Essa può riguardare sia la falsificazione dell’alimento sia la falsificazione del marchio. Il primo dei due ambiti, che esula dalla presente trattazione, interessa le frodi di natura qualitativa, che consistono nella modificazione dell’alimento mediante l’aggiunta o la sottrazione di elementi che naturalmente lo compongono. Tali ultime possono poi concretizzarsi in frodi pericolose per la salute umana o meno.
L’ambito di nostro interesse è invece quello delle c.d. frodi sull’origine, che possono riguardare la contraffazione del marchio di fabbrica o dell’indicazione di provenienza geografica o della denominazione di origine, rientrando tutti gli aspetti appena menzionati nell’ampio concetto di made in Italy.
Contraffazione del marchio
Per quanto attiene il marchio di fabbrica lo stesso ha la funzione di identificare la provenienza del prodotto da un determinato imprenditore e distinguerlo da quello di altro produttore, sia italiano sia estero.
La contraffazione del predetto segno distintivo è punita dall’art. 473 c.p. che sanziona anche il soggetto che, pur non essendo concorso nella contraffazione faccia uso del marchio contraffatto, con la reclusione da 6 mesi a 3 anni e con la multa da Euro 2.500 a Euro 25.000.
È appena il caso di menzionare il fatto che, trattandosi di fattispecie dolosa chi faccia uso del marchio contraffatto deve avere consapevolezza circa la contraffazione.
- La norma di cui all’art. 474 c.p. punisce chi, fuori dalle ipotesi di concorso nel reato di cui all’art. 473 c.p., introduca nel territorio dello stato o faccia commercio di prodotti industriali con marchi contraffatti. Anche in tal caso il soggetto agente deve avere consapevolezza dell’illecito uso del marchio.
- La successiva norma di cui all’art. 474 bis prevede un'ipotesi di confisca obbligatoria dell’oggetto del reato, del prodotto, del profitto e del prezzo. È prevista inoltre la confisca per equivalente nei confronti dell’autore del reato qualora non sia più disponibile il profitto del reato stesso.
Non rientrano invece fra i marchi, tant’è che sono previste norme sanzionatorie ad hoc, le denominazioni di origine protetta (DOP) e le indicazioni geografiche protette (IGP), poiché non hanno la funzione di distinguere il prodotto di una impresa da quello di altra impresa, ma identificano un paese, una regione o una località quando siano adottate per individuare un prodotto che ne sia originario e le cui caratteristiche dipendano prevalentemente dall’ambiente geografico di origine.
Contraffazione DOP e IGP
Le denominazioni di origine protetta (DOP) – che per i vini divengono denominazioni di origine controllata (DOC) e denominazioni di origine controllata e garantita (DOCG) – individuano una zona determinata ove avviene la produzione e la trasformazione del prodotto agricolo o alimentare che sarà dunque originario di quel determinato territorio. La qualità sarà pertanto strettamente connessa ad un determinato ambiente geografico.
Le indicazioni geografiche protette (IGP) indicano una regione od un luogo in cui avviene la lavorazione o la trasformazione del prodotto e di cui lo stesso assume l’origine. In tale caso però solo alcune fasi della lavorazione o della trasformazione avvengono nel luogo che attribuirà l’origine al prodotto e quindi solo alcune caratteristiche saranno determinate dall’ambiente geografico.
Ovviamente sia DOP che IGP, a differenza del marchio, andranno a designare i prodotti di una pluralità di aziende, che continueranno altresì ad utilizzare il proprio marchio di fabbrica. Per fare un esempio concreto di contraffazione in tale ambito si può pensare a quello di una mozzarella venduta come di bufala DOP prodotta al di fuori dell’area geografica designata.
La norma di cui all’art. 517 quater sanziona con la reclusione fino a due anni e con la multa fino a 20.000 Euro chi contraffà o comunque altera indicazioni geografiche o denominazioni di origine di prodotti agroalimentari e chi introduce nel territorio dello Stato, detiene per la vendita o vende i predetti prodotti. Anche nei predetti casi è prevista la confisca di cui all’art. 474 bis c.p.
Falsa indicazione del made in
Altro ambito di contraffazione che riguarda anche il settore alimentare è quello dell’utilizzo indebito del marchio made in Italy, sanzionato nelle differenti declinazioni dal comma 49 e seguenti dell’art. 4 della Legge 350/2003.
Prima di addentrarsi nell’analisi della norma, a tratti di non agevolissima lettura, è il caso di sottolineare come il concetto di origine in ambito alimentare abbia dei connotati differenti rispetto ad altri ambiti merceologici. Difatti, a contrario di quanto avviene per gli altri settori, in cui l’origine richiama la provenienza da un determinato imprenditore che è garante della qualità del prodotto, in ambito alimentare richiama invece la provenienza da un territorio determinato. Di ciò fa espressa menzione il comma 49 bis della norma in parola che stabilisce che “Per i prodotti alimentari per effettiva origine si intende il luogo di coltivazione e di allevamento della materia prima agricola utilizzata nella produzione e nella preparazione dei prodotti e il luogo in cui è avvenuta la trasformazione sostanziale”.
Ma venendo ora all’aspetto sanzionatorio il comma 49 sanziona, con un rimando a fini di pena all’art. 517 c.p., l’importazione, l’esportazione, la commercializzazione di prodotti recanti false o fallaci indicazioni di origine o di provenienza. Specifica poi che “costituisce falsa indicazione la stampigliatura made in Italy su prodotti e merci non originari dell’Italia ai sensi della normativa europea sull’origine; costituisce fallace indicazione, anche qualora sia indicata l’origine e la provenienza estera dei prodotti o delle merci, l’uso di segni, figure o quant’altro possa indurre il consumatore a ritenere che il prodotto o la merce sia di origine italiana incluso l’uso fallace o fuorviante di marchi aziendali ai sensi della disciplina sulle pratiche commerciali ingannevoli fatto salvo quanto previsto dal comma 49 bis”.
E’ appena il caso di specificare che le condotte di cui sopra possono riferirsi alla generalità dei prodotti alimentari, fatta eccezione per quel più ristretto ambito di prodotti che vantino indicazioni geografiche o denominazioni di origine per i quali si applica la norma di cui all’art. 517 quater.
Le condotte di cui al comma 49 sono commesse, sin dalla presentazione della merce in dogana, e possono essere sanate sul piano amministrativo a spese del contravventore. Diversa sorte invece per il procedimento penale che, pur a fronte della regolarizzazione amministrativa, proseguirà il suo corso.
Il comma 49 bis punisce con la sola sanzione amministrativa “l’uso del marchio[…] con modalità tali da indurre il consumatore a ritenere che il prodotto o la merce sia di origine italiana […] senza che gli stessi siano accompagnati da indicazioni precise ed evidenti sull’origine o provenienza estera o comunque ad evitare qualsiasi fraintendimento del consumatore sull’origine”.
Alla luce di tale norma pare opportuno ritenere che le violazioni inerenti l’uso fallace del marchio siano oggi da ricondurre esclusivamente all’ambito extra-penale. Resta tuttavia di notevole rilevanza ed afflittività la sanzione pecuniaria che va da 10.000 a 250.000 Euro.
Per completezza è opportuno ricordare che i reati di cui si è trattato sono anche reati presupposto che possono generare responsabilità amministrativa dell’Ente ai sensi del d.lgs 231/2001. Per esigenze di spazio non è possibile trattare in questa sede il predetto aspetto, ma è appena il caso di ricordare che, qualora l’impresa sia dotata di un modello organizzativo, lo stesso dovrà prevedere anche idonee procedure di controllo per evitare la commissione dei predetti reati.
Obblighi di etichettatura e made in
A livello comunitario, ai fini di una maggiore trasparenza, informativa e protezione della salute a beneficio del consumatore il Reg. UE 1169/2011 (art. 9) prevede che le etichette dei prodotti alimentari preconfezionati debbano obbligatoriamente riportare le seguenti indicazioni:
- la denominazione dell’alimento;
- l’elenco degli ingredienti;
- qualsiasi ingrediente o coadiuvante tecnologico che provochi allergie o intolleranze;
- la quantità di taluni ingredienti o categorie di ingredienti;
- la quantità netta dell’alimento;
- il termine minimo di conservazione o la data di scadenza;
- le condizioni particolari di conservazione e/o le condizioni d’impiego;
- il nome o la ragione sociale e l’indirizzo dell’operatore del settore alimentare;
- il paese d’origine o il luogo di provenienza ove previsto all’articolo 26 del Regolamento stesso;
- le istruzioni per l’uso, per i casi in cui la loro omissione renderebbe difficile un uso adeguato dell’alimento;
- per le bevande che contengono più di 1,2 % di alcol in volume, il titolo alcolometrico volumico effettivo;
- una dichiarazione nutrizionale.
Ai sensi dell’art. 8 del Reg. 1169/2011 “L’operatore del settore alimentare responsabile delle informazioni sugli alimenti è l’operatore con il cui nome o con la cui ragione sociale è commercializzato il prodotto o, se tale operatore non è stabilito nell’Unione, l’importatore nel mercato dell’Unione.”
Ai sensi dell’art. 26 del Reg. 1169/2011, l’indicazione del paese d’origine o del luogo di provenienza è obbligatoria:
- nel caso in cui l’omissione di tale indicazione possa indurre in errore il consumatore in merito al paese d’origine o al luogo di provenienza reali dell’alimento, in particolare se le informazioni che accompagnano l’alimento o contenute nell’etichetta nel loro insieme potrebbero altrimenti far pensare che l’alimento abbia un differente paese d’origine o luogo di provenienza;
- per le carni dei codici della nomenclatura combinata (NC) elencati nel Regolamento stesso.
Le etichette dovranno risultare trasparenti nel contenuto e ben visibili (anche nel posizionamento), con caratteri di grandezza definita in base alle dimensioni della confezione.
Per quanto concerne il regime sanzionatorio, gli accertamenti in materia di etichettatura dei prodotti agro-alimentari (ivi inclusa l’indicazione del produttore/importatore e del paese di origine) sono di competenza di diversi organi di vigilanza: ASL, ARPA, NAS, ICQ, AGCM.
Nel silenzio del Regolamento, restano efficaci le vecchie disposizioni di cui al D.Lgs. 109/1992, che prevedono le seguenti sanzioni, ferma restando - per talune delle predette violazioni e ove ne siano integrati tutti gli elementi - la possibile sussistenza di responsabilità penale, per i reati di cui all’art. 515 c.p. (frode nell’esercizio del commercio) o di cui all’art. 517 c.p. e all’art. 4 comma 49 L 350/2003, di cui si è detto più sopra:
Irregolarità/carenza delle indicazioni ed errori di natura formale (ad esempio sull’indicazione degli aromi, sulla denominazione del prodotto o del lotto di appartenenza) | Da Euro 600,00 a Euro 3.500,00 |
Irregolarità/carenza delle indicazioni di maggior rilievo (ad esempio la data di scadenza o le condizioni di uso) o assenza di una o più indicazioni obbligatorie | Da Euro 1.600,00 a Euro 9.500,00 |
Falsità delle indicazioni su: - natura, identità, qualità, composizione, quantità, conservazione, origine o provenienza, modo di fabbricazione o di ottenimento del prodotto stesso;
- effetti o proprietà inesistenti o atte a prevenire, curare o guarire una malattia umana
| Da Euro 3.500,00 a Euro 18.000,00 |
Riguardo, infine, ai prodotti alimentari destinati all’industria, agli intermediari e agli artigiani (ad esempio semilavorati), essi devono riportare obbligatoriamente:
- denominazione di vendita;
- quantità netta;
- nome o ragione sociale o marchio del fabbricante o del confezionatore o di un distributore nell’ambito UE;
- lotto di appartenenza.
Avv. Diego Comba e Avv. Flavio Volontà