Prima dello scoppio della pandemia, il fashion mostrava un ottimo stato di salute: il settore registrava infatti una crescita più elevata rispetto al resto della manifattura globale, profitti maggiori e una migliore capitalizzazione.
Lo shock pandemico ha colpito il settore sia dal lato dell’offerta che da quello della domanda. I lockdown hanno creato interruzioni nelle catene di approvvigionamento, con conseguenti aumenti dei costi di trasporto e logistici e strette alla fornitura di materie prime.
In Italia, i comparti sono stati colpiti in modo diverso dalla pandemia, con le pelli ad aver registrato il crollo maggiore (- 23,6%), seguite dal tessile (-16,2%), più contenuto il calo per abbigliamento e calzature (-4,7%).
Nondimeno, si è assistito a un mutamento nelle esigenze dei consumatori, derivante dai nuovi ritmi di vita imposti dalla pandemia, con minori occasioni sociali. Questi fattori hanno determinato una flessione marcata sia dei livelli di produzione che dei consumi. Il settore è stato inoltre colpito dal minor numero di turisti provenienti dall’estero, che abitualmente acquistano articoli di moda durante le loro visite come parte dell’esperienza di viaggio.
A livello globale, nel 2020 la moda ha generato un export di quasi € 900 miliardi, circa i due terzi dei quali di abbigliamento e calzature, il 23% di prodotti tessili e il restante 9% di pelli e prodotti in pelle.
Il primo esportatore è la Cina con € 316 miliardi di export (circa il 35% del totale), mentre il Vecchio Continente segue con oltre € 237 miliardi. I tre principali Paesi asiatici (Vietnam, Bangladesh e India) esportano prodotti in media per € 39 miliardi ognuno. Le vendite oltreconfine della Turchia ammontano a circa € 25 miliardi, mentre gli Stati Uniti hanno esportato poco meno di € 24 miliardi.
Esportazioni italiane
Nel 2020 l’Italia ha esportato € 46,7 miliardi di articoli di moda, registrando una contrazione del 18,5%. Con un saldo commerciale positivo per tutti i comparti (abbigliamento, tessile e pelli), l’Italia è terzo esportatore mondiale (quota di mercato del 5,3% e seconda nel segmento delle pelli con una quota del 14%).
- L’abbigliamento (escluso quello in pelliccia) è la prima componente delle esportazioni del settore rappresentando nel 2020 poco più di un terzo del valore complessivo, nonostante la diminuzione del 16,7%.
- Segue la valigeria e pelletteria con un peso del 21% circa, dopo che le vendite oltreconfine hanno subìto un calo del 23,8%.
- Le calzature rappresentano il 19% sul settore, con un export in flessione del 15,8% sul 2019.
Nei primi dieci mesi del 2021 le vendite oltreconfine hanno mostrato segnali di ripresa (+16,4% rispetto allo stesso periodo dell’anno precedente) con un rimbalzo a doppia cifra comune a tutti i sotto comparti. Nonostante ciò, il divario con i livelli pre-crisi permane seppure con alcune differenze: tessuti, abbigliamento in pelliccia e pelletteria e valigeria rimangono più indietro rispetto agli articoli di maglieria e alle calzature, che beneficiano infatti dell’impulso delle griffe internazionali del lusso. L’export di altri prodotti tessili (tessuti non tessuti , articoli tessili tecnici e industriali, tessuti a maglia, articoli tessili confezionati) è l’unico comparto ad aver già superato i livelli del 2019.
Svizzera, Francia e Germania si confermano i primi mercati di sbocco, seguiti da Stati Uniti, Regno Unito e Cina. Le esportazioni verso la Svizzera, hublogistico del settore, hanno registrato una riduzione superiore alla media (-20,9%) a causa soprattutto del crollo dei prodotti più legati ai viaggi, come la valigeria e pelletteria, primo comparto di export verso la Confederazione. Francia e Germania, che accolgono prevalentemente abbigliamento (escluso quello in pelliccia) e calzature, hanno registrato cali relativamente più contenuti (-13,7% e -11,2%).
Il dato parziale del 2021 indica le esportazioni in ripresa pressoché generalizzata con l’eccezione di quelle verso il Regno Unito, ancora in calo a causa delle implicazioni burocratiche legate alla Brexit. In evidenza le performance delle vendite verso Cina, Corea del Sud e Polonia, che dopo essere riuscite a contenere le perdite nel 2020, sono cresciute a ritmi elevati nei primi dieci mesi dello scorso anno.
La Polonia si sta affermando come il più ampio mercato del fashion nell’est Europa, grazie anche alla larga fascia di popolazione giovane e a una classe media in espansione, caratteristiche che hanno spinto numerosi brand internazionali ad aprire punti vendita nel Paese.
Nel Paese del Dragone si osserva una crescente richiesta di articoli di lusso, anche Made in Italy, nonostante la domanda dei consumatori cinesi si stia orientando sempre più verso prodotti domestici; mentre i consumatori sudcoreani stanno sviluppando un gusto per i capi alla moda (anche internazionale), pur prestando maggior attenzione alla componente del prezzo.
L’80% delle vendite italiane all’estero di moda nel 2020 sono state generate da Lombardia, Toscana, Veneto ed Emilia-Romagna. Mentre le prime due hanno registrato una flessione superiore alla media nazionale, in Emilia-Romagna e, in particolare, in Veneto il settore ha reagito relativamente meglio alla crisi pandemica.
Economia circolare e digitalizzazione
Allo scopo di favorire l’economia circolare nel sistema moda, da quest’anno l’Italia ha introdotto l’obbligo di raccolta differenziata dei prodotti tessili con un target di recupero del 100%. Anche le imprese stanno agendo sempre più per limitare il proprio impatto ambientale in fase di produzione e di ricerca e sviluppo, ma anche tramite servizi offerti al consumatore (ad esempio quelli di sartoria per incentivare la riparazione dei prodotti).
A valle l’esperienza di shopping diventerà sempre più digitale, grazie alla maggiore diffusione dell’e-commerce su diverse piattaforme e all’utilizzo dell’intelligenza artificiale nei camerini di prova dei negozi fisici.
A monte, l’applicazione della realtà aumentata permetterà di ridurre gli sprechi lavorando su modelli 3D e producendo solo le parti necessarie. Le tecnologie dell’industria 4.0 consentiranno di ridurre i costi di produzione, il time-to-market e i rifiuti generati; le evoluzioni della blockchain permetteranno una migliore tracciabilità di ogni fase di vita di un capo fashion.
Fonte: SACE Focus on Fashion (21 gennaio 2021)