Tale somma, che può essere maggiore del danno effettivamente subito, è avvicinabile al concetto di danno punitivo. Su tale argomento si pronuncerà prossimamente anche la nostra Corte di Cassazione, a Sezioni Unite.
Il caso
Una società televisiva radicata in Polonia (la OTK) concludeva con una società di gestione collettiva di diritti (la SFP), un contratto di licenza per la distribuzione di trasmissioni via cavo tutelate dal diritto d’autore. Cessato il contratto, la OTK continuava ad utilizzare i contenuti protetti pur non avendone più diritto.
La SFP di conseguenza citava in giudizio la OTK per vederla condannare, come previsto dalla legge polacca, al pagamento, tra l’altro, di una somma pari al doppio di quanto OTK avrebbe dovuto versarle per ottenere l’autorizzazione alla diffusione delle trasmissioni coperte da diritto d’autore.
Dopo numerosi giudizi, la Corte suprema polacca, chiamata ad esaminare la causa per la terza volta, chiedeva alla Corte di giustizia dell’Unione europea se il raddoppio delle somme astrattamente dovute per il pagamento dei diritti di sfruttamento economico fossero compatibili con il diritto europeo; in particolare con la Direttiva CE n. 48/2004 (cd. Direttiva Enforcement) sul rispetto dei diritti di proprietà intellettuale, riguardante sia il diritto d’autore che il dritto industriale (marchi, design, brevetti, know-how, etc.).
Il timore del giudice polacco era, appunto, quello che questa previsione costituisse un caso di c.d. “danni punitivi” incompatibili con la Direttiva Enforcement.
I danni punitivi
Generalizzando, la condanna al pagamento dei danni punitivi consiste nel pagamento di una somma il cui importo è superiore all’effettivo pregiudizio patito dal danneggiato. Il fine è, appunto, di “punire” l’autore dell’atto illecito.
Questo sistema di liquidazione del danno si è affermato negli Stati Uniti.
Per avere un’idea degli importi basti pensare che nel 2014 un tribunale californiano ha condannato il datore di lavoro al pagamento di circa 1 milione di dollari per danni “realmente” sofferti dalla sua dipendente e 185 milioni di dollari a titolo di danni punitivi.
In Italia invece, e tendenzialmente in tutta l’Europa seppur con alcune eccezioni, il risarcimento, secondo i criteri generali, ha la funzione di rimettere chi ha subito un danno ingiusto nella stessa condizione in cui si sarebbe trovato se non l’avesse patito.
Questo concetto include, oltre al danno emergente, il lucro cessante (e, cioè, il mancato guadagno), i danni non patrimoniali ma, tendenzialmente, esclude che si possa essere condannati ad una somma ulteriore e, soprattutto, “punitiva”.
Il verdetto della Corte di Giustizia Europea
La Corte di Giustizia dell’Unione Europea, nella causa C-367/15, ha ritenuto che la condanna al pagamento di una somma equivalente al doppio della remunerazione adeguata che sarebbe stata dovuta a titolo di concessione di licenza, tenuto conto di tutti gli aspetti rilevanti del caso (ma senza la necessità di dimostrare con precisione l’ammontare del pregiudizio effettivo), è compatibile con il risarcimento forfettario introdotto dalla Direttiva Enforcement.
La Corte ritiene che l’istituto dei danni punitivi non contrasti con la normativa europea, purché non produca un risarcimento che “superi in modo [...] palese e considerevole il danno effettivamente subito”.
A seguito di questa sentenza, pertanto, gli Stati membri possono, conformemente ai loro principi di diritto interno, implementare strumenti risarcitori di tipo, ragionevolmente, punitivo.
Il diritto italiano
In materia di proprietà intellettuale vi sono già delle norme italiane di recepimento della Direttiva Enforcement la cui funzione risarcitoria sembra potersi spingere oltre al ristoro dei danni effettivamente subiti dal titolare del diritto. In particolare gli artt. 158 della L. n. 633/1941 (legge sul diritto d’autore) e 125 del d.lgs. n. 30/2005 (Codice della proprietà industriale) consentono al titolare del diritto violato di vedersi liquidare dal giudice una somma, forfettaria, legata all’importo dei canoni/diritti/royalties che l’autore della violazione avrebbe dovuto pagare qualora avesse ottenuto l’autorizzazione dal titolare del diritto.
Viene quindi prevista la possibilità di risarcire un danno maggiore – parametrato sugli utili generati dal contraffattore - che è però sempre collegato all’ingiusto arricchimento di quest’ultimo.
Tale “sanzione” è tuttavia ancora molto distante dalle somme liquidate dai giudici statunitensi a titolo di danni punitivi (punitive damages), che la nostra giurisprudenza non ha mai ammesso, negando in particolare il riconoscimento, e quindi l’esecuzione, in Italia di sentenze straniere (ad esempio di tribunali USA in materia di danni da prodotto difettoso) che condannavano al pagamento di danni punitivi.
Tuttavia questo orientamento potrebbe essere messo in discussione.
La Prima Sezione della Corte di Cassazione ha ritenuto che, almeno in astratto, il nostro ordinamento non sia del tutto contrario all’utilizzo del risarcimento danni in via anche sanzionatoria e non solo compensativa, facendo peraltro riferimento proprio ai – seppur limitati casi – nei quali questo già avviene, come ad esempio nelle norme in materia di proprietà intellettuale citate sopra.
Ha quindi rimesso la questione alle Sezioni Unite affinché si pronuncino sulla compatibilità con l’ordinamento giuridico italiano – in particolare con l’ordine pubblico – della sentenza straniera che contenga una condanna al pagamento di danni punitivi (cfr. ordinanza n. 9968 del 16 maggio 2016).
Le conseguenze pratiche su proprietà intellettuale e contratti internazionali
La pronuncia della Corte di Giustizia dell’Unione Europea non cambia in modo particolare la tutela della proprietà intellettuale secondo il diritto italiano, il quale già consentiva, come abbiamo visto, il risarcimento di danni “ulteriori” rispetto a quelli causati dalle sole violazioni dei diritti (sebbene non ne preveda la duplicazione). Tuttavia, potrebbe essere un incentivo per i nostri giudici che, se supportati da idonei elementi di prova, potrebbero emettere provvedimenti di condanna maggiormente legati a tutte le circostanze della vicenda, che non siano appiattiti al mero danno subito dalla parte lesa.
Esaminando il tema dei danni punitivi non limitatamente alla proprietà intellettuale, ma con riguardo ai contratti commerciali internazionali, il fatto che la nostra giurisprudenza non li ammetta ha posto al riparo gli imprenditori italiani dalle conseguenze di tali sentenze di condanna emesse all’estero, che non possono essere riconosciute in patria (tuttavia si ricordi che queste possono, eventualmente, spiegare i loro effetti su beni situati in Stati che li considerano legittimi).
Risulta evidente, pertanto, l’impatto dei danni puntivi nei contratti internazionali e quindi l’importanza di seguire gli sviluppi della nostra giurisprudenza in materia e di valutare attentamente la legge applicabile al contratto ed il metodo di risoluzione delle controversie (il giudice o l’arbitro competente), in modo da gestire preventivamente il rischio causa legato ad eventuali richieste di danni di importi eccessivamente elevati.
Avv. Andrea Antognini
Avv. Hidalgo Brovida