Sono proprio le convenzioni e gli accordi internazionali i primi a dover essere tenuti in considerazione, in quanto consentono di comprendere sia il grado di tutela offerto dallo Stato con riguardo a specifici ambiti, sia il livello di cooperazione raggiunto tra certe aree geografiche.
Il Diritto Internazionale
1) Accordi di cooperazione tra Unione Europea e Regno del Marocco
Nel 2000 il Regno del Marocco ha dato esecuzione agli accordi di associazione per la partnership Euro-Mediterranea, che hanno come obiettivo finale quello della creazione di un’area di commercio libero tra i paesi dell’Unione Europea ed alcuni paesi dell’area mediterranea.
Nell’ottobre del 2008 poi il Marocco ha aderito alla European Neighbourhood Policy, un programma dell’UE che mira a migliorare le condizioni sociali ed economiche dei Paesi coinvolti.
I negoziati sono proseguiti negli anni e nel 2013 sono iniziate le discussioni sulla creazione di una "Deep free-trade area" tra l’UE ed il Marocco (ora giunte al quarto incontro); non è dato sapere quando e se si giungerà ad una completa abolizione delle barriere al commercio, per cui al momento sussistono ancora dazi e limiti sulle importazioni ed esportazioni se pur in misura ridotta, con l’impegno, preso dallo Stato, di procedere con la loro progressiva riduzione.
Il Regno del Marocco non entrerà a far parte dell’Unione Europea, almeno non a breve (gli Stati Membri dell’UE non hanno ancora preso una posizione definitiva sul se e di quanto estendere il territorio degli Stati che possono diventare Membri al di fuori dei confini geografici dell’Europa), ma l’infittirsi delle relazioni politiche e gli investimenti da parte dell’Unione nell’area continuano ad avere chiari effetti benefici:
- sul commercio
- sulla possibilità di investire in imprese marocchine
- e sulla convenienza di spostare la produzione di beni proprio nel territorio dello Stato.
2) Trattato sugli investimenti tra la Repubblica Italiana ed il Regno del Marocco
Dal 2000 è in vigore il Trattato bilaterale sulla protezione degli investimenti tra Italia e Marocco, che, oltre ad essere una dichiarazione d’intenti da parte dei due Governi sul trattamento riservato agli investitori dei rispettivi paesi, prevede delle specifiche clausole di protezione, tra cui:
- l’obbligo di applicare agli investitori esteri un trattamento non meno favorevole di quello offerto a quelli nazionali (cosiddetta "clausola della nazione più favorita");
- il risarcimento (secondo equità) dei danni causati da guerre o conflitti armati;
- il divieto di nazionalizzazione o espropriazione dei beni degli investitori esteri salvo immeditato risarcimento e solo per fini pubblici o ragioni di interesse nazionale;
- la possibilità di trasferire i capitali all’estero dopo i necessari adempimenti fiscali.
La previsione più importante del trattato bilaterale è tuttavia quella che consente di convenire in giudizio lo Stato che ne abbia violato le disposizioni (e quindi che abbia adottato misure discriminatorie nei confronti degli investitori stranieri) di fronte, alternativamente, al Tribunale nazionale competente, o davanti ad una Corte arbitrale.
La procedura arbitrale può essere scelta tra le due previste dal trattato bilaterale:
- Tribunale arbitrale ad hoc in conformità del regolamento arbitrale della Commissione delle Nazioni Unite sul Diritto Commerciale Internazionale (UNCITRAL);
- Centro Internazionale per la Risoluzione delle Controversie relative ad investimenti (CIRDI) per l'attuazione delle procedure arbitrali, di cui alla Convenzione di Washington del 18 marzo 1965 sul "Regolamento delle Controversie legate agli investimenti tra Stati e cittadini di altri Stati".
A prescindere dalle differenze tra i due procedimenti, che qui non interessano, la possibilità di adire un Tribunale arbitrale comporta che a decidere sull’avvenuta violazione o meno dello Stato convenuto di norme sul diritto degli investimenti, non sarà una Corte nazionale dello stesso Stato, che, come si può immaginare, potrebbe essere non del tutto imparziale.
3) La tutela internazionale delle privative industriali
Prima di procedere con l’analisi dei singoli contratti commerciali, occorre ancora considerare un aspetto che diventa tanto più rilevante quanto più aumenta il grado di coinvolgimento degli investimenti nel Regno del Marocco: la proprietà intellettuale.
La tutela IP è di interesse marginale nel caso di un semplice contratto di vendita internazionale, ma assume un’importanza crescente nel caso di un contratto di agenzia commerciale o un accordo di distribuzione, nel quale saranno da proteggerei marchi del preponente, fino a divenire fondamentale per la tutela dei brevetti e del know-how aziendale in caso di joint-venture ovvero di insediamento diretto nel Paese.
Sul punto occorre segnalare che il Marocco, oltre ad essere membro del WIPO (Organizzazione Mondiale per la Proprietà Intellettuale), ha sottoscritto numerosi trattati sulla tutela della proprietà intellettuale, tra cui: Convenzione di Berna sul copyright, Convezione di Parigi sulla Proprietà Industriale, Convenzione Internazionale sul Copyright, Convenzione di Bruxelles, Accordi di Nizza, Madrid, l’Aja sulla protezione della proprietà intellettuale.
La tutela offerta è quindi abbastanza completa, ed è stata introdotta recentemente una nuova normativa in merito (l. 17.97, in vigore dal 18 dicembre 2004), che ha esteso la durata di alcune privative (ad esempio i brevetti durano vent’anni, ma non possono essere rinnovati, i marchi dieci, e possono essere rinnovati indefinitamente).
Sulla carta, dunque, la protezione offerta pare essere soddisfacente: tuttavia è indispensabile tener conto di come l’applicazione effettiva delle leggi in materia non sia particolarmente rigida: questo crea dei seri problemi soprattutto per quanto riguarda la lotta alla contraffazione, che continua ad essere decisamente diffusa.
Si consiglia quindi, dopo un’attenta valutazione sull’effettiva necessità di trasferire parte della proprietà intellettuale in Marocco, di affiancare alle tutele di stampo pubblicistico (la registrazione dei marchi, brevetti, etc.), altre di natura contrattuale, come ad esempio l’introduzione di penali, clausole di confidenzialità, patti di non concorrenza.
Inoltre, in caso di trasferimenti di brevetti e/o know-how è importante puntare a massimizzare la remunerazione iniziale della cessione/licenza, valorizzando il pagamento iniziale (cosiddetta lump sum) rispetto ai singoli pagamenti in corso di rapporto (i.e. le roylaties). Diversamente l’azienda italiana titolare dei diritti di proprietà industriale potrebbe non venire remunerata per tale cessione/licenza e sarebbe poi arduo agire contro l’azienda marocchina.
Il Diritto interno del Regno del Marocco sui contratti commerciali
1) Il contratto di agenzia commerciale
Il contratto di agenzia è regolato dagli articoli 393-404 del Codice del Commercio marocchino, che prevedono norme nei contenuti abbastanza simili a quelli del Codice Civile italiano.
Come in Italia l’agente non è un dipendente ed ha diritto ad un compenso calcolato su base provviggionale per gli affari da lui procacciati, anche se la conclusione dell’ordine da lui trasmesso al preponente avviene dopo la cessazione del rapporto.
L’agente ha diritto ad un’indennità di fine rapporto e deve notificare al preponente l’intenzione di richiedere tale indennità entro un anno dalla cessazione del contratto di agenzia: la stessa non è dovuta se la rottura del rapporto è dovuta ad un fatto imputabile all’agente o se il contratto di agenzia sia stato ceduto ad un terzo.
La legge marocchina non sembra legare il diritto alla corresponsione dell’indennità a criteri meritocratici, tra cui ad esempio la prosecuzione dei benefici in capo al preponente per l’opera prestata dall’agente, ma, essendo di matrice francese, subordina tale indennità al pregiudizio subito dall’agente a causa della cessazione del contratto.
Il contratto può essere a tempo determinato od indeterminato, ma se continua dopo la scadenza del termine, verrà automaticamente convertito in indeterminato.
Sul preponente non grava l’obbligo di concedere l’esclusiva all’agente (questo potrà quindi nominare più agenti per lo stesso territorio, in Italia occorre invece escluderla espressamente con una clausola apposita), mentre all’agente non è concesso promuovere prodotti concorrenti.
Per un massimo di due anni (non derogabile) l’agente può essere vincolato da un patto di non concorrenza, che deve essere specifico nell’indicarne i contenuti (territorio, beni, soggetti).
Infine bisogna osservare come, per previsione espressa, la disciplina prevista dal Codice del Commercio marocchino non possa essere derogata dalle parti per i contratti di agenzia conclusi con agenti che hanno sede in Marocco.
Proprio quest’ultima disposizione potrebbe essere particolarmente problematica: non è infatti da escludere che, nonostante l’eventuale scelta dell’applicabilità della legge italiana operata dalle parti, un agente che si rivolga ad un giudice del Regno del Marocco possa ottenere l’applicazione della legge marocchina.
2) La concessione di vendita
Ci sono due osservazioni preliminari da fare:
- il Marocco non ha sottoscritto la Convenzione di Vienna del 1980 sulla vendita internazionale di beni mobili
- il contratto di distribuzione non è disciplinato in modo specifico nel diritto locale.
Questo significa che un fornitore italiano, che dovesse scegliere di applicare la legge marocchina (o non scegliesse la legge applicabile al contratto), si troverebbe:
- senza poter usufruire della normativa uniforme sui contratti di vendita internazionali conclusi con il distributore marocchino (i.e. la Convenzione di Vienna del 1980)
- e con una disciplina dell’accordo di distribuzione che, secondo parte della dottrina, andrebbe mutata in via analogica dal contratto di commissione come regolato dal Codice del Commercio del Marocco, mentre altra parte ritiene assimilabile ad un "contract cadre" all’interno del quale avvengono le singole vendite.
La seconda ricostruzione appare più convincente e, in ogni caso, devono essere specificamente regolati:
- l’esclusiva;
- i prodotti oggetto di contratto;
- eventuali minimi di fatturato e le conseguenze del mancato raggiungimento degli stessi;
- l’uso dei marchi e degli altri segni distintivi del fornitore;
- durata e cessazione del contratto.
3) Il Franchising
Come la concessione di vendita, neanche il contratto di franchising ha una specifica regolamentazione nel diritto interno del Marocco, ma è considerato un contratto atipico consentito in conseguenza del principio della libertà contrattuale previsto dalla legge.
Questo comporta alcuni precisi rischi, primo fra tutti che un Giudice marocchino riqualifichi il rapporto con il franchisee come di lavoro subordinato, con il riconoscimento dei relativi diritti economici, il che potrebbe tradursi in una spesa non indifferente per il franchisor che comprenda emolumenti, imposte, previdenza sociale, indennità per il licenziamento o risarcimento dei danni, oltre ad eventuali sanzioni amministrative.
Vi sono poi delle limitazioni con riguardo ai divieti pattiziamente imposti sul franchisee all’utilizzo di marchi e segni distintivi del franchisor dopo la cessazione del rapporto: non devono essere talmente forti da impedire al franchisee di continuare a fare affari nello stesso settore.
La scelta della legge applicabile e del foro competente
In considerazione di quanto visto sopra, al fine di ridurre il più possibile eventuali problemi legati all’interpretazione delle norme interne, conviene senz’altro prevedere l’applicazione della legge italiana ai contratti che si andranno a concludere in Marocco.
Questo avviene mediante l’introduzione di una clausola espressa nel testo contrattuale, che preveda altresì come unico foro competente quello italiano.
Tuttavia, vi è sempre la possibilità che il contraente marocchino si rivolga ad un Giudice locale e che, nonostante la clausola di determinazione del foro, quest’ultimo si dichiari competente.
Una sentenza marocchina, resa in difetto di giurisdizione, difficilmente sarà eseguibile in Italia, ma non vi saranno problemi invece ad eseguirla in Marocco, con la possibilità quindi di subire azioni di tutela del credito su eventuali beni, tra cui figurano anche i crediti dell’investitore italiano presenti nel Regno del Marocco.
Lo stesso problema potrebbe invece porsi al contrario: ovvero il rifiuto dei Giudici marocchini di eseguire una sentenza resa in Italia che loro ritengano contraria al proprio diritto interno (ad esempio perchè, come detto sopra, le norme del Codice del Commercio marocchino in materia di agenzia non sono derogabili).
Su questo punto occorre precisare che l’Italia ed il Regno del Marocco hanno sottoscritto una Convenzione bilaterale di reciproco aiuto giudiziario, di esecuzione delle sentenze e di estradizione, in Italia in vigore dal 1975, che agli artt. 18 e seguenti regola l’esecuzione delle sentenze di uno dei due Paesi nell’altro. Tuttavia ad oggi constano pochissimi precedenti di sentenze eseguite grazie a questa convenzione. Ciò consentirebbe di eseguire, rispettati alcuni requisiti e previo espletamento di alcune formalità, le sentenze rese in Marocco in Italia e viceversa.
La soluzione preferibile sarebbe allora di inserire nel contratto la possibilità di devolvere tutte le controversie emergenti dallo stesso ad un Tribunale arbitrale - ad esempio quello della Camera Arbitrale di Milano - alla luce del fatto che il Marocco ha ratificato nel 1959 la Convenzione di New York del 1968 sul riconoscimento e l'esecuzione delle sentenze arbitrali straniere.
Di conseguenza una sentenza (detta lodo), emessa da uno o più arbitri nominati dalla Camera Arbitrale di Milano, sarebbe riconosciuta in Marocco grazie alla convezione menzionata e consentirebbe di evitare, con un maggiore grado di certezza, una decisione nel merito resa da un Tribunale marocchino.
Avv. Andrea Antognini
Dott. Hidalgo Brovida