07 feb 2022 10:05 7 febbraio 2022

Prospettive delle imprese italiane dopo l’emergenza sanitaria

di lettura

L’Istat ha condotto tra il 16 novembre e il 17 dicembre 2021 la terza rilevazione “Situazione e prospettive delle imprese dopo l’emergenza sanitaria Covid-19”.

Prospettive delle imprese italiane dopo l’emergenza sanitaria

Il Report analizza come stanno vivendo le imprese italiane questa fase delicata, l’andamento economico nella seconda metà del 2021, le dimensioni dello smart working e l’utilizzo di canali di vendita digitali, oltre a informazioni su investimenti, piani di sviluppo e posizionamento sul mercato.

Il campione

La rilevazione ha interessato un campione di 90.461 imprese con 3 e più addetti attive nell’industria, nel commercio e nei servizi, rappresentative di un universo di circa 970mila unità. Corrispondono al 22,2% delle imprese italiane, ma producono il 93,2% del valore aggiunto nazionale e impiegano il 75,2% degli addetti (13,1 milioni) e il 95,5% dei dipendenti.

Tra le imprese oggetto di indagine sono 753 mila, il 77,6% del totale, le micro-imprese con 3-9 addetti in organico mentre le piccole (10-49 addetti) sono 189mila (il 19,5%). Le medie imprese sono circa 24mila (50-249 addetti) e le grandi 4mila (250 addetti e oltre).

Fatturato

Nel valutare l’andamento del fatturato registrato tra giugno e ottobre 2021 rispetto agli stessi mesi del 2020 le imprese si dividono in tre gruppi quasi equivalenti per numerosità:

  • il 34,2% dichiara una riduzione delle vendite
  • il 33,7% un andamento stabile
  • il 32,1% un aumento.

Nel settore industriale soltanto il comparto tessile (43,7%) e quello alimentare (38,2%) presentano una quota di imprese in perdita superiore alla media complessiva (34,2%) e all’insieme del settore (29,8%).

A livello territoriale, le imprese del Nord-est, che dichiarano un aumento di fatturato nel 36,4% dei casi, e quelle del Nord-ovest (34,5%) mostrano una maggiore capacità di recupero rispetto alle imprese del Mezzogiorno (27,7%) e del Centro (30,1%), dove si registra una quota più elevata di imprese in perdita (rispettivamente il 36,9% e il 37,9%), dovuta in parte alla maggiore incidenza del settore del commercio e dei servizi.

Nell’industria si conferma la maggiore dinamicità delle imprese esportatrici: tra giugno e ottobre del 2021 il 51,8% di questo insieme fa registrare un aumento del fatturato, il 20,7% presenta una variazione stabile e solo il 27,6% segna un calo.

La dimensione internazionale si conferma un fattore rilevante per la tenuta delle imprese e la ripresa risulta più diffusa tra quelle che appartengono a gruppi multinazionali. Nelle unità con almeno 100 addetti, la quota di multinazionali italiane o estere che rilevano un aumento del fatturato nel periodo giugno-ottobre 2021 sale rispettivamente al 59,1% e al 56,4%, a fronte del 45,8% delle imprese appartenenti a gruppi domestici e al 41,7% delle imprese non appartenenti a gruppi (indipendenti).

Si considerano in una situazione di totale (41,3%) o parziale (39,5%) solidità più di otto imprese su dieci, rappresentative di quasi il 90% dell’occupazione e di una quota ancora superiore del valore aggiunto.

Nelle imprese di medie e grandi dimensioni una totale o parziale solidità caratterizza oltre nove unità produttive su dieci, percentuale che si riduce a poco meno dell’80% nelle micro-imprese. Tuttavia, anche in questo segmento, la quota di imprese a forte o parziale rischio è inferiore a quella dell’anno precedente: il 21,3%, contro il 34,3% di fine 2020.

Pur in un contesto di recupero di solidità del sistema produttivo, circa un terzo delle imprese (circa 2,5 milioni di addetti, il 17,8% del valore aggiunto) non prevede di risalire nel primo semestre del 2022 alla capacità produttiva del periodo pre-pandemia mentre meno di una su dieci (2,3 milioni di addetti, il 19,6% del valore aggiunto) prevede di superarla.

Criticità

Tra le criticità, le imprese segnalano con maggiore frequenza quelle legate all’approvvigionamento degli input produttivi (24,3%), alla debolezza della domanda (23,8%) e ai problemi di reperimento e formazione del personale (23,6%).

Le difficoltà connesse alla liquidità e alle fonti di finanziamento sono considerate rilevanti solo dal 15,7%, a conferma di una tendenza alla riduzione del loro impatto: a dicembre 2020 le unità produttive in carenza di liquidità erano il 34,1%, a giugno 2020 più della metà.

Investimenti previsti

Nel corso del 2022, sei imprese su dieci prevedono investimenti in capitale umano e formazione, il 49,9% con intensità modesta, una su dieci con alta propensione. Circa la metà delle imprese rivolgerà i propri investimenti alla sostenibilità ambientale, il 41,4% con modesta, l’8,4% con alta intensità.

Le altre aree di investimento sono reputate meno interessanti: investirà in capitale fisico il 41,3% delle unità (il 7,4% con alta intensità), in tecnologia e digitalizzazione il 42,3% (8,7%), in ricerca e sviluppo il 31,9% (4,5%), in internazionalizzazione il 16,1% (2,7%).

La maggiore prevalenza di investimenti in internazionalizzazione si registra nella manifattura (29,8%), quella connessa agli interventi di sostenibilità ambientale nei settori dell’energia (65,9%) e della gestione dei rifiuti (75,3%).

La rilevanza della domanda estera come fattore di traino dell’attività produttiva ha una chiara connotazione dimensionale e settoriale. Nel complesso, poco più del 15% delle imprese le assegna un’importanza elevata e circa due terzi non la considera rilevante; per un terzo delle imprese dell’industria in senso stretto (34,2% delle manifatturiere) è invece un sostegno molto importante.

Vendite via Web in aumento

Tra il 2019 e il 2020 emergevano incrementi delle vendite dirette mediante il sito web proprietario (dal 5,8% al 6,3% del fatturato totale), delle vendite tramite comunicazioni dirette online (e-mail, moduli online, social media, ecc., dal 7,1% al 7,4%) e delle vendite tramite piattaforme digitali (dallo 0,9% all’1%).

I dati raccolti presso le imprese a fine 2021 indicano un risultato che rivede verso l’alto le aspettative delle imprese: la quota del fatturato totale acquisito sul web è infatti salita al 17,5% (13,8% del 2019, 14,7% del 2020, 15,2% la previsione per il 2021).

Le piccole imprese hanno incrementato in misura molto marcata la quota di fatturato delle vendite dirette attraverso i propri siti web (dal 4,0% al 7,3%).

Per le imprese di media dimensione (50-249 addetti) sono le piattaforme digitali ad aver registrato la maggiore espansione delle vendite (la relativa incidenza è quasi raddoppiata passando dall’1,2% al 2,2%) mentre sono risultate stabili quelle via sito web e in contrazione quelle gestite tramite altri canali digitali.

Si può ipotizzare che, mentre per le micro-imprese la scelta di privilegiare la vendita via piattaforme digitali sia dettata dalle difficoltà di gestire un proprio sito web, per le imprese medio-grandi ciò corrisponda alla possibilità di negoziare accordi commerciali favorevoli con le stesse piattaforme digitali.

Nel caso delle grandi imprese (250 addetti e oltre), che operano prevalentemente sui mercati business, spicca invece il forte aumento tra 2020 e 2021 (da 3,1% a 5,5%) della quota di vendite concluse mediante canali web di comunicazione diretta, meno utilizzati dalle imprese di dimensioni minori.

Vendite Web imprese italiane 2021

Fonte: III edizione “Situazione e prospettive delle imprese dopo l’emergenza sanitaria Covid-19

 

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