Ma che cosa rappresentano in concreto i "punitive damages" nel sistema giuridico statunitense?
Si tratta di un istituto, previsto dalle normative vigenti nella maggior parte degli Stati americani, anche se talvolta sottoposto a discipline sostanzialmente diverse tra loro, attraverso il quale i giudici, o meglio, le giurie, sono in grado di reprimere i comportamenti caratterizzati da dolo o colpa grave, condannando il colpevole a pagare al danneggiato (in aggiunta a quanto dovutogli quale risarcimento nel senso tradizionale del termine) una somma, spesso molto superiore all'entità del danno arrecato.
I giudici americani hanno costantemente affermato una duplice ragione giustificatrice dei "punitive damages", basata, da un lato, sull'intento di impedire che l'autore dell'illecito torni a ripetere il proprio comportamento lesivo e, dall'altro, sulla funzione retributiva rispetto alla condotta antisociale attuata dal danneggiante.
Negli ultimi dodici anni, la Corte Suprema degli Stati Uniti si è pronunciata per ben sei volte in tema di "punitive damages" ed in merito alla loro costituzionalità.
Nelle prime due occasioni, la Corte ha respinto gli appelli presentati contro due decisioni emesse, rispettivamente, da una corte statale dell'Alabama e da una della West Virginia, nei quali si sosteneva come l'eccessivo ammontare dei "punitive damages" concessi dalle corti potesse costituire una violazione della clausola "Due Process" prevista dalla Costituzione americana al XIV° Emendamento, che proibisce espressamente l'imposizione di sanzioni eccessive o arbitrarie.
Nelle due decisioni in esame, la Corte ha sostenuto l'importanza di procedere ad un'attenta valutazione comparativa tra i danni liquidati a titolo compensativo e quelli, invece, aventi funzione "punitiva".
In particolare nel secondo caso, nonostante l'apparente sproporzione tra l'entità dei "compensatory damages" riconosciuti alla vittima e quella dei "punitive damages", questi ultimi, infatti, ben 526 volte superiori ai primi, la Corte Suprema non ha ravvisato alcuna violazione del principio costituzionale del "Due Process" e ha, invece, sottolineato come, sia le istruzioni fornite alla giuria che il procedimento di revisione della sentenza di primo grado, fossero assolutamente corrette.
Nel 1994 la Corte si pronunciò in merito ad una sentenza emessa da una corte dello Stato dell'Oregon, che aveva riconosciuto un risarcimento a titolo di "punitive damages" pari a 5 milioni di dollari nei confronti di una casa produttrice di veicoli fuoristrada.
Qui, però, la Corte Suprema ravvisò, nella procedura seguita per giungere al verdetto, una violazione dei principi costituzionali. In particolare, la Costituzione dello Stato dell'Oregon, oltre a riconoscere alla giuria una assoluta autonomia decisionale nei processi, prevedeva, altresì, che i verdetti emessi da tali organi non potessero essere sottoposti ad alcun riesame da parte di nessuna corte dello Stato, ad eccezione della Corte Suprema statale, la quale solo in presenza di una assoluta infondatezza delle prove poste a sostegno delle decisioni emesse dalle giurie, aveva la autorità di sottoporle ad una nuova verifica.
La Corte Suprema degli Stati Uniti, chiamata a pronunciarsi sul caso, ravvisò, nel rifiuto dello Stato dell'Oregon di rivedere l'entità del risarcimento deciso in primo grado dalla giuria, una grave violazione del principio costituzionale del "Due Process" e dispose, pertanto, un nuovo dibattimento.
La Corte, tuttavia, nella circostanza, non si spinse fino ad enunciare i criteri che le corti di appello statali dovrebbero utilizzare per valutare l'eventuale eccessiva entità dei "punitive damages" liquidati dalle giurie.