Come si legge nella Gazzetta Ufficiale n. 55 dell'8 marzo 2005, l'accordo (entrato in vigore il 21 dicembre 2004) prevede che ogni parte sia obbligata a riconoscere e a consentire l'esecuzione delle sentenze dell'autorità giudiziaria e gli atti autenticati emessi nel territorio dell'altra parte, nei seguenti casi:
- sentenze definitive (passate in giudicato) relative a cause civili, commerciali, del lavoro e sullo stato civile, che possono essere eseguite coattivamente, nonché transazioni che pongono fine alle controversie e che sono approvate dall'autorità giudiziaria
- sentenze definitive ed eseguibili emesse dai tribunali penali, per la parte che si riferisce a risarcimenti del danno o a restituzione dei beni
- atti autenticati che possono essere eseguiti coattivamente.
Affinché le sentenze e gli atti autenticati (di cui sopra) siano riconosciuti e sia consentita la loro esecuzione devono essere soddisfatte le seguenti condizioni:
- devono essere dichiarati coattivamente eseguibili ai sensi delle leggi dello Stato che li ha emessi
- la parte soccombente – non comparsa al processo – deve essere stata ritualmente citata conformemente alle leggi della parte richiedente dove la sentenza è stata emessa
- nessuna sentenza, avente lo stesso oggetto o la stessa istanza, deve essere stata emessa da un tribunale della parte, il cui riconoscimento e la cui esecuzione siano richiesti fra le stesse parti
- un procedimento avente lo stesso oggetto e la stessa istanza non deve essere pendente dinanzi alle autorità competenti
- il riconoscimento e l'esecuzione della sentenza non devono violare i principi fondamentali delle leggi, della sovranità, della sicurezza e dell'ordine pubblico della parte richiesta.
Inoltre, la richiesta di riconoscimento e di esecuzione delle sentenze deve rispettare una serie di formalità, nel senso che la richiesta deve essere accompagnata da:
- una copia originale della sentenza del tribunale, un accordo di conciliazione certificato dal tribunale, oppure un atto autenticato o una sua copia autenticata
- un attestato da cui risulti che la sentenza o l'accordo di conciliazione sono definitivi e coattivamente eseguibili
- un attestato da cui risulti che la parte soccombente contumace è stata citata e che le è stato concesso un periodo sufficiente per presenziare al processo in conformità alla legislazione della parte nel cui territorio è stata emessa la sentenza
- una traduzione ufficiale in lingua inglese della suddetta richiesta e dei documenti finora elencati.
Prima dell'entrata in vigore dell'accordo
La tradizionale strategia processuale delle imprese italiane impegnate commercialmente con soggetti kuwaitiani, consisteva:
- nel trascurare eventuali azioni intentate contro le stesse in Kuwait (confidando nelle possibilità di impedire la delibazione di una sentenza kuwaitiana offerte dalla vigente normativa italiana)
- nel puntare, in caso di azione offensiva, su un'azione diretta nel paese della controparte (in considerazione delle difficoltà di ottenere il riconoscimento di un'eventuale sentenza italiana in Kuwait).
La nuova strategia processuale
Ora, con la conclusione del nuovo accordo, nel cui contesto l'esecuzione delle sentenze da un Paese all'altro risulta decisamente più facile, la precedente impostazione appare capovolta.
- Da un lato, quando si tratti di instaurare un'azione contro la controparte kuwaitiana, si cercherà di puntare sull'azione in Italia, in vista di una successiva esecuzione in Kuwait della sentenza che verrà pronunciata.
- Dall'altro, in caso di eventuale azione in Kuwait, diventa necessario difendersi subito in quest'ultimo Stato (dal momento che una sentenza resa in tale paese potrà facilmente ottenere riconoscimento ed esecuzione in Italia), oppure iniziare in Italia un procedimento avente lo stesso oggetto al fine di impedire il riconoscimento dell'eventuale successiva sentenza kuwaitiana.
In merito a quest'ultimo aspetto, è interessante osservare che, in virtù del nuovo accordo, potrebbe verificarsi il riconoscimento di una sentenza kuwaitiana emessa da un giudice incompetente secondo i principi propri dell'ordinamento italiano.
Ciò a causa del fatto che il recente accordo tra Italia e Kuwait non prevede, tra i requisiti necessari per il riconoscimento, quello per cui la sentenza straniera sia stata pronunciata da un giudice competente secondo i principi sulla competenza giurisdizionale propri dell'ordinamento italiano, come stabilisce, invece, l'articolo 64 della Legge italiana n. 218 del 1995 di riforma del diritto internazionale privato.
Da questo punto di vista, l'accordo assomiglia al Regolamento CE 44/2001 e alla Convenzione di Lugano del 1988 che, nel disciplinare l'esecuzione delle decisioni in materia civile e commerciale, non annoverano questa ipotesi (ossia, che la sentenza sia stata pronunciata da un giudice incompetente secondo i principi dell'ordinamento interno) tra le cause che impediscono il riconoscimento e l'esecuzione delle sentenze straniere.
Foro competente
Tuttavia, un rilevante aspetto di differenza è dato dal fatto che, al contrario del Regolamento CE 44/2001 e della Convenzione di Lugano del 1988, l'accordo fra Italia e Kuwait di cui si discute non contiene norme comuni finalizzate all'individuazione del giudice competente a decidere le liti nascenti dal rapporto giuridico che ha fatto sorgere la controversia.
Dunque, per il contraente italiano che intende concludere un contratto con un soggetto kuwaitiano, sarà importante cercare di inserire nel contratto una clausola che individui quale foro competente quello italiano, cosicché, qualora dovesse sorgere una controversia tra le parti, il soggetto italiano potrà rivolgersi ai giudici del proprio Stato, confidando nel fatto che il provvedimento che verrà emesso potrà essere riconosciuto e reso esecutivo anche in Kuwait o, comunque, che la successiva sentenza che verrà pronunciata in Kuwait non potrà essere riconosciuta ed eseguita in Italia.
Arianna Ruggieri