Il caso
Una società slovena acquistava una macchina industriale per la miscelazione di resine da una società italiana, dando anche alcune indicazioni sulla progettazione di una parte dei componenti della stessa affinché fosse “personalizzata” per i propri usi. La macchina veniva prodotta in Italia e consegnata alla società slovena, che tuttavia riscontrava dei difetti e sospendeva il pagamento del prezzo ancora dovuto.
Il contratto non prevedeva alcuna clausola di scelta del foro e la società italiana decideva di agire in giudizio avanti il Tribunale di Torino per ottenere il pagamento del prezzo residuo.
Le norme sulla competenza giurisdizionale
Il giudice competente a decidere una causa di natura commerciale fra parti aventi sede in Unione Europea, come quella in esame, deve essere individuato in base al Regolamento (UE) n. 1215/2012, che detta regole precise:
- sia sulla facoltà e sui limiti delle parti di scegliere il giudice a cui rivolgersi in caso di controversia
- sia su cosa avvenga qualora tale scelta non sia stata effettuata.
In quest’ultimo caso assumono fondamentale importanza gli articoli 4 e 7 di tale Regolamento:
- il primo prevede la regola generale per cui si può convenire in giudizio la propria controparte nel luogo dove questa è domiciliata (quindi si “gioca fuori casa”),
- mentre il secondo contiene varie competenze speciali che consentono di adire anche altri fori.
La società italiana, rivolgendosi al Tribunale di Torino, ha quindi scelto di non utilizzare l’art. 4 (che l’avrebbe portata in Slovenia), provando invece a sfruttare l’art. 7 che al suo primo comma prevede che in materia contrattuale una persona domiciliata in uno Stato membro possa essere convenuta in un altro Stato membro "davanti all’autorità giurisdizionale del luogo di esecuzione dell’obbligazione dedotta in giudizio".
La lettera b) dello stesso articolo specifica poi come si individua tale luogo per i contratti di compravendita (che è "il luogo, situato in uno Stato membro, in cui i beni sono stati o avrebbero dovuto essere consegnati in base al contratto") e di prestazione di servizi (che è "il luogo, situato in uno Stato membro, in cui i servizi sono stati o avrebbero dovuto essere prestati in base al contratto").
La società Italiana cercava quindi di sostenere che il contratto concluso con la controparte Slovena fosse di prestazione di servizi (trattandosi di fabbricazione di un macchinario secondo le specifiche date dall’altra), che il processo produttivo fosse avvenuto vicino a Torino e che quindi proprio il Tribunale di Torino dovesse essere competente a risolvere la controversia.
La società slovena tuttavia si presentava in giudizio eccependo immediatamente che il contratto in realtà era da qualificarsi come compravendita e non prestazione di servizi, che la consegna era avvenuta in Slovenia e che quindi ad essere competenti erano i giudici di tale Stato.
La soluzione
Il giudice torinese si posizionava nel tracciato delle sentenze pronunciate in materia dalla Corte di Giustizia dell’Unione Europea, provvedendo prima a qualificare il contratto e poi ad individuare il luogo di esecuzione della prestazione caratteristica.
In questo contesto è opportuno osservare che tale operazione di qualificazione rileva solo per individuare il giudice competente a risolvere la controversia, prescindendo dalla legge applicabile al contratto. In particolare, essa va condotta sulla base di criteri che si ritrovano nella giurisprudenza comunitaria e non sulla base delle categorie nazionali. Infatti, ciò che per il diritto italiano potrebbe essere un contratto di prestazione di servizi, ai fini della giurisdizione intra-UE può invece definirsi come una compravendita.
Come correttamente ribadito dal Tribunale di Torino, un forte aiuto per la qualificazione arriva dalla Convenzione di Vienna del 1980 sulla vendita internazionale di beni, ratificata da quasi 90 Stati nel mondo, che qualifica come vendita anche i contratti di fornitura di merci da fabbricare, a meno che il compratore non fornisca una parte essenziale del materiale necessario per la fabbricazione.
Altro elemento importante è la presenza o meno della garanzia di conformità sul prodotto finale:
- se il fabbricante ne garantisce il funzionamento, si è in presenza di una compravendita;
- se invece risponde solo della corretta esecuzione e assemblaggio secondo le istruzioni impartite dall’altra parte, si tratta di una prestazione di servizi.
Nel caso esaminato dal Tribunale, la società italiana forniva il materiale necessario per la fabbricazione, personalizzava il software per il funzionamento della macchina e dava una garanzia per il corretto funzionamento della stessa per dodici mesi. Così facendo, e contrariamente a quanto cercato di sostenere in causa, risultava avere concluso con la società slovena un contratto di vendita internazionale di beni e non di prestazione di servizi.
Inoltre, un elemento determinante era dato dal fatto che nel testo del contratto era pattuito che la consegna della macchina dovesse avvenire in Slovenia, poiché risultava indicato il termine di resa DAP – delivery at place (ICC Incoterms® 2010) nella città slovena della convenuta. Quindi, trattandosi di un contratto di compravendita con luogo di consegna effettivo in Slovenia, ne conseguiva che per la soluzione della controversia erano competenti i giudici sloveni e non il Tribunale di Torino, che dunque si spogliava della causa, condannando anche la società italiana a pagare le spese del giudizio.
Conclusioni
Nei contratti commerciali internazionali, quando non è contrattualmente previsto il giudice competente, i rischi nella scelta del giudice a cui rivolgersi in caso di lite sono evidenti. Questo processo si è concluso con la pronuncia di difetto di giurisdizione del giudice italiano a favore di quello sloveno senza stabilire se la società italiana avesse ragione nel merito (e se quindi avesse diritto al pagamento del prezzo oppure avesse svolto un cattivo lavoro e fosse tenuta a risarcire i danni patiti dalla società slovena). Il risultato della scelta dell’impresa italiana è stato dunque quello di vedersi condannare al pagamento delle spese legali per essersi rivolta ad un giudice incompetente a decidere.
Onde evitare un tale rischio, nell’attività d’impresa con l’estero il primo e ripetuto consiglio è pertanto quello di prevedere nel contratto (in presenza di norme internazionali che lo consentano) una clausola di scelta del foro, in modo da ridurre il più possibile i dubbi su quale sia il giudice competente a conoscere delle eventuali liti. Se invece tale scelta non c’è stata e ci si trova a dover decidere dove iniziare la causa, occorre senz’altro prestare estrema attenzione agli strumenti applicabili, come ad esempio il predetto Regolamento n. 1215/2012 per le controversie intra-UE, altrimenti si corre il rischio di perdere la causa, pur potendo avere ragione nel merito.
Avv. Paolo Lombardi
Avv. Hidalgo Brovida