Per lavoratore distaccato si intende colui il quale per un limitato periodo di tempo è inviato dal proprio datore di lavoro a prestare servizio in un altro Stato membro. Dunque, il soggiorno all'estero è temporaneo e, in ogni caso, il lavoratore resta alle dipendenze dell’impresa che lo invia.
Ciò risponde al principio della “libera circolazione dei servizi”, pietra angolare del mercato unico, in virtù del quale le imprese possono fornire servizi in un altro Stato membro senza doversi necessariamente stabilire lì.
Si tratta di un fenomeno molto diffuso oggigiorno, tanto che, nel 2015, sono stati registrati circa 2 milioni di lavoratori europei distaccati, sebbene questi rappresentino ancora una minoranza nel mondo del lavoro, ovvero lo 0,7% dei lavoratori comunitari.
Secondo una classifica realizzata dalla Commissione Europea, nel 2015 il Paese con la percentuale più alta di lavoratori distaccati, inviati in altri Paesi, è la Polonia. L’Italia si colloca invece al 6° posto, mentre, in ultima posizione, vi è il Regno Unito.
Direttive UE
L’UE ha regolamentato le condizioni di lavoro applicabili a tali lavoratori, al fine di garantire il corretto funzionamento del mercato unico. La prima direttiva in materia è stata adottata nel 1996, Direttiva 96/71/UE, la quale stabilisce che ai lavoratori distaccati in altro Stato membro, anche se ancora alle dipendenze dell’impresa di invio e soggetti alla legislazione dello Stato membro di partenza, devono essere applicate per legge condizioni minime anche nello Stato membro ospitante, fermo restando il diritto del datore di lavoro di riconoscere condizioni di lavoro più favorevoli.
Queste attengono a tariffe salariali minime, ai periodi massimi di lavoro e ai periodi minimi di riposo, alla durata minima delle ferie annuali retribuite, alla sicurezza, alla salute e igiene sul luogo di lavoro.
In tal modo il datore di lavoro è sottoposto ad un regime fiscale misto, in quanto continua a pagare al lavoratore i contributi sociali del Paese di origine e non di quello dove viene svolta la prestazione lavorativa.
Nel 2014 è stata poi approvata la “direttiva di applicazione” (Direttiva 2014/67/UE), volta a rafforzare l’applicazione pratica delle regole relative al distacco dei lavoratori e ad affrontare questioni relative a frodi, elusione delle norme e scambio di informazioni tra Stati membri.
Ma dal 1996 ad oggi la situazione economica comunitaria è notevolmente cambiata e le norme in uso, relative al distacco dei lavoratori, si sono rilevate inadatte a fronteggiare le pratiche sleali sempre più diffuse, volte ad un vero e proprio sfruttamento di tali lavoratori.
Dumping sociale
Negli ultimi due decenni il mercato unico è fortemente cresciuto e ciò ha comportato anche l’ampliarsi delle differenze salariali. È stato così incentivato, anche se involontariamente, l’utilizzo del fenomeno del distacco per sfruttare tali differenze.
Accade, infatti, che le imprese di invio, dovendosi attenere unicamente alle tariffe salariali minime dello Stato ospitante, attribuiscano al lavoratore distaccato, a parità di lavoro, un salario molto inferiore rispetto a quello percepito dai lavorati locali, a volte, addirittura, inferiore al 50%. Ciò determina un vero e proprio fenomeno di dumping sociale, che altera la concorrenza leale tra le imprese, minando il corretto funzionamento del mercato unico.
La Commissione europea, dunque, ha proposto una modifica della direttiva del 1996, la quale prevede che per la retribuzione dei lavoratori distaccati siano applicate le stesse regole dello Stato membro ospitante, quali definite dalla legge o dai contratti collettivi di applicazione generale.
Oltre al salario minimo, i lavoratori distaccati avranno diritto a tutti i bonus, indennità o aumenti salariali legati all’anzianità, previsti nel Paese del distacco. Gli europarlamentari chiedono che le imprese non sottraggano le spese di alloggio, trasporto e alimentazione e che i rimborsi si basino sulle regole del Paese in cui lavorano.
Dopo lunghe trattive, gli Stati della Comunità europea hanno raggiunto un compromesso, che prevede un periodo di transizione di 4 anni e necessita dell’approvazione dal Parlamento europeo per poter entrare in vigore.
È stato modificato anche il limite temporale del distacco, prima di 2 anni e ora, su insistenza soprattutto della Francia, ridotto ad 1 anno, ma allungabile di altri 6 mesi su richiesta dell’impresa e con il benestare del Paese ospitante.
Solo il settore dei trasporti, particolarmente sensibile ai rischi di una concorrenza sleale, non è stato toccato da tali modifiche, continuando ad essere disciplinato dalla direttiva del 1996, fino a quando non entrerà in vigore un nuovo pacchetto di misure appositamente dedicate a tale settore.
Dunque, grazie a tali recenti modifiche si è sempre più vicini al riconoscimento e all’applicazione del principio in base al quale ai lavoratori distaccati va assicurata “la stessa retribuzione per lo stesso lavoro nello stesso posto di lavoro”.
Giuseppe De Marinis