Un’impresa nota e prestigiosa, titolare di un affermato brand commerciale, può vietare ai suoi distributori l’uso di mercati on-line quali Amazon o e-Bay? O, altrimenti detto, un simile divieto costituisce una violazione concorrenziale, sanzionata dall’antitrust comunitario?
Questo, in sintesi, il quesito posto dal giudice tedesco alla Corte UE, chiamata a decidere sul difficile rapporto tra piattaforme digitali e prodotti di marca, nell’ambito della distribuzione selettiva.
Le parti e il caso di specie
Coty Germany, società di diritto tedesco, produce cosmetici, distribuiti da intermediari esperti e fidati, tra cui Parfümerie Akzente, che rivende, a sua volta, ai dettaglianti selezionati in Germania.
Premesso che il modello prescelto è quello della distribuzione selettiva, la lite fra imprese scaturiva dal fatto che Parfümerie Akzente operava contemporaneamente nel mondo virtuale, distribuendo anche tramite due siti:
- il primo, gestito direttamente dal citato intermediario
- il secondo, riconducibile invece all’universo Amazon.
Sul fatto, Coty Germany richiamava immediatamente l’intermediario, cui veniva ribadito il divieto di vendere a terzi estranei alla rete, e, in quanto tali esclusi dal sistema selettivo, come per l’appunto nel caso di Amazon. Individuata la falla nella rete selettiva, Coty Germany si prodigava, infine, nel rettificare il proprio modello contrattuale, per prevenire nuovi o simili inconvenienti.
Il rinnovato contratto, adottato nel 2012, introduceva così un più stretto controllo sulle vendite on-line, da attuarsi tramite vetrine elettroniche conformi all’immagine e al brand del produttore, con contestuale divieto di vendite web gestite da terzi estranei alla rete distributiva. E tutto ciò - sempre secondo il produttore - in conformità al Regolamento 330/2010 e annesse guidelines , che disciplinano le modalità con cui le parti di un contratto di distribuzione acquistano, vendono o rivendono beni o servizi.
Di tutt’altro avviso, ovvio, Parfümerie Akzente che rifiutava l’integrazione contrattuale imposta da Coty Germany a partire dal 2012. Rifiuto giustificato in virtù dell’obsolescenza del citato regolamento, che - in tema di vendite on-line e sempre nell’ottica del distributore - sarebbe superato dalle più recenti indicazioni della Corte UE formulate nel caso Pierre Fabre .
Secondo l’intermediario, in tale sentenza il giudice comunitario avrebbe, infatti, affermato che organizzare un sistema selettivo per preservare solo l’immagine o il prestigio di un brand potrebbe non essere giustificato e costituire una restrizione concorrenziale ai sensi dell’antitrust comunitario.
Giudizio di primo grado
Incapaci di trovare un accordo, le imprese si affrontavano in tribunale - e nella specie, dinnanzi al Tribunale di Francoforte - secondo il quale, il divieto di servirsi di un’impresa terza attiva nel commercio on-line, costituirebbe una restrizione concorrenziale grave, e, in quanto tale, vietata sia dal Trattato UE, che dalla normativa nazionale. E non solo.
La corte tedesca, oltre a sposare la tesi dell’intermediario, rincarava poi la dose, affermando come, nella specie, non fosse ipotizzabile neppure una “giustifica individuale” a tutela del produttore, anche solo temporanea. Netto, pertanto, il K.O. di Coty Germany e annessa rete distributiva, che – in virtù di una simile lettura del caso Pierre Fabre – veniva bandita in quanto sorretta dal solo fine di preservare l’immagine e il prestigio del brand tedesco.
Giudizio di secondo grado e rinvio alla Corte UE
Soccombente in primo grado, Coty Germany per tutelare la sua rete distributiva non poteva che impugnare l’avversa sentenza presso la Corte d’appello di Francoforte (Oberlandesgericht Frankfurt am Main). E proprio a questa, o meglio, alla relativa sezione antitrust, toccava ammettere le difficolta del caso, talmente complesso da richiedere un intervento della Corte UE per dissipare ogni dubbio interpretativo quanto al citato precedente Pierre Fabre.
Se infatti, in quel caso, il giudice comunitario subordinava la liceità della rete selettiva ad una scelta dei rivenditori guidata da criteri oggettivi d’indole qualitativa - stabiliti indistintamente per tutti e in modo non discriminatorio, e soprattutto in linea con le caratteristiche del prodotto, onde preservarne qualità ed un uso corretto - dall’altro, quella sentenza, conteneva alcuni passaggi molto pericolosi per la sopravvivenza stessa di una rete selettiva fondata solo su ragioni di brand-image.
Nel caso in questione la Corte UE affermava, infatti, come l’obiettivo di preservare l’immagine di prestigio di un’impresa non possa di per se rappresentare una ragione per restringere la concorrenza, aprendo così la via ad una possibile illiceità antitrust di una rete selettiva volta a tutelare esclusivamente un brand o, comunque, un’immagine commerciale prestigiosa.
Dinnanzi a simili incertezze, in grado di mettere addirittura in forse l’esistenza stessa di una rete selettiva focalizzata sull’immagine e sul prestigio del prodotto e/o produttore, il Tribunale di Francoforte optava per un rinvio chiarificatore alla Corte UE , formalmente investita di una missione tutt’altro che semplice.
Diversi i quesiti posti dal giudice nazionale a quello comunitario, tutti di grande rilevanza. A partire da quello principe, volto a chiarire se un sistema di distribuzione selettiva - creato per distribuire prodotti di prestigio, finalizzato a garantire un’«immagine di lusso» del prodotto - sia, o meno, compatibile con la normativa comunitaria a tutela della concorrenza (v. art. 101, par. 1, TFUE).
Ammessa, e non concessa, la legittimità di una simile rete selettiva, il giudice tedesco chiedeva poi alla Corte UE di rispondere ad altri quesiti e nell’ordine: se sia compatibile, o meno, con l’antitrust comunitario il divieto generale imposto ai dettaglianti membri di una rete selettiva, di servirsi, per le vendite a mezzo internet, d’imprese terze, senza che rilevi il mancato soddisfacimento dei requisiti di qualità posti dal produttore; o ancora, sempre più sul tecnico, se il Regolamento 330/2010 debba interpretarsi nel senso che un divieto imposto ai citati dettaglianti di servirsi, per le vendite on-line, d’imprese terze, costituisca una grave restrizione concorrenziale volta a limitare la clientela del distributore al dettaglio, o ancora, le vendite passive agli utenti finali, e pertanto, sempre vietata nella distribuzione selettiva.
Brevi conclusioni
Per chiudere, sorvolando sui risvolti tecnico-giuridici del caso, la Corte UE dovrà decidere su questioni, non solo complesse, ma anche d’immediato impatto sulle politiche distributive di molte società titolari di un’immagine e/o brand rinomati.
In attesa della sentenza, come pure delle conclusioni dell’Avvocato Generale - ad oggi ancora da designare - non resta che controllare (e ricontrollare) i propri contratti, consapevoli che la disciplina delle vendite on-line, rappresenta, almeno potenzialmente, un punto critico di ogni accordo distributivo, e, in quanto tale, degno di massima attenzione.
Avv. Roberto Salini