27 marzo 2020

Emergenza COVID-19 e commercio con l’estero: contratti internazionali

di lettura

L’emergenza sanitaria legata al COVID-19 e le misure di cui al DPCM 22 marzo 2020 impongono una immediata valutazione dei contratti commerciali in corso al fine di determinare se sia possibile invocare cause di “forza maggiore” o “hardship” per ottenerne la sospensione, risoluzione o rinegoziazione. 

Emergenza COVID-19 e commercio con l’estero: novità per i contratti internazionali

Valutiamo, nell’ambito dei contratti commerciali internazionali quali siano le disposizioni normative rilevanti e come utilizzarle. 

Per capire come le imprese italiane debbano attrezzarsi, dal punto di vista giuridico, per far fronte alla situazione attuale ed alle difficoltà, più o meno gravi e durature, nell’eseguire una prestazione di un contratto internazionale è necessario individuare la disciplina applicabile a tale contratto (soprattutto quelli di vendita, che sono i più frequenti) con particolare riferimento alle questioni della “forza maggiore” e della “hardship” (meglio nota nell’ordinamento italiano come “eccessiva onerosità sopravvenuta della prestazione”), tenendo altresì conto delle specifiche disposizioni adottate dal Governo per contenere la propagazione del contagio da COVID-19 e del principio generale che impone un obbligo di agire secondo buona fede nei rapporti fra le parti di un contratto. 

La nozione di “forza maggiore”

Sebbene la nozione di “forza maggiore” sia parte di numerosi sistemi giuridici nazionali (anche se non tutti) ed incorporata in strumenti di portata internazionale (quali, ad esempio la Convenzione delle Nazioni Unite sui contratti per la vendita internazionale di beni mobili, conclusa a Vienna l'11 aprile 1980 e spesso richiamata in apposite clausole contrattuali), occorre prestare particolare attenzione a quale sia lo strumento (di origine contrattuale, di diritto nazionale oppure internazionale) azionato per far valere l’impossibilità di eseguire una prestazione per cause di “forza maggiore” e valutare, alla luce di questo, le condizioni per poterne invocare l’applicazione e le relative conseguenze.

Contratti che contengono una clausola di “Force Majeure”

Sulla scorta di una prassi di origine anglosassone, è sempre più frequente incontrare nei contratti commerciali internazionali una clausola volta a definire quali siano gli eventi che possono qualificarsi come di “forza maggiore” e quali siano le conseguenze del verificarsi di tali eventi.

La stessa Camera di Commercio Internazionale (ICC) ha, in proposito, predisposto un modello di clausola di “Force Majeure” utilizzabile in contratti commerciali al fine di regolare le conseguenze dell’insorgere di eventi imprevedibili e fuori dal controllo delle parti che rendono la prestazione impossibile a titolo definitivo o anche solo temporaneamente. Tale modello è stato peraltro rivisto proprio nel marzo 2020. 

Ove il contratto contenga una specifica clausola di “Force Majeure”, occorrerà innanzitutto esaminare la disciplina ivi contenuta per valutare se la pandemia di COVID-19 e le misure nazionali e locali adottate in vista del suo contenimento rientrino fra gli eventi qualificati come di forza maggiore e, quindi, invocabili per esimere la parte affetta da tale evento da responsabilità per la mancata o ritardata esecuzione delle proprie prestazioni. 

Per quanto non sia specificamente previsto nella suddetta clausola e per l’interpretazione della stessa, occorrerà fare riferimento alle altre disposizioni applicabili al medesimo contratto quali, per esempio, la Convenzione delle Nazioni Unite sui contratti per la vendita internazionale di beni mobili, conclusa a Vienna l'11 aprile 1980 (meglio nota come “Convenzione di Vienna” o “CISG”), la legge italiana, la cosiddetta lex mercatoria, ovvero all’insieme dei principi generali del commercio internazionale, degli usi e delle pratiche contrattuali diffusi e consolidati, Principi UNIDROIT sui contratti del commercio internazionale, oppure ancora a principi generali dell’ordinamento quali l’obbligo di agire secondo buona fede nell’esecuzione dei contratti. 

I contratti internazionali di vendita di beni mobili disciplinati dalla Convenzione di Vienna

I contratti di vendita internazionale di beni mobili sono regolati dalla Convenzione di Vienna a condizione che le parti contraenti (venditore e compratore) abbiano la propria sede principale d’affari in due diversi Stati contraenti della Convenzione di Vienna oppure che la legge applicabile al contratto di vendita sia quella di uno Stato contraente, e che le parti non abbiano esplicitamente escluso la sua applicazione nel contratto. 

La Convenzione di Vienna contiene una disposizione, l’art. 79, che troverà molto probabilmente applicazione in circostanze quali quelle attuali derivanti dall’epidemia di COVID-19 e che prevede l’esenzione dalla responsabilità da inadempimento di un’obbligazione contrattuale, se:

  • ci si trova in presenza di un impedimento che rende (giuridicamente ed oggettivamente) l’esecuzione di tutti o parte degli obblighi derivanti dal contratto impossibile;
  • tale impedimento è indipendente dalla volontà e fuori dal controllo della parte inadempiente;
  • al momento della conclusione del contratto non ci si poteva ragionevolmente attendere che la parte inadempiente prevedesse l’impedimento o che adottasse misure per prevenire o evitare l’impedimento stesso o le sue conseguenze;
  • la parte inadempiente ha fatto quanto ragionevolmente possibile per evitare l’impedimento e le conseguenze da questo generate (ad esempio, dal lato del venditore, ricercando fornitori alternativi o utilizzando diversi metodi di spedizione);  
  • la parte inadempiente abbia informato l’altra parte, entro un termine ragionevole, dell’insorgere dell’impedimento e delle conseguenze dello stesso sulla propria capacità di dare esecuzione al contratto. 

Ove tali condizioni siano soddisfatte, il soggetto che si trova nell’impossibilità di eseguire tutte o alcune delle proprie obbligazioni contrattuali potrà invocare l’esenzione da responsabilità prevista dall’articolo 79 CISG. 

Si consideri, tuttavia, che l’impedimento invocato ai sensi dell’articolo 79 CISG dovrà rendere l’esecuzione del contratto (o parte di esso) impossibile e non, semplicemente, più difficile o onerosa. L’articolo 79 CISG non ricomprende, infatti, i casi in cui per ragioni, pur indipendenti dalla volontà della parte inadempiente ed imprevedibili al momento della conclusione del contratto, l’esecuzione di tale contratto divenga successivamente più onerosa (per esempio, per l’aumento del prezzo delle materie prime). 

Inoltre, l’esenzione prevista dell’articolo 79 CISG coprirà solamente i casi di contratti conclusi prima dell’insorgere dell’emergenza Coronavirus poiché, dopo tale momento, questo impedimento all’esecuzione del contratto dovrà considerarsi noto alla parte inadempiente che avrebbe dovuto tenerlo in considerazione nella fase di negoziazione del contratto stesso (ad es.: chiedendo termini di consegna più lunghi, ecc.). 

Vi sono, poi, alcune ulteriori considerazioni che devono essere fatte alla luce delle disposizioni dell’articolo 79 CISG: in primis, che l’esenzione da responsabilità per inadempimento ivi prevista non priva l’altra parte della facoltà di avvalersi degli altri rimedi previsti dalla CISG (ad esempio, la risoluzione del contratto). 

In secondo luogo, che l’articolo 79 CISG, comma secondo, solo in casi assai limitati consente di invocare l’evento di forza maggiore che colpisca un fornitore della parte inadempiente quale esimente da responsabilità. 

In terzo luogo che, in mancanza di una tempestiva notificazione dell’insorgere dell’impedimento dovuto a cause di “forza maggiore”, la parte inadempiente non sarà esonerata da responsabilità e dovrà, quindi, dare esecuzione alla prestazione promessa oppure risarcire i danni derivanti dall’inadempimento.

I contratti di vendita disciplinati esclusivamente dalla legge italiana

Per i contratti ai quali risulti applicabile solo la legge italiana, assumeranno particolare rilevanza le disposizioni degli articoli 1256 e 1467 del Codice civile, nonché la recente disposizione di cui all’articolo 91 del DL 18/2020 (c.d. “Cura Italia”).

L’articolo 1256 c.c. consente al debitore che, senza colpa, si trovi nell’impossibilità di adempiere alla propria prestazione, di liberarsi dal contratto oppure, nel caso di impossibilità temporanea (come dovrebbe essere quella derivante dall’emergenza COVID-19), di non essere ritenuto responsabile del ritardo nell’adempimento (ad es. per la ritardata consegna di prodotti). Ove tale impossibilità temporanea perduri e ciò renda la prestazione non più esigibile nei confronti del venditore oppure il compratore non abbia più interesse a riceverla, il contratto sarà - anche in questa circostanza - risolto. Si noti che l’interpretazione dei giudici italiano della nozione di “impossibilità” è sempre stata restrittiva, cioè limitata ai casi di impossibilità assoluta, determinata sulla base di criteri oggettivi. 

Qualche esempio può certamente chiarire cosa si debba intendere per “impossibilità della prestazione” alla luce della giurisprudenza: 

  • In relazione ad un contratto di fornitura di tubature metalliche da consegnarsi in Germania, se interviene una misura di blocco delle frontiere con l’Austria la prestazione del venditore rimane possibile, seppur a fronte di un incremento dei costi e dei tempi necessari per l’esecuzione. Infatti, il venditore ben potrà effettuare una spedizione dei prodotti contrattuali che “aggiri” il territorio austriaco sottoposto a blocco; oppure
  • In un contratto avente ad oggetto la vendita di 100 ettolitri di vino rosso da tavola, anche nel caso in cui l’attività produttiva del venditore sia sospesa, questo avrà sempre la possibilità di acquistare i medesimi 100 ettolitri di vino rosso da tavola da un terzo la cui attività produttiva non sia soggetta a sospensione e consegnarli (o farli consegnare) all’acquirente. L’obbligazione rimane comunque possibile se valutata in base a parametri oggettivi.

Diverso sarebbe se il contratto avesse ad oggetto la vendita di 100 ettolitri di vino rosso da tavola DOCG Dolcetto di Dogliani, di uno specifico produttore e di un’annata determinata, che il venditore si era procurato per tempo ma che per colpa a lui non imputabile sono andati distrutti: in tali circostanze, l’acquisto di prodotti in sostituzione presso un terzo potrebbe risultare del tutto impossibile (per esaurimento delle scorte) e la prestazione essere considerata quindi impossibile. 

Il possibile impatto delle misure di contenimento dell’epidemia di COVID-19 è stato peraltro preso in considerazione dal Governo che ha, quindi, adottato una specifica disposizione per alleviare la possibile esposizione dei soggetti che non siano in condizione di adempiere ai propri obblighi. Il decreto legge “Cura Italia” (DL 17 marzo 2020 n. 18) ha previsto, all’articolo 91 che “Il rispetto delle misure di contenimento di cui [al] presente decreto è sempre valutata ai fini dell'esclusione, ai sensi e per gli effetti degli articoli 1218 e 1223 c.c., della responsabilità del debitore, anche relativamente all’applicazione di eventuali decadenze o penali connessea ritardati o omessi adempimenti.”

Tale norma, pur non qualificando esplicitamente l’emergenza COVID-19 quale causa non imputabile al venditore che rende la prestazione impossibile, anche solo temporaneamente, impone che nel valutare la responsabilità del debitore per mancato o ritardato adempimento si debba tenere conto dell’impatto delle misure di contenimento del Coronavirus. 

I Contratti internazionali per i quali sia stata esclusa l’applicazione di ogni legge nazionale

Nel settore del commercio internazionale non è raro imbattersi in contratti che, per scelta delle parti e in un’ottica di equilibrio fra le medesime parti, escludono espressamente l’applicazione di una legge nazionale, rimandando invece ai “principi generali del diritto internazionale” o “del commercio internazionale”, alla “lex mercatoria”, o direttamente ai Principi UNIDROIT.

In tali contratti, la valutazione in merito alla possibilità di invocare l’emergenza Coronavirus quale esimente dalla responsabilità per mancata o ritardata esecuzione delle prestazioni potrà essere ricercata anche nei principi delineati dagli UNIDROIT Principles (versione 2016) o nella lex mercatoria.

In particolare, il principio UNIDROIT 7.1.7 prevede una disciplina della forza maggiore ed i suoi effetti sul contratto di natura ed applicazione molto simili a quella suindicata per la Convenzione di Vienna.

Inoltre, quando non richiamati i Principi UNIDROIT potrebbero comunque essere utilizzati per l’interpretazione o l’integrazione di norme internazionali o nazionali in materia di diritto commerciale internazionale. 

I casi di “Hardship”: risoluzione o rinegoziazione del contratto

Come già accennato in precedenza, vi sono casi in cui l’esecuzione di una prestazione contrattuale non diviene impossibile (definitivamente o temporaneamente), ma impone al soggetto obbligato di far fronte a maggiori difficoltà e costi. Anche in questo caso, non è raro imbattersi in contratti che contengono specifiche previsioni in proposito (clausole di hardship) ed occorrerà, quindi, fare innanzitutto riferimento a quanto disposto da tali clausole (come fatto per le clausole contrattuali di forza maggiore). Si segnala che un anche un modello di clausola di hardship è stato predisposto dall’ICC (ultima versione del marzo 2020) e non sarà infrequente trovarla nei modelli di contratto.

Nel caso, invece, in cui non vi siano specifiche pattuizioni contrattuali in proposito, occorrerà valutare la situazione alla luce della legge applicabile al contratto. La CISG non contiene per i casi di eccessiva onerosità sopravvenuta una norma analoga a quella per la forza maggiore sopra esaminata (articolo 79 CISG) e le norme di riferimento saranno, quindi, l’articolo 1467 del Codice civile e, se la legge italiana (e nessun’altra legge nazionale) fosse applicabile, i Principi UNIDROIT (Principio 6) che potranno anche utilizzati in via interpretativa. 

In specifico, l’articolo 1467 c.c. consente, alla parte la cui prestazione è divenuta eccessivamente onerosa, di chiede la risoluzione del contratto; la controparte potrà - a questo punto - evitare la risoluzione offrendosi di ricondurre ad equità il contratto. Questa norma opererà a condizione che il contratto in relazione al quale si invoca l’eccessiva onerosità sopravvenuta sia ad esecuzione periodica (ad es. un contratto quadro di fornitura periodica) o differita (ad es. un contratto di vendita o di prestazione di servizi per cui l’esecuzione degli obblighi delle parti sia posteriore rispetto al momento della conclusione del contratto stesso), che si produca un eccessivo squilibrio fra le prestazioni corrispettive delle parti (cioè, in sintesi, che il costo che il venditore deve sopportare per eseguire la propria prestazione sia sproporzionato rispetto al prezzo pagato dall’acquirente). Occorrerà altresì che l’eccessiva onerosità sia dovuta a un evento straordinario e imprevedibile che la parte che invoca l’eccessiva onerosità non poteva ragionevolmente prevedere al momento della conclusione del contratto (e pare che l’epidemia di COVID-19 e le misure governative adottate per contenerla rientrino a pieno titolo in questa definizione). 

La giurisprudenza ha inoltre chiarito che l’eccessiva onerosità sopravvenuta di cui all’articolo 1467 c.c. potrà difficilmente essere invocata ove la parte inadempiente fosse già stata precedentemente costituita in mora. 

Il rimedio previsto in caso di “hardship” è quello della risoluzione del relativo contratto, salvo che l’altra parte offra di rinegoziarlo al fine di ristabilire l’equilibrio fra le prestazioni corrispettive (normalmente, offrendo di rinegoziare il prezzo tenuto conto dei maggiori costi sostenuti dall’altra parte).

La “buona fede” nell’esecuzione del contratto

Ulteriore appiglio normativo a cui potrebbe richiamarsi la parte che non sia in grado di adempiere ai propri obblighi contrattuali in ragione dell’emergenza COVID-19 è quello sancito all’articolo 1375 c.c. (e integrato con le disposizioni degli articoli 1366 e 1175 c.c.) che, in forma di principio generale, dispone che “Il contratto deve essere eseguito secondo buona fede”. Tale principio si traduce, ad esempio, in un generale obbligo di informazione, cooperazione, solidarietà (sancito dall’art. 2 della Costituzione italiana) e protezione che ciascuna parte del contratto deve osservare nell’esecuzione dello stesso. 

Ora, pur in presenza di un diritto della parte non inadempiente (per esempio, l’acquirente dei prodotti) a pretendere l’esecuzione del contratto, potrebbe risultare contrario a detto principio di buona fede il richiedere la prestazione pur sapendo che questa sia divenuta impossibile o eccessivamente onerosa per l’altra parte a causa delle circostanze venutesi a creare in conseguenza dell’epidemia di Coronavirus. Tale richiesta potrebbe, almeno astrattamente configurarsi, in sede giudiziale, quale un abuso del diritto ed essere censurata.

Stante la molteplicità di strumenti giuridici a disposizione delle imprese che si trovino in difficoltà a far fronte ai propri obblighi in ragione del Coronavirus, pare che il richiamo ai principi generali di correttezza e buona fede nell’esecuzione del contratto dovrebbe essere utilizzato come ultima risorsa disponibile, ove non sussistano altre e più solide basi per tutelare l’impresa inadempiente. 

Suggerimenti operativi e ultime novità

Alla luce del quadro normativo applicabile all’attuale situazione di emergenza, gli operatori del commercio internazionale sono tenuti, per tutelare la propria posizione, ad effettuare un’attenta valutazione dei contratti commerciali in corso, predisporre le misure possibili per far fronte alle difficoltà, effettuare le notificazioni previste (per es. dall’articolo 79 CISG) per poter invocare la sopravvenienza di un evento di “forza maggiore” ed acquisire tutti gli elementi a supporto della propria posizione, in vista di possibili future controversie. In proposito, si segnala che il Ministero dello Sviluppo Economico (MISE), con circolare del 26 marzo 2020 ha disposto che le Camere di commercio rilascino, alle imprese che ne faranno richiesta ed a condizione che ne sussistano i presupposti, dei certificati volti ad attestare la sussistenza di cause di forza maggiore che interessano l’impresa richiedente. Misura analoga era già stata adottata dal China Council for the Promotion of International Trade (CCPIT) per le aziende cinesi. Sebbene la valenza giuridica di tali certificati, nell’ambito di future cause di risarcimento del danno derivante dall’inadempimento che dovessero essere promosse nei confronti di imprese italiane, rimanga dubbia, è opportuno che le imprese li acquisiscano al fine di rafforzare la propria posizione di fronte ad eventuali richieste di risarcimento. 

Avv. Cristina Martinetti, Avv. Paolo Emilio Villano, Avv. Hidalgo Brovida

 

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