Piano di export e sostenibilità

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22 luglio 2024

Come impostare l’offerta per valorizzare il ciclo del prodotto ed il ruolo del cliente (grazie al web ed ai servizi online).

Piano di export e sostenibilità

Il mercato è sempre più competitivo per le aziende italiane che intendono esportare, e tra i fabbisogni manifestati dai clienti (finali, ovvero i consumatori, e di riflesso buyer e distributori) ritorna insistentemente il concetto di sostenibilità. Spesso si ritiene che la sostenibilità sia costituita da un insieme di fattori che diminuiscono l’impronta ambientale, in realtà questo è solo un aspetto, a cui si aggiungono fattori di sostenibilità sociale e di governance (delle aziende e delle comunità). Il piano di export può essere l’occasione per rendere più competitiva l’offerta aziendale implementando alcuni elementi secondo i parametri ESG Environmental Social Governance.

La tecnologia che rende “unico” il prodotto: blockchain e NFT
Il principio di sostenibilità applicato al prodotto significa innanzitutto che l’azienda deve dimostrare il pieno controllo della qualità di ogni aspetto della produzione e del delivery, oltre eventualmente del post-vendita e smaltimento: questo significa che occorre disporre di meccanismi di “certificazione” del modello di approvvigionamento/ di produzione/ di distribuzione / (eventuale) smaltimento. La tecnologia permette oggi di “cifrare” ogni passaggio mediante un registro elettronico con codici che garantiscono l’autenticità e la non modificabilità dei contenuti: questa è la funzione della blockchain, una modalità attraverso la quale è possibile certificare la provenienza delle materie prime, le fasi di produzione, il modello di trasporto sia per l’approvvigionamento che per la distribuzione, la gestione del post-vendita ed eventuali pezzi di ricambio, così come per le aziende che lo prevedono le fasi di second life del prodotto e dello smaltimento.

I registri citati si basano sulla cifratura del documento immateriale, ma oggi è possibile anche andare oltre: la tecnologia che di fatto rende unico e irripetibile quel documento/ quella fase di gestione del prodotto può diventare un prodotto/ servizio a sua volta e vivere di vita propria; così sono nate le opere d’arte fatte solo di pixel che vengono compravendute online, ed ancora abiti ed accessori virtuali per il gaming ed il metaverso, ed oggi biglietti per musei e concerti che contengono QR code per servizi aggiuntivi esclusivi per chi compra il biglietto NFT ovvero con tecnologia Non Fungible Token cioè crittografato.

Gli NFT sono una possibile evoluzione della gestione della filiera su blockchain: non soltanto, ad esempio, l’azienda dell’agroalimentare può certificare l’origine delle materie prime ma può vendere o concedere al cliente un NFT con dati sul territorio e sulle competenze delle maestranze locali (andando a valorizzare ulteriormente in made in Italy), oppure ancora può omaggiare al cliente una collana di NFT che raccontano in momenti diversi come cresce la pianta/ ortaggio/ altro alla base della preparazione, magari proprio una che il cliente ha scelto da un album fotografico e che esiste davvero.

La proposta di valore che aumenta la competitività: ciclo del prodotto e “alternative” alla vendita classica
Certamente la tecnologia non è tutto, è soltanto l’infrastruttura che consente all’azienda che esporta di valorizzare il prodotto agli occhi del cliente: per valorizzare l’export occorre comunicare che l’azienda si è strutturata in modo tale da creare valore sia per l’ambiente, ad esempio grazie all’ottimizzazione dei trasporti e relativa riduzione dei percorsi e/o all’ottimizzazione del packaging, ed ancora in modo da creare valore dal punto di vista sociale (ad esempio migliorando le condizioni di lavoro delle proprie sedi oppure controllando la filiera ovvero con una scelta consapevole e controllo dei fornitori) e dal punto di vista della governance (puntando a migliorare i risultati aziendali nel rispetto di principi e valori che l’azienda sostiene).

Ci sono cambiamenti che aiutano l’azienda a puntare alla sostenibilità senza renderne  troppo complessa la gestione? In genere, l’aspetto che le aziende riescono a valutare con favore è la revisione della gestione del ciclo del prodotto: si intende lo studio e riprogettazione della filiera di approvvigionamento (fornitori e trasporti), della produzione (tecnologie -anche legate all’energia-, sicurezza dei lavoratori, policy aziendali), della distribuzione (ottimizzazione packaging e trasporti, scelta dei rivenditori in linea con i valori e policy dell’intera filiera), della gestione del post-vendita (politica del diritto alla riparazione, disponibilità dei pezzi di ricambio, rispetto della sicurezza del cliente nell’uso del prodotto); a tutto questo si può aggiungere il presidio dell’intero ciclo del prodotto ovvero sino allo smaltimento (con chiara comunicazione delle procedure e certezza dell’esito del procedimento mediante blockchain).

Se si sceglie di presidiare l’intero ciclo del prodotto è interessante valutare anche aspetti nuovi della filiera quali ad esempio una second life (si favorisce l’acquisto dei prodotti usati, magari con una piattaforma dedicata o creazione di una community  di propri clienti online) oppure ancora ipotizzare di trasformare la vendita classica nella proposta di noleggio; entrambe queste ipotesi allungano la vita utile del prodotto e ne rendono quindi più sostenibile il ciclo di uso complessivo.

Il Piano di Export quale occasione per un business model innovativo
In molti casi progettare l’export è un momento in cui l’azienda è chiamata a rendere più innovativi e competitivi i processi di gestione della vendita nonché l’offerta proposta sia al segmento business (rivenditori/ retail/ distributori), sia al cliente finale; in genere si parte dagli elementi che possono impattare sulla marginalità, quali i costi di trasporto ed i dazi Paese per Paese, tuttavia analizzando i competitor non solo italiani ma di tutti i Paesi che di volta in volta esportano verso il singolo mercato-obiettivo considerato dall’azienda, si è chiamati a valutare se la propria proposta commerciale regga il confronto e possa essere apprezzata dalle buyer persona individuate. L’analisi permette di capire che vi possono essere modelli di offerta molto diversi, ciascuno basato su leve di marketing specifiche e che sfidano l’azienda ad integrare o a revisionare il proprio modello.

Una delle leve di marketing che si ritrovano nelle offerte commerciali internazionali, particolarmente nelle piattaforme online, è proprio la sostenibilità, e tra l’altro tale leva è più importante in alcuni Paesi rispetto ad altri. Per scoprire con quale probabilità si dovrà “rispondere” di questa caratteristica nei mercati obiettivo è utile consultare i rating dei Paesi rispetto ai parametri ESG nella classifica stilata dal SDG Index, pubblicato online, che assegna un punteggio a ciascuno dei 167 Paesi ad oggi valutati e che indica anche il ranking ovvero la classifica degli stessi. Una posizione molto alta del Paese che costituisce uno dei nostri mercati-obiettivo significa innanzitutto che il Paese ha realizzato una quota consistente degli obiettivi di sostenibilità dei 17 parametri complessivi del sistema ESG, e in second’ordine che i consumatori di quel Paese avranno una sensibilità più elevata di altri in tema di sostenibilità dal momento che sono più abituati ad un ecosistema che ne premia il rispetto. Ad esempio, scorrendo il ranking salta all’occhio che la mitteleuropa è particolarmente attenta alla sostenibilità, che l’Italia ha una buona posizione e che surclassa di diverse posizioni gli Stati Uniti.

Una volta stabilito il “fabbisogno di sostenibilità” dei singoli mercati-obiettivo, la sfida dell’azienda che esporta sta nel ridefinire il business model: marchio e prodotto non bastano, occorre che l’azienda esprima alcuni valori chiari che sostiene nel tempo, che abbia il controllo della filiera anche rispetto ai lavoratori ed all’ambiente, che possa quantificare in numeri il vantaggio creato (ad esempio, riduzione del 10% del consumo di carburante per i trasporti o packaging che permette di stipare il 15% di merce in più in un’unica spedizione); naturalmente, è sempre possibile creare progetti ad hoc quali la produzione di altri prodotti, anche di settori diversi, con gli scarti della produzione principale.
 

Raffaella Còndina

 

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