Questa decisione risale al 1949, quando l’allora Ministro della Difesa Cardona supportò l’idea dell’ex Ministro dell’Interno Ramos di spendere di più per istruzione e sanità. Un recente lavoro di due ricercatori dell’Università del Costa Rica ha stimato, con un modello econometrico che mette a confronto con un’analisi controfattuale il Costa Rica attuale, che ha abolito la leva obbligatoria, con uno fittizio che avesse preso la decisione opposta, che la scelta presa ha pagato, rendendo possibile il raddoppio del Pil pro capite in 30 anni e non 53, portando il Paese dall’avere il quarto Pil pro capite più basso dell’America latina al secondo reddito più elevato.
Negli ultimi due decenni il Paese è inoltre riuscito a cambiare il proprio modello di sviluppo passando da un export dipendente quasi interamente dai prodotti agricoli (in particolare frutta tropicale e caffè) a vendite molto più diversificate, che includono prodotti hi-tech afferenti a vari settori (dispositivi medici, elettronica e aerospazio), inserendosi nelle catene globali del valore, in particolare in quella statunitense. Dal gigante nordamericano proviene oltre il 50% degli Ide, i cui flussi sono stati pari, in media, al 6% del Pil nell’ultimo decennio. Un forte impulso all’attrazione di capitali nel Paese è stato reso possibile dall’introduzione di Zone Franche soggette a regimi speciali (esenzione pluriennale dal pa¬gamento delle imposte sui redditi d’impresa e di imposte d’importazione sulle materie prime e semilavorati) accordati a particolari tipologie di imprese (sia di trasformazione che di servizi) .
Il Costa Rica, pur essendo solo la dodicesima geografia di destinazione per l’export italiano in America latina, presenta opportunità per le imprese italiane già presenti nel subcontinente e che vogliano ulteriormente esplorarne le potenzialità: le principali sono nei servizi di alloggio e ristorazione, nelle costruzioni, nella vendita di macchinari, alimentari e mobili. Nel Paese è consolidata la presenza di alcune grandi imprese italiane ma vi sono occasioni anche per le Pmi, data l’elevata considerazione di cui godono i nostri prodotti.
Nel 2017 le esportazioni italiane hanno raggiunto la cifra record di 148 milioni di euro, in crescita di oltre il 50% rispetto al 2007. Nei primi 9 mesi del 2018 si evidenzia un calo tendenziale del 7,3% rispetto allo stesso periodo dell’anno precedente, dovuto alle minori esportazioni di apparecchi elettrici, oggetto di un boom nel 2017; tuttavia diversi sono i settori in controtendenza tra cui gomma e plastica, prodotti alimentari e prodotti chimici. Quel che colpisce dai dati (Figura 1) è inoltre la maggiore diversificazione settoriale rispetto alla meccanica strumentale, in linea con l’inserimento del Paese nelle catene del valore. Questo fenomeno depone a favore di un ulteriore aumento dei flussi, grazie alla minore elasticità al ciclo economico dei settori integrati nelle filiere di produzione internazionale. La presenza di consumatori mediamente giovani, con un buon livello di scolarizzazione e potere d’acquisto rispetto ai peer dell’area, è un altro fattore che può far incontrare le preferenze locali con il Made in Italy. Di contro i problemi di consolidamento fiscale del Paese alla base del recente downgrade delle principali agenzie, benché prontamente affrontati dalla riforma fiscale del nuovo governo Alvarado, impongono più cautela rispetto al passato, con necessità di maggiore selezione delle controparti e di adeguati strumenti finanziari e assicurativi.
A cura di – Davide Serraino