L’export è una strategia di crescita sempre più importante, sia per aumentare i volumi di vendita che per incrementare il valore unitario dei prodotti e la redditività: si esporta per trovare nuovi mercati, ma anche per riposizionare l’offerta, per essere più competitivi e innovare maggiormente. Su oltre 120.000 aziende italiane che esportano, le PMI sono stimate in circa 50.000: le piccole e medie imprese sono vitali e concrete, eppure sebbene ci sia un incremento, la crescita relativa nel comparto export denota ampi spazi di miglioramento.
PMI ed export: come iniziare, come rafforzare la scelta verso mercati esteri
Le aziende medio-piccole in Italia hanno una grande capacità di esplorare soluzioni nuove per le vendite; molte PMI si informano in merito all’opportunità di esportare, ma molte si arenano quando comprendono che conquistare mercati esteri non è un lavoro di “tentata vendita”, ma un insieme di operazioni coordinate per arrivare all’obiettivo. Si teme di dover investire troppo, o di non riuscire a controllare i partner o agenti locali; in altri casi, si vorrebbe ricorrere al supporto di bandi e finanziamenti i cui tempi non sempre coincidono con le esigenze (veloci) della piccola impresa.
Eppure, la PMI è per sua natura adatta all’export: dinamica, spesso capace di modificare “in corsa” prodotti e servizi, quindi interessante per il cliente estero che cerca un prodotto personalizzato.
Il primo convincimento da sfatare è che si possa esportare tramite i principali soggetti della distribuzione: la PMI spesso non ha la capacità produttiva per soddisfare i volumi di acquisto ricercati dai buyer delle catene GD e GDO. Bisogna studiare una strategia per fornire clienti più piccoli e specializzati, il che si traduce in un maggior lavoro iniziale di mappatura e contatto dei potenziali clienti, ma al contempo può aprire le porte a un posizionamento premium price quindi con una maggiore redditività rispetto alle grandi catene.
Il secondo punto che ancora oggi disorienta alcune PMI è la possibilità di utilizzare strumenti online per ricerche di mercato, mappatura potenziali clienti e così via. Cominciamo col dire che la ricerca di mercato deve ricomprendere ogni aspetto dei mercati-obiettivo quindi sia la distribuzione tradizionale che quella online ma, tenendo presente questo assunto, online troviamo sia i flussi di import-export (ad esempio sul sito Istat) sia alcune schede Paese (Business Atlas di Assocamerestero) per il quadro complessivo, a cui possiamo aggiungere il dettaglio delle vendite online che possiamo analizzare con tool quali Google Market Finder e SEMRush Market Explorer.
Oltre alle analisi preliminari, occorre tener presente che in molti casi l’offerta per l’estero va variata, non tanto nel senso di modificare i prodotti, ma il complesso dei servizi per la vendita tra cui i sistemi di pagamento: in mercati diversi i clienti (soprattutto B2C) si aspettano di poter pagare con carte o altre modalità che l’azienda magari oggi non utilizza ancora.
Canali distributivi digitali: un investimento scalabile
Quando le aziende si chiedono come vendere all’estero, l’accento è quasi sempre sul concetto di vendita e non su quello di marketing, che presuppone analisi, impostazione offerta e investimenti per farsi conoscere e trovare clienti. Diventa quindi particolarmente interessante valutare i canali distributivi digitali: permettono di partire con budget alla portata di PMI e, soprattutto, sono incrementabili sulla base delle prime campagne/ iniziative che dimostrano di funzionare, ovvero sono investimenti scalabili.
- Uno dei canali è certamente quello dei marketplace: generalisti o specializzati per settore, destinati al pubblico di un unico Paese o a molti mercati, dedicati ai clienti finali (B2C), oppure ai clienti aziende (B2B), permettono alla PMI di mettere in vetrina i propri prodotti e di poterli vendere sulla piattaforma. L’investimento in genere è costituito da una fee che copre lo spazio espositivo, in base al numero di schede prodotto che si vogliono caricare; una volta che viene effettuata la vendita il marketplace trattiene una percentuale sul transato (esistono delle eccezioni a queste regole di ingaggio, ma sono davvero poche). E’ poi opportuno valutare periodiche campagne targettizzate sulla piattaforma per intercettare meglio i potenziali clienti.
- Oggi vi è la possibilità di vendere anche attraverso gli shop dei social media; in questo caso è bene fare attenzione al fatto che i social per loro natura portano con sé commenti e valutazioni degli utenti, dunque se si sceglie questo canale è bene iscriversi ad un servizio di monitoraggio detto social listening che consente di raccogliere ed analizzare le diverse conversazioni che si fanno sulla rete riguardo a prodotti/ marchi/ eventi o altro relativi all’azienda.
- Un altro canale che sta dando risultati apprezzabili è la creazione di uno shop a marchio su Whatsapp Business: si tratta di un negozio digitale in cui è possibile riversare il catalogo aziendale e contestualizzare la vendita su una piattaforma molto diffusa.
- Vi è naturalmente anche l’opzione dell’e-commerce proprietario, ma non è la prima scelta per la PMI perché l’investimento in questo caso è più importante e i tempi per rendere rintracciabile il sito aziendale sono lunghi.
Innovazione quale leva per rafforzare l’offerta della PMI
La domanda che non viene quasi mai fatta è invece come impostare o cambiare l’offerta perché sia adeguata e competitiva sui mercati esteri: le PMI spesso sono convinte che il loro prodotto sia già pronto per vendere all’estero, ma questo non è scontato perché pur in presenza di un prodotto di alta qualità gli aspetti che interessano ai buyer sono la capacità produttiva annua del fornitore, la disponibilità a personalizzare e/o brandizzare (con marchio di terzi) il prodotto, le condizioni di fornitura, i metodi di pagamento, le garanzie accessorie, ed ancora la politica dei resi se parliamo di B2C, la puntualità nella consegna, e così via.
Se la PMI intende vendere all’estero, deve essere disponibile a variare il modello di offerta per poter essere competitiva; tra l’altro, sovente il modello deve essere flessibile perché in mercato diverse le esigenze non sono uguali.
L’altro aspetto da considerare è che quando si sceglie l’export improvvisamente ci si proietta su un mercato più grande dove i concorrenti sono molti di più: non soltanto i produttori locali, ma anche gli esportatori sia dall’Italia che da altri Paesi. Essere competitivi in un mercato più grande e “affollato” significa che dobbiamo rendere l’offerta dell’azienda il più possibile unica; per farlo, la leva più importante che abbiamo in questi anni è l’innovazione, sia tecnologica che di processo.
Ad esempio, nel made in Italy il design-arredo ha scoperto quanto la Realtà Aumentata possa far aumentare le vendite per il fatto che il cliente può posizionare l’immagine del prodotto nel proprio ambiente e vedere prima l’ingombro nonché “come sta”. L’agro-alimentare ha capito che utilizzare la Blockchain per tracciare la filiera è premiante, perché il cliente finale ha più fiducia ed è disposto a pagare di più. L’innovazione è comunque anche nell’ottimizzazione del processo logistico, oppure nell’adozione di modalità di assistenza a distanza, come del caso del digital twin (replica in 3D del macchinario per assistenza tecnica).
A cura di:
Raffaella Còndina
CONDINA & associati
Consulenza di Direzione Marketing, Franchising, Sviluppo Internazionale