La consegna dei beni in "conto visione" a un potenziale cliente estero è una prassi commerciale molto diffusa in cui al potenziale acquirente vengono consegnati dei beni affinché questi possa valutarne, prima dell'acquisto, le caratteristiche tecniche e funzionali e verificare la rispondenza alle sue esigenze.
La disciplina Iva, prevede che le cessioni di beni mobili si considerino effettuate al momento della consegna o spedizione, salvo che gli effetti traslativi si producano, come nel caso in esame, in un momento successivo. Tale momento, tuttavia, non può superare il limite di un anno, decorso il quale la cessione si considera comunque effettuata.
L'invio dei beni in "conto visione", quindi, nel rispetto del citato limite temporale, non assume rilevanza ai fini Iva. Tuttavia, il soggetto cedente deve adottare le misure adeguate per superare le presunzioni di cessione previste dalla normativa fiscale.
In particolare, gli adempimenti documentali da porre in essere possono essere riassunti come segue:
- al momento dell'invio del bene deve essere emesso un apposito DDT con apposita causale (es. "beni spediti in conto visione"), oppure deve essere annotata l'operazione sul libro giornale o sui registri Iva
- al momento della vendita del bene (con conseguente trasferimento della proprietà ) deve essere emessa regolare fattura
- nel caso di restituzione del bene da parte del soggetto al quale era stato concesso in "conto visione" entro un anno dalla consegna dello stesso occorre che lo stesso sia accompagnato da un DDT emesso dal cliente oppure, se in origine l'operazione era stata annotata sul libro giornale o sui registri Iva, fare una nuova annotazione per tenere traccia del rientro della merce.
Se entro un anno dalla consegna del bene in conto visione non si realizza la vendita né si ottiene la restituzione del bene, la cessione si considera comunque effettuate ed è quindi necessario emettere una fattura che certifichi l'operazione.
La consegna in "conto visione" può comportare il trasferimento dei beni in altri Stati membri della UE. Tale movimentazione non costituisce cessione intracomunitaria in quanto manca il requisito dell'onerosità . Anche in questo caso, tuttavia, è previsto il termine massimo di un anno dalla consegna decorso il quale, se i beni non vengono restituiti, la cessione intracomunitaria si considera comunque effettuata ed è necessario emettere fattura ed eventualmente compilare gli elenchi Intrastat.
Gli adempimenti documentali a carico del cedente sono quelli già esposti in precedenza, ai quali però si deve aggiungere la compilazione:
- di un apposito registro dove vanno annotati tutti i movimenti relativi a beni spediti e ricevuti in o da un altro Stato UE in base a un contratto diverso dalla vendita
- del modello Intrastat, nel momento della cessione definitiva del bene o decorso un anno dalla consegna originale senza che si sia verificata la restituzione del bene stesso.
In merito al quesito posto, si rileva che ai sensi dell’art. 6, primo comma, del D.P.R. 26 ottobre 1972, n. 633 le cessioni i cui effetti traslativi o costitutivi si producono posteriormente si considerano effettuate nel momento in cui si producono tali effetti e comunque, se riguardano beni mobili, dopo il decorso di un anno dalla consegna o spedizione.
Rientrano nelle ipotesi di cui sopra, le consegne di beni effettuate in conto prova o visione, contraddistinte da uno specifico accordo tra le parti in base al quale il ricevente, dopo aver preso visione del bene o averlo provato per un determinato periodo di tempo, può decidere o meno di acquistarlo. In questi casi, pertanto, il momento di effettuazione dell’operazione coincide con il momento in cui si perfeziona l’accordo di acquisto del bene, considerando comunque che, decorso un anno dall’atto di consegna del bene in conto prova/visione, la cessione si considera comunque effettuata.
Qualora vengano pertanto consegnati beni in conto prova o visione, sussistono entrambi i requisiti individuati ai fini della qualificazione della cessione come esportazione, cioè la natura oggettiva di cessione, ancorché ad effetti sospesi o rinviati, e la territorialità del bene, nonché l’ulteriore elemento dell’invio al di fuori del territorio dell’Unione europea, in quanto, seguendo quanto previsto dalla direttiva comunitaria, nelle ipotesi regolate dal citato art. 6, primo e secondo comma, del D.P.R. 26 ottobre 1972, n. 633, la territorialità dell’operazione differita è individuata nel momento in cui il bene viene spedito o trasportato a destinazione dell’acquirente a partire dal territorio nazionale.
Si rileva, inoltre, che l’art. 8, comma 1, del D.P.R. 26 ottobre 1972, n. 633 non impone che le predette condizioni si avverino secondo una specifica sequenza temporale. Ne deriva che il trasferimento della proprietà non deve necessariamente avvenire anteriormente al trasporto della merce, ben potendo, quest’ultima essere previamente inviata all’estero per essere ivi successivamente ceduta in conformità ai preventivi accordi di compravendita stipulati con il cliente estero.
Il rinvio degli effetti non incide quindi sulla natura dell’operazione ai fini dell’art. 8, comma 1, lettera a), del D.P.R. 26 ottobre 1972, n. 633 che, di conseguenza, mantiene la sua rilevanza anche nella determinazione del plafond disciplinato dal successivo secondo comma.
Quanto al momento della rilevanza dell’operazione, ai fini della determinazione del plafond, la cessione, conclusa quando i beni siano già stati trasferiti all’estero, viene qualificata come cessione all’esportazione con effetto ex nunc, cioè quando gli effetti sospensivi dell’operazione cessano, dando luogo alla compravendita.
Con riferimento a tale momento l’operatore deve emettere la fattura, indicando la norma di non imponibilità e provvedendo alla conseguente annotazione del documento. Si rileva, inoltre, che la Risoluzione n. 306/E del 21 luglio 2008, in una fattispecie di invio delle merci all’estero, senza che fosse in programma alcuna cessione, ha precisato che in tale evenienza l’invio di beni all’estero costituisce una mera esportazione franco valuta in cui manca uno degli elementi caratterizzanti le cessioni all’esportazione di cui al citato art. 8 del D.P.R. 26 ottobre 1972, n. 633 e cioè il trasferimento del diritto di proprietà sui beni stessi.
La citata Risoluzione viene richiamata anche dalla Risoluzione n. 94/E del 13 dicembre 2013, la quale cita ancora la sentenza della Suprema Corte di Cassazione n. 23588 del 20 dicembre 2012, nella quale viene affermato che debba sussistere il carattere definitivo dell’operazione, sicché ciò che risulta essenziale al fine di evitare iniziative fraudolente, è la prova (il cui onere grava sul contribuente) che l’operazione, fin dalla sua origine e nella relativa rappresentazione documentale, sia stata concepita in vista del definitivo trasferimento e cessione della merce all’estero.
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