7 giugno 2022

Corporate Sustainability Due Diligence e doveri degli amministratori di società

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L’Unione Europea è pronta ad adottare nuove misure a tutela dei diritti umani, delle condizioni di lavoro e dell’ambiente.

Corporate Sustainability Due Diligence e doveri degli amministratori di società

Il 23 febbraio 2022, la Commissione europea ha pubblicato la sua proposta di Direttiva sulla Corporate Sustainability Due Diligence (“Direttiva”).

La futura Direttiva e le relative norme nazionali di trasposizione dovrebbero applicarsi alle grandi (oltre 250 dipendenti) e grandissime imprese (oltre 500 dipendenti) e imporre la creazione di un sistema volto a monitorare, prevenire e mitigare gli impatti negativi sull’ambiente, sulle condizioni di lavoro e sui diritti e libertà individuali sia dell’attività dell’impresa, sia della value chain a monte e a valle (fornitori, distributori, rivenditori, ecc.).

La proposta della Commissione UE tenta di rispondere alle richieste:

  • dei cittadini europei che vogliono un’economia più responsabile, disposta a rimediare al suo impatto negativo sui diritti dei lavoratori e sull’ambiente
  • delle imprese che hanno bisogno di maggiore certezza del diritto e di una armonizzazione delle iniziative dei legislatori nazionali in materia (già adottate, o in corso di adozione).

La proposta di Direttiva sulla Corporate Sustainability Due Diligence è, inoltre, una delle iniziative chiave del Green Deal per l'Europa e si inserisce in un più ampio quadro normativo che prevede obblighi di disclosure non finanziaria per gli operatori del mercato finanziario, per i consulenti finanziari e per le grandi aziende. Si ricordano:

  • i criteri ESG (Environment, Social, Governance) previsti dal Regolamento (UE) 2019/2088 sulla disclosure in materia di sostenibilità nel settore dei servizi finanziari (SFDR sustainable finance disclosure regulation) con l'obiettivo di promuovere investimenti che non generino danni significativi all'ambiente e ai diritti umani
  • la direttiva 2014/95/UE (NFRD non financial reporting directive) impone alle imprese di grandi dimensioni, alle imprese quotate in borsa, alle banche, alle compagnie di assicurazione e alle imprese ricomprese nel novero di quelle “di interesse pubblico” dalle autorità nazionali, di aggiungere alle loro relazioni annuali informazioni sull'impatto delle loro attività sull'ambiente e sui diritti umani, nonché sulla lotta contro la corruzione. Le aziende devono rendere noti i profili di rischio legati a questi temi in relazione alle loro attività, anche nelle loro relazioni commerciali.

La nuova proposta va oltre gli attuali testi normativi, in quanto prevede non soltanto un obbligo di informazione (disclosure), ma anche l’obbligo per le grandi e grandissime imprese di adottare misure concrete al fine di garantire la sostenibilità dell’attività aziendale e della catena del valore legata all’azienda stessa.

Oggetto del dovere di vigilanza

Il dovere di vigilanza imposto alle aziende si riferisce agli effetti negativi - reali e potenziali – delle loro attività sulla tutela dei diritti umani, delle condizioni di lavoro e dell'ambiente e si estende all’attività delle loro filiali e alle operazioni legate alla value chain dei loro prodotti e servizi (fornitori, distributori, ecc.).

L’implementazione della nuova disciplina prevista dalla Direttiva fa salve eventuali disposizioni legislative più stringenti già previste dalla legislazione nazionale, o da altri atti dell'Unione.

Per quanto concerne la tutela dell’ambiente e il rispetto dei diritti umani, viene posta particolare enfasi sull’obbligo di vigilanza di eventi negativi risultanti dalla violazione di uno qualsiasi dei divieti, o degli obblighi previsti delle convenzioni internazionali pertinenti.

Così, la direttiva rende gli operatori economici responsabili diretti dell’osservanza degli obblighi che le convenzioni internazionali impongono agli Stati firmatari. Tuttavia, impone loro solo un obbligo di mezzi (fare tutto il possibile per non causare danni) e non un obbligo di risultato (non causare danni).

Al fine di rispettare l’obbligo di vigilanza, gli operatori economici debbono implementare, quanto meno, le seguenti 5 misure (articolo 4 della Direttiva):

  1. adottare un codice interno di condotta
  2. identificare correttamente e tempestivamente eventuali violazioni occorse e i rischi di violazioni future
  3. implementare le misure necessarie a mitigare l’impatto di violazioni occorse e a prevenire violazioni future
  4. istituire una procedura di reclamo che consenta la denuncia efficace e tempestiva di eventuali violazioni
  5. verificare periodicamente l’efficacia delle misure implementate e rendere pubblici i risultati di tale verifica.

La prevenzione e la mitigazione degli impatti negativi saranno raggiunte attraverso piani d'azione contenenti, fra l’altro, cronoprogrammi per l’implementazione delle misure di prevenzione e mitigazione dei rischi e indicatori sullo stato d’avanzamento di tale implementazione. I piani d’azione saranno sviluppati dall'azienda in consultazione con le parti interessate, con garanzie contrattuali che dovranno essere fornite dai partner commerciali diretti (e a cascata da tutta la filiera produttiva).

Qualora i partner commerciali della value chain non siano in condizione di garantire un adeguato monitoraggio e prevenzione del rischio di violazione delle già citate norme, l'impresa dovrà (con alcune eccezioni e nella misura della legge applicabile a ciascun contratto) astenersi dal proseguire le relazioni commerciali con tali partner.

Gli Stati Membri dell’UE dovranno, pertanto, modificare la propria legislazione in tema di recesso o risoluzione dei contratti commerciali introducendo, ove necessario, una previsione che consenta di mettere fine a rapporti contrattuali con soggetti che abbiano commesso violazioni delle disposizioni in materia di tutela ambientale, di tutela dei lavoratori e di protezione dei diritti umani.

Sarà interessante vedere - laddove la proposta venisse adottata - come i singoli Stati membri attueranno la previsione dell'art. 25 sulla responsabilità degli amministratori che così recita:
Directors’ duty of care
Member States shall ensure that, when fulfilling their duty to act in the best interest of the company, directors of companies referred to in Article 2(1) take into account the consequences of their decisions for sustainability matters, including, where applicable, human rights, climate change and environmental consequences, including in the short, medium and long term.
Member States shall ensure that their laws, regulations and administrative provisions providing for a breach of directors’ duties apply also to the provisions of this Article.

Nel caso in cui la violazione di tali disposizioni generi un danno, l'azienda sarà anche tenuta a risarcire le persone o le comunità colpite in proporzione al danno da esse effettivamente subito e alla parte del danno attribuibile all’attività (o alle condotte omissive) dell’azienda.

Ambito di applicazione

L'obbligo di vigilanza previsto dalla Direttiva sarà inizialmente imposto alle imprese con più di 500 dipendenti e un fatturato netto superiore a 150 milioni di euro a livello mondiale e alle imprese con più di 250 dipendenti e un fatturato netto tra 40 e 150 milioni di euro a livello mondiale che operano in settori considerati “ad alto rischio” quali il settore tessile e del cuoio, dell'agricoltura e dell'allevamento, o dello sfruttamento delle risorse minerarie.

L'obbligo di vigilanza si estenderà anche a imprese extracomunitarie che superino le soglie di fatturato indicate nel paragrafo precedente, indipendentemente dal numero di dipendenti impiegati dall’impresa.

Anche le società finanziarie, nella misura in cui concedano finanziamenti, crediti, assicurazioni o gestiscano fondi, sono soggette al dovere di vigilanza.

Implicazioni per le PMI

Le piccole e medie imprese (PMI) non saranno direttamente soggette all’applicazione delle norme nazionali di trasposizione della Direttiva.

Tuttavia, le PMI che sono parte (direttamente o indirettamente) della filiera produttiva di grandi e grandissime imprese interessate dall’applicazione della Direttiva si vedranno estendere gli obblighi previsti da tali norme in via indiretta, tramite strumenti di natura contrattuale che le grandi imprese applicheranno ai loro fornitori, subfornitori, distributori, rivenditori, ecc.

Alle PMI potrebbe, quindi, essere richiesto di fornire garanzie contrattuali in merito al rispetto degli standard in materia ambientale, di tutela del lavoro e di rispetto dei diritti umani, di impegnarsi al rispetto di un codice di condotta, o di implementare misure definite in un piano d'azione predisposto dalla grande impresa (effetto a cascata del dovere di vigilanza).

Le grandi imprese dovranno, a loro volta, sostenere le PMI alle quali richiedano di implementare le misure previste dalla Direttiva. Qualora le PMI della filiera non siano in condizione di mettere in atto misure di monitoraggio, prevenzione e mitigazione dell’impatto di possibili violazioni, potranno vedersi sospendere o interrompere i rapporti commerciali con tali imprese grandi o grandissime.

Le grandi e grandissime imprese, sia che abbiano sede nel territorio dell’Unione Europea sia in Paesi terzi, dovranno inoltre adottare un piano per garantire che il loro modello di business e la loro strategia produttiva e commerciale siano compatibili con i requisiti della transizione verso un'economia sostenibile e con gli obbiettivi fissati dall’Accordo di Parigi.

Rilevante senz’altro sarà poi l’impatto sui modelli organizzativi e di gestione di cui al d.lgs 231/2001 che dovranno tenere in debita considerazione le previsioni in esame.

Sanzioni

Il comportamento delle imprese soggette all'obbligo di due diligence sarà sanzionato utilizzando tre strumenti di diversa natura:

  • istituzione di una procedura di reclamo
  • irrogazione di sanzioni amministrative
  • azioni civili per il risarcimento dei danni causati (private enforcement) da violazioni commesse dalle imprese.

Gli individui (persone fisiche o giuridiche, sindacati o associazioni) dovranno essere messi in condizione di presentare alle aziende interessate un reclamo ove ritengano che sussista un rischio, attuale o potenziale, di violazione delle disposizioni. I reclamanti avranno il diritto di ottenere un’adeguata e motivata risposta ai loro reclami e di incontrare i rappresentanti dell'azienda.

Ciascuno Stato Membro dell’UE designerà un soggetto deputato al controllo sulla corretta applicazione delle nuove disposizioni previste dalla Direttiva (e relative norme nazionali di trasposizione) e all’irrogazione di eventuali sanzioni ove vengano riscontrate delle violazioni.

Le autorità di controllo avranno il potere di richiedere informazioni, condurre indagini, effettuare ispezioni, determinare se le imprese interessate si siano rese inadempienti agli obblighi di due diligence previsti dalla Direttiva, concedere a tali imprese il tempo necessario per rimediare alle carenze riscontrate (o ordinare di porvi rimedio senza indugio), nonché adottare misure provvisorie e imporre (direttamente o attraverso il sistema giudiziario) sanzioni efficaci, proporzionate e dissuasive alle imprese.

Le imprese sanzionate non potranno più richiedere l’erogazione di aiuti pubblici (dell’UE e degli Stati Membri).

Le imprese potranno, altresì, essere ritenute civilmente responsabili per i danni causati dalla mancata implementazione di misure adeguate a prevenire la violazione di norme a tutela dei diritti umani, dei lavoratori o dell’ambiente, ovvero di mitigare l’impatto negativo di tali violazioni.

Per garantire la libertà di denunciare le violazioni del dovere di vigilanza, la Direttiva prevede un meccanismo di protezione delle persone che forniscono alle autorità informazioni (c.d. whistleblowers) rilevanti a questo fine che siano state acquisite nell’ambito di un rapporto di lavoro. Un simile meccanismo di protezione opera già in altri settori (finanza, trasporti, concorrenza, energia nucleare, salute pubblica, ecc.).

Conclusioni

Il testo della nuova Direttiva, sebbene sia ancora allo stadio di proposta, delinea chiaramente l’intenzione del legislatore europeo di ampliare la base delle imprese che saranno soggette agli obblighi di due diligence al fine di tutelare i diritti umani, le condizioni di lavoro e l’ambiente (imprese con più di 500 dipendenti, oppure con più di 250 dipendenti in settori particolarmente “sensibili”) e di estendere a tutta la filiera – a monte e a valle di tali imprese – gli obblighi previsti dalla stessa Direttiva.

Difficile immaginare che la Direttiva come attualmente formulata, oppure un testo di portata equivalente, non sia adottata entro breve dal legislatore dell’Unione e successivamente trasposto nell’ordinamento dei singoli Stati Membri dell’Unione entro i due anni successivi.

Il tema della Corporate Sustainability due diligence era, sino ad ora, percepito con estrema distanza (e qualche disinteresse) dalle piccole e medie imprese che, solo occasionalmente nei rapporti commerciali con imprese con più di 5.000 dipendenti, si vedevano richiedere l’adesione a codici di condotta predisposti da tali imprese.

Tale scenario non è più attuale ed oggi le piccole e medie imprese dovranno intraprendere nell’immediato futuro un percorso volto a creare meccanismi che consentano di assicurare la prevenzione di violazioni dei diritti umani, dei diritti dei lavoratori e delle disposizioni a protezione dell’ambiente e a minimizzare l’impatto negativo di eventuali violazioni che si dovessero verificare.

I rischi per le imprese che non saranno in grado di adeguarsi tempestivamente alle nuove disposizioni sono significativi e vanno dall’irrogazione di sanzioni amministrative alla cessazione delle relazioni commerciali con le grandi e grandissime imprese clienti o fornitrici della PMI, alle azioni civili per il risarcimento dei danni causati, alle potenziali azioni nei confronti degli amministratori delle imprese che opereranno in violazione delle disposizioni introdotte dalla proposta Direttiva.

In conclusione, sebbene vi sia ancora un margine di incertezza in merito alle tempistiche e all’esatto contenuto delle disposizioni in materia, il percorso verso una maggiore responsabilizzazione delle imprese sul tema del rispetto dei diritti umani e dei lavoratori e del raggiungimento degli obbiettivi dell’Accordo di Parigi sembra tracciato e non più rinviabile.

Elsa Vasseur - Nicolò Maggiora - Emilio Villano

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