Da circa 15 anni il processo di globalizzazione è in fase di graduale rallentamento. Le politiche statunitensi ed europee mirano a favorire processi di re-industrializzazione (reshoring) e di rilocalizzazione delle filiere produttive, puntando su partner affidabili (friendshoring). Tali dinamiche alimentano una progressiva regionalizzazione della produzione e degli scambi.
Per le imprese con mercato di sbocco principalmente europeo, la rilocalizzazione potrebbe orientarsi:
- sull’Europa orientale (in particolare Polonia, Repubblica Ceca e Ungheria)
- oppure nell’area del Mediterraneo (in particolare, Nord Africa, Turchia e Balcani occidentali).
I Paesi affacciati sulle sponde extraeuropee del Mediterraneo rappresentano una valida opzione per ridefinire la configurazione delle filiere produttive UE in quanto offrono vantaggi comparati in numerosi ambiti industriali di interesse strategico per le filiere europee:
- tessile e arredo, capi d’abbigliamento e calzature (Albania e Tunisia)
- tappeti (Egitto e Turchia)
- legname e mobili in legno (Bosnia)
- metallurgia e meccanica, con un peso relativo considerevole nell’export di Turchia (prodotti in metallo e macchinari industriali), Bosnia (prodotti in metallo) e Serbia (locomotive ferro-tranviarie)
- fertilizzanti, in cui vantano una marcata specializzazione commerciale Egitto e Marocco
- componentistica per aerospazio e automotive in Marocco e Tunisia, grazie alla loro forte integrazione nelle catene del valore europee (in qualità di fornitori di importanti multinazionali francesi, tedesche e italiane).
Un secondo fattore competitivo su cui i Paesi mediterranei possono far leva per intercettare nuovi investimenti produttivi (anche di rientro) è il contenuto costo del lavoro.
Un terzo elemento di competitività per le sponde non europee del Mediterraneo è legato alla dotazione infrastrutturale, soprattutto in ambito logistico-portuale. Mentre la quota di traffico container in Europa intercettata dai porti della Northern-Range è scesa tra il 2008 e il 2021 dal 46% al 38%, quella dei porti mediterranei è salita dal 35% al 44%.
Il porto marocchino di Tanger Med vanta la più elevata capacità di movimentazione container del Mediterraneo (oltre 7 milioni di TEU) e comprende una delle free zone più dinamiche al mondo collegata direttamente tramite ferrovia agli stabilimenti produttivi dei grandi produttori europei. L’Egitto ha sfruttato il raddoppio del Canale di Suez per sostenere la crescita di Port Said non solo come terminal container (quarto scalo del Mediterraneo per capacità di movimentazione), ma anche come hub energetico e industriale. La Turchia ambisce a portare il volume di merci movimentate dai suoi scali da 250 a oltre 450 milioni di tonnellate nel trentennio 2023 - 2053. Il progetto di apertura di Canal Istanbul tra Mar Nero e Mar di Marmara, previsto entro il 2030, consentirà di raddoppiare il transito di navi sul Bosforo.
A trarre vantaggio del rafforzamento del bacino Mediterraneo sono stati soprattutto i sistemi portuali della costa orientale, ovvero Grecia e Turchia, e della sponda sud, Egitto e Marocco in primis. I porti italiani hanno subito in particolare la competizione del Pireo, degli scali spagnoli (Valencia e Algeciras) e di quelli nord-africani di Port Said e Tanger Med.
Quali opportunità per la portualità italiana?
Il riassetto degli equilibri commerciali in ottica mediterranea rappresenta un’opportunità anche per la portualità italiana, leader nel traffico marittimo a corto raggio. Questa modalità di trasporto (short sea shipping) è pienamente in linea con le esigenze del commercio regionale e l’Italia è il primo Paese in Europa per volume di merci movimentate, con una quota di mercato pari al 14%, davanti a Paesi Bassi 13,5%, Spagna 10% e Francia 7%.
Inoltre dei primi 10 porti Ro-Ro europei del Mediterraneo, 7 sono ubicati in Italia. Il Ro-Ro costituisce una leva importante: la sua natura intrinsecamente intermodale, che permette di combinare trasporto marittimo e stradale/ferroviario, gli conferisce un elevato grado di flessibilità rispetto all’evoluzione della domanda.
Tuttavia per valorizzare pienamente la collocazione strategica dell’Italia, occorre rafforzare la competitività degli scali, puntando su:
- efficientamento dei servizi portuali (il tempo medio di attesa nei porti italiani si attesta a 1,34 giorni, contro 0,62 nei Paesi Bassi e 0,9 in Spagna)
- potenziamento delle infrastrutture per l’intermodalità (ad oggi solo due su cinque dei principali porti italiani sono collegati direttamente alla rete ferroviaria nazionale)
- sviluppo di aree retro portuali attraverso la piena implementazione delle Zone Economiche Speciali (ZES) e delle Zone Logistiche Speciali (ZLS)
- trasformazione green (banchine dotate di servizi di alimentazione onshore, infrastrutture per l’accosto di navi GNL/dualfuel o alimentate da combustibili alternativi e l’uso di energie rinnovabili in porto).
Il documento è stato coordinato da Andrea Montanino e Simona Camerano e predisposto da: Alberto Carriero, Livio Romano, Benedetta Scotti, Sofia Torreggiani
Fonte: Brief Cdp “Deglobalizzazione e Mar Mediterraneo: quale ruolo per l’Italia?”