La Convenzione di Vienna dell’11.04.1980 è un accordo internazionale volto a sostituire, almeno in parte, le diverse discipline nazionali con un regime unitario delle vendite aventi carattere transfrontaliero. Essa si applica, a meno che le parti non ne abbiano espressamente escluso l'applicabilità, sia ai contratti di vendita di merci fra parti aventi la loro sede d’affari in Stati contraenti sia quando le norme di diritto internazionale privato rimandano all'applicazione della legge di uno Stato contraente.
Conformità delle merci
Secondo l’art. 35 della Convenzione, il venditore deve consegnare beni la cui quantità, qualità e genere, imballaggio e confezione corrispondano a quelli previsti dal contratto. Se le parti non specificano sufficientemente tali requisiti, lo stesso art. 35 prevede alcuni criteri oggettivi di determinazione della conformità delle merci al contratto. Nello specifico le merci sono conformi se:
- sono atte agli usi ai quali servirebbero abitualmente merci dello stesso genere
- sono atte ad ogni uso speciale, espressamente o tacitamente portato a conoscenza del venditore al momento della conclusione del contratto, a meno che risulti dalle circostanze che l'acquirente non si è affidato alla competenza o alla valutazione del venditore o che non era ragionevole da parte sua farlo
- possiedono le qualità di una merce che il venditore ha presentato all'acquirente come campione o modello
- sono imballate o confezionate secondo i criteri usuali per le merci dello stesso tipo, oppure, in difetto di un criterio usuale, in maniera adatta a conservarle e proteggerle.
Ai sensi dell'art. 25 della Convenzione, l’inadempimento contrattuale commesso da una delle parti si considera "essenziale" quando causa all'altra parte un pregiudizio tale da privarla sostanzialmente di ciò che questa era in diritto di attendersi dal contratto, a meno che la parte in difetto non abbia previsto un tale risultato e una persona ragionevole, di medesima qualità, posta nella medesima situazione, non avrebbe anche essa potuto prevederlo.
Conformità a norme imperative vigenti nel paese di destinazione
Circa la possibilità di far valere un difetto della merce ai sensi dell’art. 35 della Convenzione, per l’eventuale non conformità alla normativa vigente nel paese di commercializzazione, non esistono specifici precedenti nella giurisprudenza italiana, quantomeno riportati nei più conosciuti siti giuridici internazionali sull'applicazione della Convenzione. Esistono, invece, numerose pronunce di giudici stranieri che, in ossequio al principio di libera circolazione delle merci, concordano nel ritenere che tale conformità, per rilevare, debba essere stata specificatamente prevista nel contratto.
Si ritiene, infatti, come principio generale, che le norme imperative dello stato di destinazione, quali standard di salute e di sicurezza, normative nazionali di composizione ed etichettatura, non siano incorporate automaticamente nel contratto per mezzo delle disposizioni dell’art. 35 della Convenzione.
In sostanza, il venditore non può essere tenuto a conoscere la normativa cogente dello Stato dove ha la sede d’affari l’acquirente. Viceversa, rientra nelle responsabilità di quest’ultimo assicurarsi che gli standard legali dello Stato di destinazione siano rispettati mediante la previsione di adeguate disposizioni in tal senso nel contratto.
In particolare, i giudici stranieri, chiamati a decidere in merito, hanno ripetutamente statuito che il venditore non può, in via generale, essere tenuto ad osservare le disposizioni specifiche della legge dello Stato del compratore, a meno che:
- analoghe disposizioni siano in vigore anche nello Stato del venditore; oppure
- le parti le abbiano espressamente previste nel contratto; oppure
- il venditore ne abbia specificamente reso edotto il venditore ai sensi del secondo comma, lett. b) dell’art. 35 della Convenzione; oppure
- il venditore le conoscesse o avrebbe dovuto esserne a conoscenza a causa di particolari circostanze, come ad esempio l’esistenza di una filiale dello stesso nello Stato di destinazione, l’esistenza di rapporti commerciali di vecchia data tra la parti, quando il venditore esporta regolarmente o pubblicizza i propri prodotti nello Stato di destinazione.
Le pronunce dei giudici stranieri riguardano, in particolare, la commercializzazione di carne di maiale priva del certificato attestante l’assenza di diossina, richiesto invece nel paese di destinazione; di cozze con un livello di cadmio superiore a quello consigliato dal dipartimento della salute dello stato d’importazione; di pollo congelato; di macchine usate prive della certificazione CE, richiesta dalle norme sulla sicurezza dettate da una Direttiva Europea.
Nel caso, invece, di un’importazione di stoccafisso congelato non conforme agli standard dettati dall’autorità della salute locale, i giudici hanno deliberato a favore dell’acquirente proprio perché tale condizione di conformità era stata espressamente inserita nel contratto.
Alla luce di tale orientamento, è consigliabile prevedere espressamente l'obbligo per il venditore (o fabbricante) a far sì che la merce sia conforme alla normativa vigente nel paese di commercializzazione, così da poter eventualmente far valere la responsabilità di quest'ultimo ai sensi dell’art. 35 della Convenzione.
Occorre poi sottolineare che a volte l'eventuale mancanza di conformità (e quindi anche rispetto a norme imperative) non si evidenzia ad un primo controllo della merce, ma solo a seguito di successivi esami, o al momento dell'utilizzo della stessa, assumendo quindi le stesse caratteristiche di un vizio "occulto". Si pensi ad esempio alla presenza di componenti vietati, o in misura eccedente quella massima consentita, rilevabili solo a seguito di analisi chimiche.
L'articolo 36 della Convenzione precisa che la responsabilità del venditore riguarda qualsiasi difetto di conformità esistente al momento del trasferimento dei rischi al compratore, e ciò anche se:
- il difetto appare solo successivamente
- il difetto di conformità sia imputabile alla mancata esecuzione di uno qualsiasi dei suoi obblighi, compreso il venir meno ad una garanzia, relativa alle merci.
Sull'esame della merce
In base all'art. 38 della Convenzione, l'acquirente deve esaminare le merci o farle esaminare nel termine più breve possibile, considerate le circostanze. Detto controllo potrà logicamente essere differito al momento dell'arrivo delle merci a destinazione, allorché il contratto implichi il trasporto delle stesse.
La denuncia deve avvenire, secondo l'articolo 39 della Convenzione, a pena di decadenza, “entro un termine ragionevole”, a partire dal momento in cui l'acquirente ha constatato il difetto o avrebbe dovuto constatarlo, e comunque entro il termine massimo di due anni, a partire dalla data in cui le merci gli sono state effettivamente consegnate, a meno che tale termine sia incompatibile con la durata di una garanzia contrattuale.
Occorre infine ricordare che, secondo alcune decisioni, l'esame delle merci, ad opera di un perito nominato dall'acquirente, senza il preventivo accordo del venditore, non può considerarsi quale valida fonte di prova, poiché la prassi del commercio internazionale richiede che il venditore possa presenziare alla verifica delle merci: occorrerà quindi avvisare preventivamente lo stesso, sempre che non si preferisca chiedere un accertamento tecnico preventivo in sede giudiziale.
Avv. Antonio Braggion