L’export è un processo che coinvolge il modello di business (caratteristiche del prodotto, listini, design, packaging, comunicazione), il modello distributivo (quali canali: retail, agenti e distributori, marketplace, altri?), il modello di assistenza (pre e post-vendita, politica dei resi, assistenza in loco): un insieme di fattori che talora la singola azienda non riesce a gestire al meglio, sebbene abbia un prodotto competitivo.
Esiste il co-export? Cosa mutuare dalle esperienze di co-marketing e co-branding
Le aziende spesso tendono a perseguire gli obiettivi di export da sole, anche quando per la loro dimensione:
- non sono in grado di sostenere gli investimenti necessari a raggiungere gli obiettivi sui mercati esteri
- non possono supportare la exit strategy se l’investimento in un singolo Paese non funziona.
La exit strategy è un punto focale perché pianifica il riorientamento del piano di espansione internazionale nel caso di risultati inferiori alle attese in una determinata area. Senza questa leva di sostituzione dei mercati, si rischia di disperdere gli investimenti e anche di rinunciare agli obiettivi di export.
Per monitorare le alternative di mercato, occorrono investimenti adeguati e una visione il più possibile poliedrica per comprenderne le reazioni e rispondere adeguatamente in termini commerciali.
Ad esempio, le aziende sono già abituate a considerare operazioni di co-marketing (su prodotti complementari con azioni di comunicazione su un determinato target) nonché operazioni di co-branding (per aumentare la visibilità, unendo più pubblici complementari dei diversi brand). In questi casi, si mette a fattor comune la competenza delle aziende coinvolte, ovvero la reputazione del brand e tutte quelle caratteristiche che rendono competitive le aziende.
E’ importante sottolineare come nelle operazioni di co-marketing e co-branding non si uniscono solo i budget per la comunicazione (fattore comunque importante perché moltiplica i canali attivabili per arrivare al risultato), ma soprattutto si crea il posizionamento di prodotto e prezzo, la visibilità e l’attrattività sia per il consumatore finale che per i distributori e il retail (più propensi a lavorare con brand più visibili e credibili nel mercato), dunque si lavora su fattori immateriali per acquisire competitività lavorando insieme ad altre aziende.
Perché non mutuare queste esperienze e trasformarle in una operazione di co-export?
Competenze ed export collaborativo
Un’azienda che intende esportare deve innanzitutto stabilire la capacità produttiva annua che può destinare all’export. E’ un passaggio fondamentale attraverso il quale determinare se proporsi a Paesi con una distribuzione iper-concentrata (in cui sono richiesti minimi di fornitura annua importanti), oppure se escluderli. Inoltre bisogna decidere a quali operatori retail è possibile proporsi: la capacità produttiva consente di proporsi alla GD e GDO, o al retail organizzato? Oppure è meglio cercare distributori più piccoli e specializzati (che però chiedono referenze differenziate)?.
Che fare se il proprio prodotto non è altamente differenziato e il canale più adatto appare quello della GD/ GDO? Non vi è alternativa: occorre compensare il deficit produttivo con una alleanza forte con un competitor con il quale costruire un catalogo adatto ai mercati esteri obiettivo.
E’ anche possibile definire una offerta alternativa veicolata da un modello di business diverso: ad esempio, un produttore dell’agro-alimentare può decidere di allearsi con produttori di prodotti complementari (dunque non un competitor diretto) e strutturare una offerta adatta all’ho.re.ca, magari supportata in termini di posizionamento di qualità da un format che porterà un marchio comune all’estero, sia quale strumento di supporto alle vendite sia quale unità di business a sé stante.
Unitamente alle competenze produttive, occorre considerare le competenze per singolo mercato obiettivo: nessun export manager può conoscere tutti i mercati e tutte le logiche distributive, così come non potrà conoscere tutte le lingue possibili. Anche sotto il profilo organizzativo, dunque, l’azienda che intende esportare deve fare un’analisi delle competenze interne, a partire dalle lingue effettivamente conosciute (ai fini della negoziazione commerciale e ai fini del customer care) per arrivare alle competenze per mercato.
Spesso le aziende che puntano a mercati diversi scelgono di avere più export manager, spesso esterni in qualità di temporary export manager ovvero di digital export manager i quali però per operare in termini ottimali devono essere gestiti in chiave collaborativa da parte dell’azienda sebbene si tratti di figure indipendenti.
Nuovi modelli di business per l’export
Per l’azienda si tratta di imparare a muoversi in chiave di gestione di una piattaforma di competenze (produttiva, distributiva, di management) più che in funzione delle sole risorse interne. Questo assunto vale anche per le aziende più strutturate, in quanto le alleanze con aziende terze possono aiutare a focalizzare il posizionamento corretto per determinati mercati, ma diventa quasi indispensabile per la PMI che intende svilupparsi tramite l’export.
Vi sono molte strade per agevolare la competitività sui mercati internazionali, dal consorzio per l’estero alle alleanze focalizzate e temporanee, sino ad arrivare a un modello di business che punti sul brand più che sul prodotto e sui volumi di vendita.
Se, ad esempio, l’azienda non è competitiva sui canali tradizionali per il settore e non intende allearsi con soggetti terzi, può ipotizzare di investire in un marchio-insegna e distribuire attraverso propri punti a marchio, sia diretti che in partnership/ franchising.
Molto spesso la singola azienda è strutturalmente debole per entrare nei mercati esteri e rischia di fermarsi al primo ostacolo: questo è dimostrato dal numero delle aziende italiane che esportano, decisamente piccolo rispetto al potenziale del Paese. Occorre cambiare il paradigma, vanno costruite opportunità a partire dalle competenze che permettono di entrare in un nuovo mercato con la giusta visibilità e i giusti numeri (di vendita).
Raffaella Còndina