La decima edizione del Rapporto dà conto della fase di ripresa economica del 2021, seguita alla profondissima contrazione dell’attività provocata dalla prima fase pandemica.
Tra le maggiori economie dell’Area euro, l’entità del recupero del nostro Paese è seconda solo a quella francese e più forte di quelle di Spagna e Germania. Alla fine dell’anno il Pil è quasi tornato al livello dell’ultimo trimestre del 2019, grazie al contributo di consumi e investimenti.
Nel corso del 2021 la performance delle esportazioni italiane in valore è stata migliore sia di quella dell’Area euro (18,2% contro il 17,1%), sia di quelle di Germania e Francia (rispettivamente +14,1% e +15,9%). Ne è derivata una tenuta delle quote di mercato in valore dell’Italia nei dieci principali mercati di destinazione dell’export (che assorbono oltre il 60% del valore complessivo delle vendite italiane all’estero), con lievi aumenti in Germania, Spagna, Paesi bassi e Cina.
In termini di valore, la performance dell’export italiano è stata migliore di quella dell’Area euro nei mercati extra-Ue (+16% e +12,6% rispettivamente), di entità simile nel mercato Ue (+20% circa). Se misurate in volume, invece, emerge un’ottima performance delle vendite sui mercati Ue, con un recupero dei livelli pre-crisi per alcune importanti tipologie di prodotti, in particolare le forniture industriali e i beni strumentali.
Le imprese multinazionali (a controllo italiano ed estero) spiegano oltre il 75% delle esportazioni italiane, condizionandone le destinazioni. Nel 2019, il 26,6% delle vendite complessive di prodotti manifatturieri in Germania è generato da imprese a controllo tedesco. Per la metallurgia tale quota sfiora il 50%, per le pelli è pari al 61,7%, per le apparecchiature elettriche al 35,3%, per gli alimentari al 41,6%. Le imprese a controllo statunitense generano il 14,1% del totale delle esportazioni di beni manifatturieri negli Stati Uniti (il 47,7% dell’export di mezzi di trasporto), quelle a controllo britannico l’8,9% delle vendite nel Regno Unito, quelle a controllo cinese il 4,9% dell’export in Cina.
Nel 2021 il sistema produttivo italiano non sembra aver perso competitività nei confronti dei principali partner europei. Il costo orario del lavoro è aumentato a ritmi moderati, con un andamento più favorevole per l’Italia rispetto a Spagna e, soprattutto, a Francia e Germania. I prezzi alla produzione sono saliti in misura pressoché uniforme.
Alla vigilia della crisi internazionale innescata dall’aggressione russa all’Ucraina, le prospettive dell’economia italiana per il 2022 vedevano il prevalere di segnali tipici di una espansione ciclica potenzialmente duratura. Motivi di ottimismo erano legati al ruolo degli investimenti, sia privati sia pubblici (questi ultimi sostenuti dai fondi del Pnrr), all’elevata disponibilità di risparmi nei portafogli delle famiglie, alle indicazioni del commercio con l’estero, nonostante l’emergere già nel corso del 2021 di elementi di incertezza legati a tensioni inflazionistiche e difficoltà nella logistica.
Nella manifattura la crescita media dei prezzi sul mercato interno italiano (+6,9%) è risultata poco più accentuata che in Germania (+5,8%) e in Francia (+6,3%), ma molto meno marcata rispetto alla Spagna (+10,1%).
I prezzi praticati sul mercato estero sono invece saliti più in Italia (+4,9%) che in Germania (+4,3%), ma meno che in Francia (+5,0%) e Spagna (+6,7%). Le forti correzioni dei listini non sembrano dunque aver inciso, in questa fase, in misura rilevante sulla competitività dell’Italia nei confronti dei principali partner dell’Area euro.
Nei prossimi mesi i maggiori rischi per l’evoluzione ciclica sono legati alla risalita dell’inflazione. L’entità del suo impatto su redditi, domanda aggregata e competitività delle imprese dipenderà dall’intensità e dalla tempistica con cui gli impulsi si trasmetteranno ai prezzi finali, in un processo sul quale influirà in maniera cruciale l’eventuale innescarsi di una spirale prezzi-salari.
Fonte: Rapporto sulla competitività dei settori produttivi - Istat (Edizione 2022)