In base al testo votato, che sostituirebbe l’attuale sistema volontario, l'etichetta “Made in” dovrà essere obbligatoriamente utilizzata per tutti i prodotti di consumo venduti nell'Ue, esclusi i prodotti alimentari e medicinali.
Se il Paese di origine è uno Stato membro dell’Unione si potrà comunque scegliere se mettere sull’etichetta la dicitura “Made in EU” oppure indicare il nome del Paese.
Il testo del regolamento contiene una serie di obblighi per produttori, importatori e distributori a garanzia che le informazioni necessarie siano sempre ben visibili al consumatore:
- i produttori o gli importatori dovranno garantire che il paese di origine sia indicato su tutti i prodotti venduti nell'ambito dell'Unione europea
- i distributori verificheranno che il produttore o l'importatore abbia etichettato i prodotti di consumo in modo conforme prima di venderli o metterli a disposizione sul mercato dell'UE.
Tutti i prodotti di consumo finale dovranno pertanto contenere un'indicazione del paese d'origine del prodotto o, se le dimensioni o la natura del prodotto non lo consentono, tale indicazione dovrà essere apposta sull'imballaggio o su un documento di accompagnamento del prodotto, o altro materiale utilizzato nel punto vendita.
L'indicazione del paese di origine del prodotto, espressa dalla dicitura “fabbricato in” accompagnata dal nome del paese di origine, potrà essere redatta e apposta in una qualsiasi delle lingue ufficiali dell'Unione europea, in modo tale da risultare facilmente comprensibile per i consumatori o clienti finali dello Stato membro in cui le merci devono essere commercializzate.
Le etichette "Made in" permetterebbero di migliorare la tracciabilità delle merci e di rafforzare la tutela dei consumatori. Oggi circa il 10% dei beni presi in esame dal sistema di allarme Rapex dell'UE non è riconducibile al produttore. E’ essenziale, quindi, la presenza dell'obbligo di tracciabilità di un prodotto al fine di evitare, o limitare, pratiche commerciali illecite e sleali, obbligo che rientra nel controllo su tutta la catena di fornitura, già in essere per molte imprese europee, come risposta alle esigenze di mercato.
Essere a conoscenza dei paesi in cui un prodotto è stato fabbricato è un elemento essenziale per comprendere la sostenibilità di un prodotto in termini di standard sociali, ambientali, produttivi e la qualità e la sicurezza del prodotto. Molti paesi, partner e concorrenti commerciali dell'UE, applicano già da molti anni regole di origine più ferree obbligatorie per tutte le merci, anche per quelle prodotte in Europa, importate verso tali paesi. Ne sono un esempio gli Stati Uniti d'America, il Messico, il Canada, il Giappone, la Cina ed altri.
Sorveglianza del mercato
Al fine di rafforzare ulteriormente la sicurezza dei prodotti, è stato votato anche un regolamento per la sorveglianza del mercato (con 573 voti a favore, 18 contrari e 52 astensioni) che chiede pene più severe per le imprese che non rispettano le norme di sicurezza e vendono prodotti potenzialmente pericolosi.
Gli Stati membri dovranno stabilire le sanzioni da infliggere in caso di violazione delle disposizioni del regolamento e dovranno adottare i provvedimenti necessari per assicurarne l'esecuzione.
In un’ottica di armonizzazione, livelli comuni minimi e massimi di sanzioni e i tempi della loro esecuzione saranno proposti dalla Commissione al fine di garantire che gli operatori non conformi alle regole di sicurezza affrontino le stesse conseguenze indipendentemente dallo Stato membro in cui agiscono.
Le sanzioni per le imprese che violano le regole dovranno essere “effettive, proporzionate e dissuasive” e dovranno tener conto della gravità, della durata e del carattere intenzionale o ricorrente della violazione, oltre che della dimensione della società.
Perciò è stato chiesto che la Commissione europea elabori una lista nera a livello Ue delle imprese che hanno violato intenzionalmente e ripetutamente le norme di sicurezza dei prodotti.
E’ stata, inoltre, suggerita la creazione di una banca dati paneuropea delle lesioni legate a un prodotto difettoso o pericoloso.
Infine, il Regolamento votato propone di rafforzare e standardizzare i controlli doganali e la sorveglianza del mercato sui prodotti importati via internet per contrastare la vendita online di prodotti pericolosi. Ciò a fronte dell'aumento del numero di prodotti provenienti da paesi terzi, acquistati online dai consumatori, che non sono conformi agli standard europei e mettono così a rischio la sicurezza e la salute dei consumatori.
Regole per la determinazione del “Made in”
Ai fini della determinazione del “Made in” si dovrà fare riferimento alle regole previste dal Codice Doganale dell’Unione [Regolamento (UE) n. 952/2013 del Parlamento europeo e del Consiglio, del 9 ottobre 2013, che istituisce il codice doganale dell'Unione; il regolamento riprende il contenuto del Regolamento (CEE) n. 2913/92 che aveva istituito il codice doganale comunitario].
Regole enunciate nella sezione del Codice “Origine non preferenziale” (Reg. UE 952/2013, Titolo II, Capo 2, Sezione 1).
Il primo criterio, indicato all’articolo 60 comma 1 del codice doganale dell’Unione, è il cosiddetto “criterio delle merci interamente ottenute” ed è applicabile a quei prodotti per i quali il processo di lavorazione sia avvenuto in un singolo Paese. In virtù di questo criterio devono ritenersi originarie di un determinato Paese le merci ivi interamente ottenute.
Il secondo criterio, definito dall’articolo 60 comma 2 del codice doganale dell’Unione, è il “criterio dell’ultima lavorazione o trasformazione sostanziale” ed è applicabile a quelle merci alla cui produzione abbiano contribuito due o più paesi. In particolare, l’art. 60 comma 2, precisa che: “Le merci alla cui produzione contribuiscono due o più paesi o territori sono considerate originarie del paese o territorio in cui hanno subito l'ultima trasformazione o lavorazione sostanziale ed economicamente giustificata, effettuata presso un'impresa attrezzata a tale scopo, che si sia conclusa con la fabbricazione di un prodotto nuovo o abbia rappresentato una fase importante del processo di fabbricazione”.
Pertanto, nel caso in cui alla produzione della merce abbiano contribuito due o più Paesi, la merce si considera originaria del Paese dove è avvenuta l’ultima trasformazione/lavorazione sostanziale in presenza di tre condizioni cumulative:
- lavorazione/trasformazione sostanziale
- economicamente giustificata, effettuata presso un’impresa attrezzata a tale scopo
- che si sia conclusa con la fabbricazione di un prodotto nuovo o abbia rappresentato una fase importante del processo di fabbricazione.
Con riguardo al primo requisito, la Corte di Giustizia Europea ha precisato che la sostanzialità della trasformazione debba prevalere sul fatto che la stessa rappresenti l’ultima operazione effettuata sul prodotto. In particolare la Corte ha affermato che l’ultima trasformazione o operazione si configura “solo qualora il prodotto che ne risulta abbia composizione e proprietà specifiche che non possedeva prima di essere sottoposto a tale trasformazione o lavorazione”. La lavorazione sostanziale deve poi concludersi con la fabbricazione di un prodotto nuovo o deve aver rappresentato una fase importante del processo di fabbricazione.
In termini generali, il cambiamento del codice tariffario è di per sé un’evidenza dell’ottenimento di un prodotto nuovo (c.d. salto di codice SA).
Ogni prodotto distribuito a livello internazionale è classificato in una nomenclatura tariffaria che si basa sul Sistema Armonizzato di designazione e classificazione delle merci (SA). Ogni bene, all’interno del Sistema Armonizzato, è identificato da sei cifre:
- le prime due (capitolo) indicano la categoria generale di appartenenza del prodotto
- le seconde due (voci) identificano il prodotto con maggior precisione e così via fino alla sesta cifra (sottovoci).
In linea generale, quindi, il salto del codice (quando cambiano le prime quattro cifre) esprime la circostanza per cui una materia prima generata nel paese A, trasformata nel paese B con mutamento della classificazione tariffaria, acquisisce l’origine di B.
Pertanto, in virtù di questo criterio una merce lavorata o trasformata in più paesi è da considerarsi originaria di quel Paese in cui ha subito una trasformazione oggettiva che ha determinato il c.d. salto del codice S.A.
Nell’ipotesi in cui non si riesca a determinare l’origine sulla base del criterio da ultimo enunciato opera, in alternativa (a volte è anche in aggiunta), il criterio del valore aggiunto (o regola percentuale ad valorem, introdotta dalla convenzione di Kyoto).
Secondo questo criterio un prodotto consegue l’origine di un Paese se le operazioni effettuate in tale Paese hanno generato un incremento del suo valore economico superiore a una certa percentuale, stabilita precedentemente, calcolata sul valore del bene prima di essere sottoposto a trasformazione.
La Convenzione prevede in alternativa la possibilità di utilizzare la regola percentuale per stabilire un limite alle componenti non originarie del prodotto superato il quale non potrà essere conferita l’origine dello Stato dove si è perfezionata l’ultima lavorazione.
Giuseppe De Marinis