle ritenute a titolo d’imposta, che sarebbero applicate se tali redditi fossero corrisposti da sostituti d’imposta o intermediari italiani. Il contribuente ha facoltà di non avvalersi del regime di imposizione sostitutiva, applicando la tassazione ordinaria, ed in tal caso compete il credito d’imposta per i redditi prodotti all’estero.
Il credito d’imposta per i redditi prodotti all’estero è organicamente inserito nella disciplina delle imposte sui redditi ed è condizionato dalla presenza di redditi esteri nel reddito complessivo. Ciò implica che l’operatività dell’istituto è limitata ai tributi stranieri che si sostanziano in un’imposta sul reddito o, quanto meno, in tributi con natura similare.
Nell’articolo 165 del TUIR resta sostanzialmente immutato il criterio generale già previsto nel previgente articolo 15 del TUIR, secondo cui la detrazione è consentita quando le imposte estere sono state pagate a titolo definitivo.
Definitività dell’imposta pagata all’estero
Come già affermato nella circolare del 12 giugno 2002, n. 50, la definitività dell’imposta pagata all’estero coincide con la sua “irripetibilità”, ossia con la circostanza che essa non è più suscettibile di modificazione a favore del contribuente.
Con circolare 8 febbraio 1980, n. 3, si è definito che la correlazione esistente tra imposta pagata in via definitiva e il relativo reddito non esclude che l’imposta possa essere considerata “definitiva”, anche qualora il reddito sia ancora suscettibile di verifica nello Stato estero in cui viene prodotto.
Non possono, invece, considerarsi definitive le imposte pagate in acconto o in via provvisoria e quelle per le quali è prevista, sin dal momento del pagamento, la possibilità di rimborso totale o parziale, anche mediante “compensazione” con altre imposte dovute nello Stato estero.
Per quanto riguarda le imposte suscettibili di parziale rimborso, queste possono essere comunque detratte, al netto del rimborso spettante, sempre che si possa considerare certo il relativo ammontare alla data di presentazione della dichiarazione dei redditi in Italia.
Si chiarisce, inoltre, che le imposte estere devono considerarsi “pagate a titolo definitivo” nel periodo d’imposta in cui le stesse sono state versate al Fisco estero, a nulla rilevando il periodo d’imposta in cui il beneficiario del reddito estero è venuto in possesso della relativa certificazione. La certificazione, infatti, ha valenza meramente probatoria e, pertanto, non determina la definitività del pagamento del tributo. Sarà, quindi, premura del contribuente munirsi tempestivamente della documentazione idonea a dimostrare il pagamento dell’imposta nello Stato estero.
L’Agenzia delle Entrate ritiene che, ai fini della verifica della detrazione spettante, il contribuente è tenuto a conservare i seguenti documenti:
- un prospetto recante l’indicazione, separatamente Stato per Stato, dell’ammontare dei redditi prodotti all’estero, l’ammontare delle imposte pagate in via definitiva in relazione ai medesimi, la misura del credito spettante, determinato sulla base della formula di cui al primo comma dell’articolo 165 del TUIR ( RE/RCN x Imposta Italiana - si rimanda alla seconda parte dell’articolo);
- la copia della dichiarazione dei redditi presentata nel Paese estero, qualora sia ivi previsto tale adempimento;
- la ricevuta di versamento delle imposte pagate nel Paese estero;
- l’eventuale certificazione rilasciata dal soggetto che ha corrisposto i redditi di fonte estera;
- l’eventuale richiesta di rimborso, qualora non inserita nella dichiarazione dei redditi.
Nel caso in cui un soggetto residente in Italia produca reddito in uno Stato con cui è in vigore una Convenzione contro le doppie imposizioni, è possibile computare il credito per le imposte pagate all’estero nel limite della ritenuta convenzionale. Se lo Stato estero ha applicato una ritenuta più alta di quella convenzionale, la differenza, non accreditabile in Italia, potrà essere oggetto di rimborso nello Stato estero, secondo le modalità ivi previste.
Credito d’imposta figurativo
Per completezza, si ricorda che in alcune Convenzioni stipulate dall’Italia, ad esempio quelle con l’Argentina e il Brasile, viene riconosciuto eccezionalmente un credito d’imposta figurativo (c.d. matching credit), a fronte di imposte non effettivamente pagate. Si tratta di una misura finalizzata a consentire il mantenimento degli incentivi fiscali concessi da tali Paesi per attrarre gli investimenti stranieri e di evitare il completo trasferimento dell’onere impositivo su tali redditi dal Paese della fonte al Paese della residenza, tenuto conto che quest’ultimo, non dovendo concedere credito, preleverebbe interamente le imposte, cui ha rinunciato lo Stato della fonte.
La detrazione del credito d’imposta figurativo avviene con le medesime modalità previste per il credito d’imposta ordinario.
La richiesta del credito figurativo deve essere presentata in sede di liquidazione dell’IRES o dell’IRPEF dovuta, indicando in dichiarazione i redditi prodotti all’estero, le imposte che si sarebbero dovute pagare in regime ordinario ovvero l’aliquota stabilita nella Convenzione contro le doppie imposizioni rilevante nel caso di specie e l’ammontare del reddito complessivo dichiarato nell’esercizio a cui le imposte estere si riferiscono.
Ai fini della determinazione della detrazione spettante, la quota d’imposta italiana relativa al reddito prodotto all’estero deve essere confrontata con le imposte estere figurative secondo l’aliquota prevista dalla specifica Convenzione, ovvero con quelle che si sarebbero dovute pagare in assenza delle agevolazioni previste nello Stato estero.
Conformemente a quanto previsto dall’articolo 165, comma 1, del TUIR, il credito spettante coincide con il minor valore tra l’imposta estera figurativa e la quota d’imposta italiana riferita al reddito estero.
Gian Luca Giussani