Risulta ben nota, infatti, l’esigenza da parte degli operatori commerciali nel cercare una soluzione al problema, al di là delle inevitabili differenze tra normativa fiscale e doganale, per evitare che la stessa transazione inter-company possa essere valutata in maniera differente dalle due diverse Autorità fiscali nazionali (dogane e entrate).
Infatti, nel caso in cui una società italiana effettui un acquisto da una società del medesimo gruppo sita in territorio extracomunitari:
- ai fini delle imposte dirette tale prezzo non deve essere aumentato al solo fine di spostare imponibile in un paese dove le imposte sul reddito sono inferiori a quelle previste in Italia.
- Ai fini dell’imposizione doganale, invece, tale prezzo non deve essere diminuito con il solo scopo di versare meno imposte di confine all’atto delle operazioni di importazione.
Infatti ai sensi dell’art. 29 del Reg. Cee 2913/92 (Codice Doganale Comunitario) la base imponibile per l’applicazione del dazio è il prezzo effettivamente pagato, sempre che il compratore ed il venditore non siano legati o, se lo sono, il valore di transazione sia accettabile a fini doganali. Tale valore risulta accettabile, sotto il profilo doganale, se non è stato modificato (in diminuzione) dal rapporto che intercorre tra le società che appartengono al medesimo gruppo.
Pertanto, per entrambi i motivi sopra delineati occorre che il valore di transazione non sia influenzato (sia in aumento che in diminuzione) dal rapporto che lega acquirente e venditore al solo fine di eludere le imposte nello stato italiano.
Entrambe le normative, pur avendo l’intento di evitare pratiche elusive da parte delle aziende importatrici, hanno una differente visione del problema:
- da un lato lo spostamento di imponibile in altri stati
- dall’altro una non corretta dichiarazione del valore all’atto dell’importazione.
Alcuni stati (Australia, Stati Uniti e Canada) prevedono la possibilità di presentare, anteriormente alle operazioni di importazione, alle Autorità doganali competenti una documentazione (transfer pricing documentation) atta a provare che le parti – seppur facenti riferimento allo stesso gruppo – si sono comportate come soggetti indipendenti.
A tale problematica dovrebbero dare una soluzione, quanto meno valida su territorio italiano, l’Agenzia delle Entrate e l’Agenzia delle Dogane le quali dovrebbero emanare un documento congiunto in cui indicare, alle società appartenenti ad una multinazionale, l’iter da seguire per evitare di incorrere contestazioni da parte dell’Amministrazione Finanziaria per le transazioni internazionali tra società tra loro legate.
La posizione dell’Organizzazione Mondiale delle Dogane
L’organizzazione mondiale delle dogane (OMD o WCO), che, nel 2013, era già intervenuta sull’argomento con il commentary 23.1, ha pubblicato a fine giugno una guida (Omc – Guide to customs valuation and transfer pricing), che si pone l’obiettivo di dare delle linee guida per risolvere la problematica. In tale guida l’OMD vuole delineare le modalità da attuare per dimostrare che il prezzo della transazione inter-company non sia alterato dalla condizione di appartenenza delle parti al medesimo gruppo.
Premessa generale dell’OMD a quanto appena detto risiede nel fondamentale presupposto secondo cui la disciplina fiscale e quella doganale dovrebbero mirare ad un fine “preordinato” comune. In tale contesto, la guida dell’Omc punta a favorire una comune chiave di lettura, supplendo al ritardo delle autorità competenti. Il documento del WCO affronta anche la problematica dei Transfer Price adjustments, ossia di quelle modifiche di prezzo che sono operate in un momento successivo alle operazioni di importazione o esportazione. Il WCO ritiene che i TP adjustments dovrebbero comportare la rettifica della bolletta doganale; in tal modo si dovrebbero versare i maggiori dazi, qualora il prezzo sia aumentato, e consentire il rimborso dei dazi doganali in caso di aggiustamenti al ribasso del valore.
La guida dell’OMD ha raccomandato due strumenti, da attivare in un momento antecedente le operazioni doganali, per attestare che il valore sia conforme alla normativa doganale:
- l’interpello
- la dichiarazione incompleta.
Interpello
L’interpello preventivo sul valore potrebbe essere considerata un’integrazione delle possibilità fornite dall’autorità doganale agli operatori per evitare contestazioni relative agli elementi dell’accertamento doganale (classificazione doganale, valore e origine) dichiarati all’atto dell’ importazione.
Infatti, allo stato attuale, le imprese che operano con l’estero hanno la possibilità di presentare un interpello preventivo:
- per attribuire la corretta classificazione doganale delle merci
- per attribuire la corretta origine, sia preferenziale che non preferenziale, alle stesse (informazione vincolante di origine).
Con questi due strumenti la dogana si vincola ad accettare la voce doganale e l’origine attribuite a seguito di apposita istanza presentata dall’azienda anteriormente alle operazioni di importazione. Attualmente non esiste uno strumento simile che consenta di individuare il corretto valore da dichiarare in dogana prima dell’operazione di importazione; in tal modo si lascia, di fatto, sempre aperta la possibilità di contestazione da parte dell’ autorità doganale, laddove dovesse ritenere non congruo il valore attribuito alla merce all’atto dell’importazione.
L’interpello preventivo sul valore, pertanto, completerebbe le possibilità fornite alle aziende per addivenire ad un “accordo” preventivo su tutti gli elementi dell’accertamento doganale con l’autorità competente evitando, in tal modo, contestazioni sia all’atto dell’importazione che successivamente. Infatti non va dimenticato che l’Agenzia delle Dogane può effettuare la revisione della dichiarazione doganale fino a tre anni dall’espletamento dell’operazione di importazione.
Dichiarazione incompleta
La seconda via descritta dall’Organizzazione mondiale delle Dogane, per conciliare le due normative, è quella della dichiarazione incompleta: con tale istituto, mediante un accordo tra l’operatore e la dogana competente, è possibile mantenere aperta la dichiarazione doganale a successive modifiche del valore che dovessero intervenire successivamente all’importazione. In questo caso la dogana accetta valori provvisori che vengono definiti in un periodo successivo concordato con l’operatore. Tale istituto è a disposizione degli operatori ogni qualvolta vi sia la certezza che il valore in dogana debba essere aumentato o diminuito successivamente all’importazione, ma non vi sia certezza sul “quantum” di tale rettifica.
La posizione della Corte di Cassazione
Non è consigliabile invece effettuare una dichiarazione di importazione definitiva e procedere con la revisione dell’accertamento a posteriori da parte dell’operatore. Infatti anche l’azienda ha la facoltà di richiedere la revisione della bolletta doganale entro tre anni dall’importazione qualora uno degli elementi dell’accertamento (tra cui il valore) non dovesse essere corretto. Tuttavia la Corte di Cassazione, con sentenza n. 7716/2013, ha stabilito che non è possibile richiedere a rimborso il dazio versato all’atto dell’importazione qualora la riduzione del prezzo delle merci importate sia sorto a seguito della stipula di un contratto di transfer pricing. Infatti, secondo la Suprema Corte, la revisione può essere eseguita sia d’ufficio che su istanza di parte qualora emergano inesattezze, omissioni o errori relativi agli elementi presi a base dell'accertamento. Dalla richiamata disciplina, la Cassazione ricava il principio per cui la revisione dell’accertamento doganale può essere effettuata – e pervenire alla rettifica del valore delle merci inizialmente accertato – solo, ed esclusivamente, sulla scorta degli elementi posti a fondamento dell’accertamento iniziale e non certo di elementi successivi; pertanto, secondo la Suprema Corte, la revisione – e la conseguente rettifica del valore dichiarato all’atto dell’importazione – non può essere effettuata sulla base di una scelta contrattuale deliberatamente effettuata dalle parti private (esportatore e importatore), che sono legate dall’appartenenza a uno stesso gruppo societario, pervenuta in un momento successivo alla presentazione della merce in dogana.
Conclusioni
Alla luce della giurisprudenza della Corte di Cassazione sopra esposta, pertanto, risulta improbabile, salvo disposizioni contrarie che possano intervenire in seguito, che l’Agenzia delle Dogane consenta di revisionare a posteriori una dichiarazione di importazione qualora il valore sia stato modificato in forza di un contratto di transfer pricing.
Quindi, in base alle indicazioni contenute nella guida dell’OMD e in attesa di istruzioni operative da parte delle Agenzie fiscali, occorre cercare un’intesa con la dogana presso cui si effettuano le operazioni di importazione per evitare che il valore dichiarato dalle aziende possa essere ritenuto non accettabile dall’Ufficio.
Andrea Toscano
Enrico Calcagnile