Il perimetro di analisi della Bioeconomia nel Report di Intesa Sanpaolo include sia settori a monte della catena produttiva, come l’agricoltura, silvicoltura e pesca, l’industria del legno e della carta, l’industria chimica e della gomma-plastica, sia settori a valle come il settore alimentare, l’abbigliamento, i mobili e la farmaceutica. In una logica sistemica, sono inoltre considerati i biocarburanti e le attività correlate al ciclo idrico e alla componente biocompatibile del ciclo dei rifiuti.
Nel 2018 l’insieme delle attività connesse alla Bioeconomia in Italia (includendo sia la gestione e il recupero dei rifiuti, sia il ciclo dell’acqua) ha generato un output pari a circa 345 miliardi di euro, occupando oltre 2 milioni di persone. La Bioeconomia rappresenta il 10,2% in termini di produzione e l’8,1% in termini di occupati sul totale dell’economia del nostro Paese.
Nel confronto europeo, l’Italia si posiziona al terzo posto in termini assoluti per valore della produzione, dopo Germania (414 miliardi) e Francia (359 miliardi) e prima di Spagna (237 miliardi), Regno Unito (223 miliardi) e Polonia (133 miliardi).
Il Registro delle start-up innovative attribuisce alla Bioeconomia una quota pari all’8,7% dei soggetti innovativi iscritti in Italia a fine febbraio 2020. Una significativa presenza di start-up innovative nella Bioeconomia si trova in Lombardia (238 soggetti, circa un quarto del totale), seguito da Veneto (circa 100 start-up della Bioeconomia) e Campania (87 start-up).
Sono in particolare tre i settori che hanno visto crescere la loro rilevanza sul totale della Bioeconomia negli ultimi anni: l’industria alimentare e delle bevande, i servizi legati al ciclo idrico e di gestione dei rifiuti.
L’agro-alimentare in Italia e in Europa
I principi di circolarità trovano nella filiera agro-alimentare ampi spazi di applicazione dalla produzione agricola, alla trasformazione, al consumo. Il settore occupa 1,4 milioni di addetti, genera un valore aggiunto di 64,8 miliardi di euro e rappresenta il cuore della Bioeconomia circolare, uno dei pilastri della strategia europea per il Green Deal. La Bioeconomia offre opportunità commerciali e di investimento immediate per ripristinare l’economia, creando occupazione e salvaguardando l’ambiente.
La filiera agricola italiana si distingue in Europa per una maggiore rilevanza delle attività secondarie. Inoltre, sia il comparto a monte dell’agricoltura, che quello a valle della trasformazione presentano una maggiore diversificazione della produzione rispetto ai competitor.
La produzione agro-alimentare italiana è caratterizzata da una maggior specializzazione in prodotti a elevato valore aggiunto e di maggiore qualità. Non a caso, a livello internazionale, i prodotti agroalimentari italiani sono generalmente percepiti di elevata qualità e posizionati nelle fasce alte, non di rado “premium”, dei mercati.
Il nostro sistema agricolo è basato su un’elevata varietà delle produzioni (nella maggior parte dei paesi europei oltre la metà della superficie agricola totale è destinata ai seminativi, mentre in Italia questa percentuale supera di poco il 40%) che esprimono un maggiore valore aggiunto (vite in primis).
L’Italia ha un’elevata quota di superficie dedicata a bosco ed è tra i leader europei con quasi 2 milioni di ettari di terreni destinati alle coltivazioni biologiche, un’estensione di poco inferiore a Francia e Spagna, ma in percentuale molto maggiore (il 15,2%) sulla superficie agricola utilizzata. Le regioni più “bio” d’Italia sono Sicilia, Calabria e Puglia, che detengono il 47% dei terreni e il 53% delle aziende convertite al biologico.
La certificazione biologica, oltre ai vantaggi in termini ambientali e salutistici, ha consentito alle imprese di ottenere migliori risultati sia in termini di crescita del fatturato che di redditività.
L’Italia è il primo paese in Europa per numero di produzioni DOP/IGP, sia sul lato Food (che comprende anche le tipicità agricole) sia su quello dell’industria delle bevande, con un totale complessivo di 862 prodotti.
Nell’agricoltura, silvicoltura e pesca, tra le prime quindici regioni europee per valore aggiunto ben 6 sono italiane: Lombardia, Emilia-Romagna, Veneto, Sicilia, Puglia e Campania (contro 3 regioni spagnole, quattro francesi, una olandese e una tedesca).
A livello globale, l’Italia è il sesto esportatore del settore, con una quota di mercato che raggiunge nel 2018 il 3,9%, su livelli sostanzialmente stabili rispetto al 2008, a fronte della erosione di quote subita da altri player europei.
Sostenibilità della filiera
Il riciclo dei rifiuti costituisce la priorità di tutte le politiche di gestione sia a livello nazionale che comunitario. Esso rappresenta uno dei punti cardine del modello di Circular Economy che tende a rendere sostenibile il sistema economico attraverso l’eliminazione degli scarti.
Nel Rapporto si presenta una stima dei rifiuti prodotti della filiera agro-alimentare (comparti: agricoltura, silvicoltura e pesca; industrie alimentari, delle bevande e del tabacco; servizi; famiglie). Nel complesso a livello europeo i rifiuti agroalimentari prodotti dalla filiera ammontano a 87 milioni di tonnellate, pari a 171 kg pro-capite:
- famiglie (33 milioni di tonnellate, pari al 38% del totale e a 65 kg pro-capite)
- trasformazione industriale (24 milioni di tonnellate, pari al 28% del totale e a 48 kg pro-capite)
- settore agricolo (17 milioni di tonnellate, 20% del totale della filiera e 34 kg pro-capite).
I rifiuti della trasformazione industriale in Italia si attestano a meno della metà della media Ue (rispettivamente 15 kg pro-capite e 2 tonnellate per addetto).
In media europea vengono raccolti 65kg di rifiuti organici pro-capite. Germania e Italia mostrano i valori più elevati. I rifiuti organici raccolti dipendono dalla diffusione e capillarità dei sistemi di raccolta differenziata della frazione umida. La maggior parte dei rifiuti organici viene riciclata sotto forma di compost; in crescita la produzione di biogas e biomateriali.
L’Italia ha sviluppato buone pratiche ed esperienze innovative e in alcuni territori ha ottimizzato virtuosamente la raccolta differenziata, il riciclo e il riutilizzo dei biocomponenti in un’ottica circolare.
I rifiuti animali e vegetali vengono in larga parte riciclati: il 90% dei rifiuti trattati a livello europeo viene infatti riciclato e solo il 6% viene termovalorizzato, circa il 2% viene incenerito senza recupero energetico e un altro 2% viene smaltito in discarica.
In Italia la materia organica recuperata tramite trattamenti biologici è cresciuta a un tasso medio dell’8,8% all’anno tra il 2009 e il 2018, passando da 4,4 a 7,8 milioni di tonnellate annue. Maggiore dinamicità dimostra la componente relativa alla frazione organica da raccolta differenziata (+9,1% in media annua tra il 2009 e il 2018), mentre i fanghi realizzano un +7,8% annuo.
L’Italia, si colloca al quarto posto nella classifica mondiale per la produzione di biogas dopo Germania, Cina e Stati Uniti con oltre 2.000 impianti operativi - di cui circa 400 nel settore dei rifiuti, 1.700 nel settore agricolo e 79 da fanghi di depurazione - per un totale di circa 1.450 MWel installati.
Emissioni di gas a effetto serra
A livello europeo le emissioni complessive del comparto Agricoltura, silvicoltura e pesca nel 2018 sono state pari a 527 milioni di tonnellate di Co2 equivalente, pari al 15% del totale delle emissioni.
L’Italia è l’unico paese fra quelli analizzati ad evidenziare sia una incidenza inferiore sia un minore intensità rispetto alla media europea. Tale risultato è legato, oltre che al minore peso di produzioni ad alto impatto come quelle legate alla zootecnia industriale, anche alla maggiore diffusione delle coltivazioni biologiche nel nostro Paese.
Fonte: 6° Rapporto sulla Bioeconomia (Intesa Sanpaolo)