18 mar 2021 16:04 18 marzo 2021

Rapporto sulla Bioeconomia in Europa

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La sesta edizione del Rapporto è dedicata alla filiera agro-alimentare, che rappresenta uno dei motori della Bioeconomia e un elemento chiave nel percorso di transizione verso un sistema di produzione e consumo più sostenibili.

Rapporto sulla Bioeconomia in Europa

Il perimetro di analisi della Bioeconomia nel Report di Intesa Sanpaolo include sia settori a monte della catena produttiva, come l’agricoltura, silvicoltura e pesca, l’industria del legno e della carta, l’industria chimica e della gomma-plastica, sia settori a valle come il settore alimentare, l’abbigliamento, i mobili e la farmaceutica. In una logica sistemica, sono inoltre considerati i biocarburanti e le attività correlate al ciclo idrico e alla componente biocompatibile del ciclo dei rifiuti.

Nel 2018 l’insieme delle attività connesse alla Bioeconomia in Italia (includendo sia la gestione e il recupero dei rifiuti, sia il ciclo dell’acqua) ha generato un output pari a circa 345 miliardi di euro, occupando oltre 2 milioni di persone. La Bioeconomia rappresenta il 10,2% in termini di produzione e l’8,1% in termini di occupati sul totale dell’economia del nostro Paese.

Valore Bioeconomia

Nel confronto europeo, l’Italia si posiziona al terzo posto in termini assoluti per valore della produzione, dopo Germania (414 miliardi) e Francia (359 miliardi) e prima di Spagna (237 miliardi), Regno Unito (223 miliardi) e Polonia (133 miliardi).

Il Registro delle start-up innovative attribuisce alla Bioeconomia una quota pari all’8,7% dei soggetti innovativi iscritti in Italia a fine febbraio 2020. Una significativa presenza di start-up innovative nella Bioeconomia si trova in Lombardia (238 soggetti, circa un quarto del totale), seguito da Veneto (circa 100 start-up della Bioeconomia) e Campania (87 start-up).

Sono in particolare tre i settori che hanno visto crescere la loro rilevanza sul totale della Bioeconomia negli ultimi anni: l’industria alimentare e delle bevande, i servizi legati al ciclo idrico e di gestione dei rifiuti.

L’agro-alimentare in Italia e in Europa

I principi di circolarità trovano nella filiera agro-alimentare ampi spazi di applicazione dalla produzione agricola, alla trasformazione, al consumo. Il settore occupa 1,4 milioni di addetti, genera un valore aggiunto di 64,8 miliardi di euro e rappresenta il cuore della Bioeconomia circolare, uno dei pilastri della strategia europea per il Green Deal. La Bioeconomia offre opportunità commerciali e di investimento immediate per ripristinare l’economia, creando occupazione e salvaguardando l’ambiente.

La filiera agricola italiana si distingue in Europa per una maggiore rilevanza delle attività secondarie. Inoltre, sia il comparto a monte dell’agricoltura, che quello a valle della trasformazione presentano una maggiore diversificazione della produzione rispetto ai competitor.

La produzione agro-alimentare italiana è caratterizzata da una maggior specializzazione in prodotti a elevato valore aggiunto e di maggiore qualità. Non a caso, a livello internazionale, i prodotti agroalimentari italiani sono generalmente percepiti di elevata qualità e posizionati nelle fasce alte, non di rado “premium”, dei mercati.

Il nostro sistema agricolo è basato su un’elevata varietà delle produzioni (nella maggior parte dei paesi europei oltre la metà della superficie agricola totale è destinata ai seminativi, mentre in Italia questa percentuale supera di poco il 40%) che esprimono un maggiore valore aggiunto (vite in primis).

L’Italia ha un’elevata quota di superficie dedicata a bosco ed è tra i leader europei con quasi 2 milioni di ettari di terreni destinati alle coltivazioni biologiche, un’estensione di poco inferiore a Francia e Spagna, ma in percentuale molto maggiore (il 15,2%) sulla superficie agricola utilizzata. Le regioni più “bio” d’Italia sono Sicilia, Calabria e Puglia, che detengono il 47% dei terreni e il 53% delle aziende convertite al biologico.

La certificazione biologica, oltre ai vantaggi in termini ambientali e salutistici, ha consentito alle imprese di ottenere migliori risultati sia in termini di crescita del fatturato che di redditività.

L’Italia è il primo paese in Europa per numero di produzioni DOP/IGP, sia sul lato Food (che comprende anche le tipicità agricole) sia su quello dell’industria delle bevande, con un totale complessivo di 862 prodotti.

Nell’agricoltura, silvicoltura e pesca, tra le prime quindici regioni europee per valore aggiunto ben 6 sono italiane: Lombardia, Emilia-Romagna, Veneto, Sicilia, Puglia e Campania (contro 3 regioni spagnole, quattro francesi, una olandese e una tedesca).

A livello globale, l’Italia è il sesto esportatore del settore, con una quota di mercato che raggiunge nel 2018 il 3,9%, su livelli sostanzialmente stabili rispetto al 2008, a fronte della erosione di quote subita da altri player europei.

Sostenibilità della filiera

Il riciclo dei rifiuti costituisce la priorità di tutte le politiche di gestione sia a livello nazionale che comunitario. Esso rappresenta uno dei punti cardine del modello di Circular Economy che tende a rendere sostenibile il sistema economico attraverso l’eliminazione degli scarti.

Nel Rapporto si presenta una stima dei rifiuti prodotti della filiera agro-alimentare (comparti: agricoltura, silvicoltura e pesca; industrie alimentari, delle bevande e del tabacco; servizi; famiglie). Nel complesso a livello europeo i rifiuti agroalimentari prodotti dalla filiera ammontano a 87 milioni di tonnellate, pari a 171 kg pro-capite:

  • famiglie (33 milioni di tonnellate, pari al 38% del totale e a 65 kg pro-capite)
  • trasformazione industriale (24 milioni di tonnellate, pari al 28% del totale e a 48 kg pro-capite)  
  • settore agricolo (17 milioni di tonnellate, 20% del totale della filiera e 34 kg pro-capite).

I rifiuti della trasformazione industriale in Italia si attestano a meno della metà della media Ue (rispettivamente 15 kg pro-capite e 2 tonnellate per addetto).

In media europea vengono raccolti 65kg di rifiuti organici pro-capite. Germania e Italia mostrano i valori più elevati. I rifiuti organici raccolti dipendono dalla diffusione e capillarità dei sistemi di raccolta differenziata della frazione umida. La maggior parte dei rifiuti organici viene riciclata sotto forma di compost; in crescita la produzione di biogas e biomateriali.

L’Italia ha sviluppato buone pratiche ed esperienze innovative e in alcuni territori ha ottimizzato virtuosamente la raccolta differenziata, il riciclo e il riutilizzo dei biocomponenti in un’ottica circolare.

I rifiuti animali e vegetali vengono in larga parte riciclati: il 90% dei rifiuti trattati a livello europeo viene infatti riciclato e solo il 6% viene termovalorizzato, circa il 2% viene incenerito senza recupero energetico e un altro 2% viene smaltito in discarica.

In Italia la materia organica recuperata tramite trattamenti biologici è cresciuta a un tasso medio dell’8,8% all’anno tra il 2009 e il 2018, passando da 4,4 a 7,8 milioni di tonnellate annue. Maggiore dinamicità dimostra la componente relativa alla frazione organica da raccolta differenziata (+9,1% in media annua tra il 2009 e il 2018), mentre i fanghi realizzano un +7,8% annuo.

L’Italia, si colloca al quarto posto nella classifica mondiale per la produzione di biogas dopo Germania, Cina e Stati Uniti con oltre 2.000 impianti operativi - di cui circa 400 nel settore dei rifiuti, 1.700 nel settore agricolo e 79 da fanghi di depurazione - per un totale di circa 1.450 MWel installati.

Emissioni di gas a effetto serra

A livello europeo le emissioni complessive del comparto Agricoltura, silvicoltura e pesca nel 2018 sono state pari a 527 milioni di tonnellate di Co2 equivalente, pari al 15% del totale delle emissioni.

L’Italia è l’unico paese fra quelli analizzati ad evidenziare sia una incidenza inferiore sia un minore intensità rispetto alla media europea. Tale risultato è legato, oltre che al minore peso di produzioni ad alto impatto come quelle legate alla zootecnia industriale, anche alla maggiore diffusione delle coltivazioni biologiche nel nostro Paese.

Fonte: 6° Rapporto sulla Bioeconomia (Intesa Sanpaolo)

 

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