Se l'agente risiede in un paese fuori dall'Unione europea, non è possibile dare una risposta in termini generali. Infatti, si dovrà accertare nel caso specifico se la legge dell'agente contenga disposizioni protettive e, in caso affermativo, se tale legge consenta che esse vengano derogate attraverso la scelta della legge applicabile.
Nell'ambito dell'Unione europea la risposta dovrebbe essere più facile, dal momento che tutti gli Stati membri hanno attuato la direttiva 86/653 che prevede una serie di norme a tutela dell'agente di commercio.
A prima vista sembrerebbe che le leggi degli Stati che hanno correttamente attuato la direttiva (che sono, fino a prova contraria, tutti i paesi dell'Unione europea) debbano considerarsi equivalenti e che la scelta di una di esse (come la legge italiana) non debba poter essere contestata.In realtà, la situazione è più complessa in quanto la direttiva consente soluzioni anche notevolmente diversificate. Infatti, da un lato la direttiva stessa permette agli Stati membri di scegliere tra due diversi tipi di indennità di fine rapporto:
- quella "tedesca", con un limite massimo di un anno di provvigioni
- e quella francese, che permette di riconoscere somme più elevate (la giurisprudenza francese si attesta sui due anni).
Inoltre, anche adottando la soluzione "tedesca", nulla vieta al legislatore nazionale di prevedere soluzioni più favorevoli all'agente: così, la legge belga prevede, in aggiunta all'indennità, il diritto ad un risarcimento del pregiudizio derivante dalla cessazione – anche legittima – del contratto.
In tutti questi casi di tutela "rinforzata" il legislatore nazionale può decidere di qualificare tali norme come "internazionalmente inderogabili" o "di applicazione necessaria", stabilendo che le stesse si applicano sempre all'agente stabilito nello Stato in questione, anche se le parti hanno scelto nel loro contratto di applicare una legge diversa (come, ad esempio, quella del preponente)?
O si deve concludere che ciò non è ammissibile quando si tratta di leggi basate sulla medesima direttiva comunitaria?
La sentenza della Corte europea
Nel caso UNAMAR la Corte di giustizia europea si è pronunciata appunto sulla questione di cui sopra, relativa all'efficacia di clausole di scelta della legge applicabile contenute in contratti di agenzia commerciale.
Il caso riguardava un contratto di agenzia tra una società di navigazione bulgara (NMB) ed un agente belga (UNAMAR) contenente una clausola di scelta della legge bulgara come legge applicabile ed una clausola arbitrale in favore di un'istituzione arbitrale di tale paese. In seguito alla risoluzione del contratto, UNAMAR iniziava una causa davanti ai giudici belgi per il riconoscimento dell'indennità di clientela e di ulteriori indennità spettanti sulla base di tale legge.
Dal momento che le due normative invocate (bulgara e belga) danno attuazione alla medesima direttiva europea (direttiva 86/653 sugli agenti commerciali indipendenti), si poneva la questione di vedere se il tribunale belga potesse disattendere la scelta della legge bulgara effettuata dalle parti applicando invece la legge belga del 13 aprile 1995 che prevede un più elevato livello di protezione dell'agente e che stabilisce espressamente all'art. 27 che:
- « ... ogni attività di un agente commerciale che abbia la sede principale in Belgio è assoggettata alla legge belga e rientra nella competenza giurisdizionale dei tribunali belgi».
Il caso giungeva davanti alla Corte di Cassazione e quest'ultima decideva di sottoporre alla Corte di giustizia europea la questione se, in base alle norme della Convenzione di Roma del 1980sulla legge applicabile alle obbligazioni contrattuali, applicabile nel caso di specie essendo il contratto in questione stato stipulato prima dell'entrata in vigore del regolamento 593/2008 (Roma I) che ha sostituito la convenzione citata
- « ... le norme imperative [di applicazione necessaria] * in vigore nel paese del giudice, che offrono una tutela più ampia della protezione minima imposta dalla direttiva [86/653], debbano essere applicate al contratto, anche se risulta che il diritto applicabile al contratto è il diritto di un altro Stato membro dell’Unione europea nel quale è stata parimenti attuata la protezione minima offerta dalla direttiva».
Ora, sulla questione se un tribunale nazionale possa applicare le norme di applicazione necessaria del foro in luogo della legge scelta dalle parti, l'art. 7(2) della convenzione di Roma stabilisce espressamente che:
- « ... la presente convenzione non può impedire l'applicazione di norme in vigore nel paese del giudice, le quali disciplinano imperativamente il caso concreto indipendentemente dalla legge che regola il contratto.»
Ciò significa che il giudice nazionale ha il potere di applicare eventuali norme di applicazione necessaria del foro, in luogo della legge che sarebbe altrimenti applicabile.
Tuttavia, nel caso di specie si presentava un problema aggiuntivo, relativo al coordinamento del principio di cui sopra con la normativa europea, in quanto la legge che il giudice belga intendeva disapplicare sulla base dell'art. 7(2) della Convenzione di Roma (e cioè, la legge bulgara) è basata sulla medesima direttiva su cui si basa la legge belga.
In questo contesto l'applicazione di norme di applicazione necessaria del foro (in luogo della legge scelta dalle parti) potrebbe porsi in conflitto con la finalità armonizzatrice della direttiva e con il principio che le parti debbono essere libere di scegliere tra due leggi che attuano correttamente la medesima direttiva europea. D'altro canto, visto che la direttiva non impone delle norme uniformi, gli Stati membri sono liberi di prevedere soluzioni più favorevoli all'agente e quindi di pretenderne l'osservanza da parte dei propri giudici.
La Corte di giustizia ha optato per una soluzione di compromesso, affermando che il tribunale nazionale può applicare le norme più protettive del proprio ordinamento (in luogo della legge scelta dalle parti),
- « ... unicamente se il giudice adito constata in modo circostanziato che, nell’ambito di tale trasposizione, il legislatore dello Stato del foro ha ritenuto cruciale, in seno all’ordinamento giuridico interessato, riconoscere all’agente commerciale una protezione ulteriore rispetto a quella prevista dalla citata direttiva, tenendo conto, al riguardo, della natura e dell’oggetto di tali disposizioni imperative».
Sembrerebbe quindi che, per poter prevalere sulla legge di un altro paese basata sulla medesima direttiva, non sia sufficiente che le norme dello Stato del foro prevedano un livello più elevato di protezione ed attribuiscano loro carattere di norme internazionalmente inderogabili, ma che debba altresì risultare che tale scelta sia di importanza cruciale per l'ordinamento in questione, in considerazione della natura e delle finalità perseguite dalle norme in questione.
In altri termini, la Corte di giustizia sembra richiedere che, affinché la norma del foro possa prevalere sulla legge altrimenti applicabile, non basti che il legislatore la qualifichi come norma che dev'essere applicata quale che sia la legge applicabile (conformemente al principio sancito dall'art. 7(2) della convenzione di Roma) ma che debba anche essere rispettata una condizione ulteriore, e cioè che si tratti di una norma rientrante nella definizione contenuta nell'art. 9(1) del regolamento Roma I – n. 593/2008, e cioè di una norma:
- «... il cui rispetto è ritenuto cruciale da un paese per la salvaguardia dei suoi interessi pubblici, quali la sua organizzazione politica, sociale o economica, al punto da esigerne l’applicazione a tutte le situazioni che rientrino nel loro campo d’applicazione, qualunque sia la legge applicabile al contratto ...»
Resta comunque aperta la questione di vedere come i principi affermati dalla Corte di giustizia verranno applicati in concreto dai giudici nazionali. L'unica considerazione che si può fare al momento attuale è che il fatto in sé di qualificare certe disposizioni di attuazione di una direttiva come norme di applicazione necessaria (che debbono quindi essere applicate quale che sia la legge regolatrice del contratto) non implica automaticamente che esse prevalgano sulle norme di un altro Stato membro che abbia attuato correttamente la direttiva. Infatti, affinché si produca tale effetto si dovrà procedere ad un'analisi ulteriore della finalità e dell'importanza delle norme di applicazione necessaria del foro che permetta di concludere che la disapplicazione della normativa altrimenti applicabile è oggettivamente giustificata.
Le conseguenze per gli operatori
La domanda che si presenta all'esportatore italiano che abbia stipulato contratti con agenti di altri paesi dell'Unione europea è ovviamente quella di sapere se ed in che misura l'eventuale scelta della legge italiana sia efficace.
A questo proposito conviene anzitutto verificare quale sia la giurisdizione competente.
Se il preponente italiano ha previsto nel contratto, debitamente firmato dalle parti, una clausola di deroga del foro in favore dei tribunali italiani, il problema non dovrebbe presentarsi, in quanto i giudici del paese dell’agente dovranno dichiararsi incompetenti e non poter quindi applicare le norme di applicazione necessaria del proprio paese.
Quando, invece, manchi una clausola di scelta del foro, l'agente straniero potrà agire contro il preponente italiano davanti ai propri giudici, sulla base dell'art. 5 del regolamento Bruxelles I, con la conseguenza che si dovranno applicare i principi affermati dalla Corte di giustizia nel caso UNAMAR.
A questo proposito occorre distinguere a seconda che il legislatore nazionale abbia o meno inteso attribuire alle proprie norme valore di disposizioni che debbono trovare applicazione quale che sia la legge applicabile.
Quando non vi siano elementi che permettono di ravvisare una scelta di questo tipo (come ad es. nel caso della legge francese) è ragionevole ritenere che il giudice di tale paese riconosca come efficace la scelta della legge di un altro Stato membro.
Quando invece il legislatore del paese dell'agente abbia previsto espressamente che la propria legge (o particolari norme protettive della stessa) debbano applicarsi quale che sia la legge applicabile al contratto (come ad es. le leggi dei paesi scandinavi), il giudice di tale paese dovrà accertare, sulla base dei criteri stabiliti dalla Corte di Giustizia, se il fatto di disconoscere la scelta fatta dalle parti di una legge diversa sia oggettivamente giustificato.
Non essendo possibile prevedere, al momento attuale, quale sarà la posizione assunta dai giudici nazionali, è comunque consigliabile prevedere espressamente una scelta del foro in favore dei giudici italiani, in modo da impedire che l'agente straniero possa portare la controversia davanti ai propri giudici.
Va invece valutata con prudenza, in questo contesto, la scelta dell'arbitrato internazionale in quanto l'eventuale scelta del legislatore di alcuni Stati membri di riservare la competenza ai giudici locali potrebbe essere considerata come una scelta di considerare la materia non arbitrabile, con conseguente inefficacia della clausola arbitrale.
Avv. Prof. Fabio Bortolotti
*Il riferimento, nella traduzione italiana della sentenza della Corte (al § 26, che riporta la questione pregiudiziale formulata dalla Corte di Cassazione belga) alle "norme imperative" non è corretto, il termine esatto essendo "norme di applicazione necessaria"