Analizziamo le due esigenze che si intrecciano e si scambiano valore per creare un ottimale brand awareness sia rispetto all’offerta commerciale sia rispetto al progetto imprenditoriale.
Lo sviluppo estero della rete è doppiamente problematico per tutti quegli elementi cosiddetti essenziali dalla norma, che costituiscono parte del know-how esclusivo ceduto in uso ai franchisee, i quali non sono tutelabili al pari di marchi e brevetti:
- da un lato, l’esigenza di strutturare uno sviluppo che consenta di mantenere intatto il modello di business pur adattando alcuni dettagli,
- dall’altro l’esigenza di tutelare ogni elemento del modello per non incorrere sia nella dispersione di immagine e know-how sia nell’inadempimento verso i franchisee (master e single-unit) relativamente ai diritti d’uso di marchi e know-how per i quali il partner versa specificatamente una fee iniziale e delle royalty periodiche, unitamente all’obbligo di perfetta replica di immagine e politica commerciale.
L’azienda che decide di diventare franchisor deve definire ed implementare i contenuti (elementi essenziali e proprietari), e deve altresì definire la piattaforma di condivisione di tali contenuti con i partner franchisee; in realtà, il sistema informativo della rete franchising non promana soltanto dalla casa-madre agli affiliati, ma anche dalla periferia al centro, in quanto i punti di vendita restituiranno i dati ed i feed-back di cui il franchisor avrà pre-impostato la raccolta. Dunque, i sistemi di franchising nascono quale piattaforma di collaborazione sia in termini generali sia in termini infrastrutturali con piattaforme interne condivise; le aziende franchisor sono dunque abituate a gestire le informazioni e la loro sistematizzazione al fine di creare valore, e di gestire l’interscambio di informazioni la gestione delle conversazioni di business.
Se è vero che la gestione delle informazioni al di fuori della rete debbono rispondere a più stringenti regole di riservatezza e ad un minor grado di elaborazione di nuove informazioni, è però innegabile che un’azienda il cui core business la porta a gestire l’informazione quale elemento sia di comunicazione sia di negoziazione interna (di fatto i franchisee sono “clienti interni”, con le implicazioni di gestione che questo comporta) possiede una competenza valida ai fini dell’utilizzo di piattaforme e markerplace per gestire i contatti con potenziali futuri partner.
Lo sviluppo franchising internazionale presuppone (oltre alla predisposizione di strategia/ formula franchising e mix per la distribuzione internazionale, business plan per singolo Paese/ macro-area, contratto per il partner-Paese e manuale operativo per lo sviluppo rete nell’area delegata) la capacità di attivazione di contatti di business con la comunità economica dei singoli Paesi-obiettivo; di volta in volta si possono ipotizzare diversi piani per il recruiting dei futuri partner, ma certamente non si potrà prescindere dagli enti di riferimento per la promozione delle aziende italiane all’estero, così come da liste di manager del retail e/o del settore di riferimento, ed ancora da associazioni di categoria locali ovvero dalla creazione di liste di investitori mediante eventi strutturati da organizzare nell’area di riferimento.
Tutto questo dall’Italia e gestendo contatti di differente livello e/o categoria: occorre dunque disporre di sistemi e piattaforme che favoriscano le “conversazioni di business” a più ampio raggio rispetto alla mera proposta di partnership internazionale, in quanto si tratta innanzitutto di accreditare il brand/insegna presso la comunità economica del Paese-obiettivo, poi di attivare una comunità di sostegno e promozione a latere dei contatti di prospect franchising, ed infine di lavorare sui target prescelti per la proposta di partnership vera e propria.
L’operazione passa necessariamente da portali e marketplace attivi nell’area di riferimento e dalla gestione di contatti e relazioni che producono dapprima una informazione di ritorno rispetto al grado di chiarezza della proposta di franchising internazionale, al grado di conoscenza e di credibilità del marchio/insegna quale potenziale partner commerciale, alla propensione della comunità economica locale a valutare un business nel settore considerato con un marchio straniero. Questo passaggio, per nulla limitato alla sola fase di prima introduzione nel Paese, è importantissimo per “misurare” la forza non già del business model del progetto franchising in sé, quanto della proposta di partnership congegnata per quello specifico Paese (per analogia, si può paragonare l’operazione ad una ricerca di mercato in cui si chiede ai buyer del settore come valutano la struttura dell’offerta di un prodotto che vogliamo esportare, per affinare proposta e listini prima di promuovere effettivamente il prodotto all’estero).
Si tratta di un’operazione di preparazione allo sviluppo effettivo della rete in quell’area, e per il franchisor in qualche modo segue le logiche di gestione dell’informazione che già ha all’attivo con la rete dei partner locali.
Analogo livello di difficoltà si riscontra poi nella replica dei modelli logistici nei diversi mercati, in particolare per i business nel food e nella ristorazione; è frequente la necessità di reperire fornitori locali per referenze non centrali e talora anche per referenze chiave, nonché di assicurarsi l’aderenza ad un protocollo di qualità previsto dalla casa-madre. Dunque, il franchisor deve impostare una ricerca molto attenta per definire in termini coerenti la filiera in ogni Paese-obiettivo raggiunto; i marketplace si rivelano molto utili per tale obiettivo, così come i referenti locali o funzionari specializzati degli enti italiani di sostegno all’internazionalizzazione. Il vantaggio del franchisor in questa ricerca è l’abitudine a sistematizzare l’informazione ed a replicare il proprio modello organizzativo in contesti diversi: l’esperienza ci ha dimostrato come l’azienda franchisor riesca a strutturarsi nel nuovo mercato più velocemente ed in termini più efficienti rispetto alla media di altre aziende esportatrici. Lo stesso sistema dei trasporti può differire fortemente da un Paese ad un altro e, a fronte dell’esigenza di uniformare tempistiche e periodicità delle forniture per i punti vendita della catena, il franchisor deve impostare la filiera logistica in termini ottimali; non è raro che ottenga da fornitori locali la riorganizzazione della loro struttura per raggiungere l’obiettivo, a fronte dei volumi prospettici della rete-Paese che sta nascendo nel mercato locale. Non dimentichiamo, infine, che quasi sempre il franchisor esporta le referenze principali se non l’intera gamma di offerta: l’ottimizzazione della filiera logistica dunque sarà integrata a livello internazionale, con accordi per i trasporti e le formalità doganali nonché per l’eventuale adattamento in accordo con la norma locale.
Raffaella Còndina