Secondo la Corte Suprema, le corti d'appello federali non devono limitarsi ad un semplice controllo sugli eventuali abusi di potere discrezionale da parte delle corti di primo grado, ma devono procedere ad un esame "de novo" del caso.
Con la sentenza emessa il 7 aprile 2003 la Corte Suprema, nel caso State Farm Mutual Automobile Insurance Co. v. Campbell, ha sottolineato ancora una volta l'importanza di analizzare le decisioni con le quali vengono concessi i "punitive damages", attenendosi scrupolosamente ai criteri dettati dalla stessa Corte nel caso BMW v. Gore del 1996.
La condotta dell'imputato
In particolare, il grado di reprensibilità della condotta dell'imputato deve, a giudizio della Corte Suprema, rappresentare il fattore determinante per valutare la "ragionevolezza" dei danni punitivi liquidati dalle giurie.
Per facilitarne il compito, la Corte ha suggerito alcuni spunti che dovrebbero favorire le corti, sia statali che federali, nel determinare il grado di reprensibilità della condotta dell'imputato.
Queste ultime dovrebbero, tra l'altro, valutare se il danno causato alla vittima:
- è un danno fisico oppure ha carattere economico
- è il risultato del dolo, della frode o dell'inganno dell'imputato o, invece, del semplice caso
- è il frutto di azioni ripetute dell'imputato o di un'azione isolata.
Infine andrebbe valutato se la condotta tenuta dall'imputato riveli un'assoluta mancanza di considerazione o di rispetto per la vita e gli interessi dei terzi.
Proprio tenendo ben presenti tali fattori, la Corte ha giudicato assolutamente eccessivi i "punitive damages" che la compagnia assicurativa State Farm Mutual Automobile Insurance Co. era stata condannata a risarcire ad una coppia di propri assicurati da una corte dello Stato dello Utah.
La causa
La causa fu promossa dai coniugi Campbell i quali citarono in giudizio la propria compagnia assicurativa per essersi rifiutata in mala fede di accettare le richieste di risarcimento avanzate nei loro confronti dalle famiglie delle vittime di un incidente stradale causato dagli stessi signori Campbell e nel quale una persona era rimasta uccisa ed un'altra parzialmente invalida. Le richieste di risarcimento ammontavano ad un totale di 50.000 dollari, pari al limite massimo della polizza assicurativa sottoscritta dai coniugi Campbell.
Dopo aver sostenuto la non colpevolezza dei propri assicurati ed essersi perciò rifiutata di pagare qualunque forma di risarcimento, la compagnia di assicurazione decise di portare il caso in tribunale, nonostante il parere contrario dei propri liquidatori, confidando esclusivamente nella propria abilità di alterare i verbali e la documentazione in suo possesso per poter così dimostrare la non colpevolezza dei suoi assicurati.
La giuria, tuttavia, riconobbe alle famiglie delle vittime un risarcimento di 185.849 dollari, ben tre volte superiore al valore delle richieste originariamente formulate.
La compagnia, dopo un iniziale rifiuto di pagare i 135.849 dollari di differenza tra la copertura della polizza assicurativa dei Campbell e i danni riconosciuti alle famiglie delle vittime dalla giuria, si convinse a liquidare l'intera somma.
I coniugi Campbell decisero, tuttavia, di citare la compagnia per frode e malafede, ottenendo un verdetto a proprio favore che condannava la compagnia a pagare 2,6 milioni di dollari come "compensatory damages" e 145 milioni di dollari a titolo di "punitive damages".
Sebbene la corte d'appello avesse ridotto l'entità dei "compensatory damages" a 1 milione di dollari e quella dei "punitive damages" a 25 milioni di dollari, la Corte Suprema dello Stato dello Utah, investita della causa, ristabilì l'originaria condanna, fissando l'entità dei "punitive damages" in 145 milioni di dollari e motivando la propria decisione con l'intenzione di punire State Farm Mutual Automobile Insurance Co., più che per i danni effettivamente subiti dai coniugi Campbell, soprattutto per le pratiche fraudolente attuate a livello nazionale dalla compagnia assicurativa.
La corte tenne, inoltre, in grande considerazione l'ingente patrimonio di cui disponeva State Farm Mutual - compagnia notoriamente leader nel mercato assicurativo automobilistico negli Stati Uniti - e concluse che la condanna ad un risarcimento così elevato si giustificava anche in considerazione delle diverse sanzioni civili e penali che la compagnia avrebbe potuto trovarsi a fronteggiare, tra le quali, la corte menzionò, in particolare: I) 10.000 dollari per ogni caso di frode perpetrata a danno degli assicurati; II) la sospensione della licenza nello Stato dello Utah; III) la restituzione dei profitti; IV) la possibile incarcerazione.
La competenza territoriale
La Corte Suprema federale riconobbe nelle motivazioni alla sentenza fornite dalla corte dello Utah, la presenza di una serie di fattori sufficienti a giustificare la condanna di State Farm Mutual ad un risarcimento non solo di carattere "compensativo" ma anche "punitivo".
Tuttavia, l'ammontare di tale risarcimento, a giudizio della Corte, era chiaramente eccessivo , anche tenendo nella dovuta considerazione gli obiettivi che ciascuno stato è legittimato a perseguire.
Appare piuttosto evidente, infatti, l'intenzione della corte dello Utah di prendere a pretesto il caso Campbell per denunciare pubblicamente e punire State Farm Mutual per l'irregolarità delle operazioni condotte dalla compagnia non solo a livello locale ma anche e soprattutto a livello nazionale; operazioni, che venivano orchestrate ai livelli dirigenziali più alti della compagnia e che trovavano applicazione in numerosi Stati.
Su questo punto, però, la Corte Suprema degli Stati Uniti è stata molto chiara e decisa nel ribadire la propria posizione e nel respingere il verdetto della corte dello Utah, ritenendo le argomentazioni presentate come decisamente in contrasto con una serie di principi costituzionali sui quali è fondato l'intero sistema federale del Paese.
In particolare, la Corte ha precisato, in sede di commento alla sentenza, come uno stato non abbia né il diritto né il potere di "intromettersi" nella gestione degli affari interni di un altro Stato, anche se lo scopo di tale intromissione è semplicemente quello di proteggere il benessere e la salute dei propri cittadini in prospettiva di un loro trasferimento in quello Stato.
Le leggi statali di per sè sono dotate di forza e di validità circoscritta allo Stato nel quale queste vengono promulgate; possono, tuttavia, trovare efficacia anche in un altro Stato solo in presenza di un accordo di reciproco rispetto.
Non è pertanto configurabile, come principio generale, l'ipotesi che uno Stato possa avere un legittimo interesse ad imporre "punitive damages" per colpire comportamenti illeciti avvenuti al di fuori della propria giurisdizione.
Allo stesso modo, uno Stato non ha il potere di reprimere condotte considerate lecite nel luogo in cui si sono verificate, se queste non hanno provocato danni allo Stato che intende punirle nè ai suoi abitanti.