Inflazione e tassi di interesse alti sono i motivi principali dell’indebolimento in corso della dinamica dell’economia italiana ed europea.
L’inflazione sia in Europa che in America ha decelerato, ma rimane resistente e il percorso che la sta avvicinando all’obiettivo del +2% annuo è ancora incompleto. Anche in Italia l’inflazione core è in calo, ma permangono pressioni interne che ne frenano la discesa.
Nello scenario di previsione dell’Ufficio Studi non ci saranno ulteriori rialzi dei tassi e dalla metà del prossimo anno vedremo dei limitati tagli, ancora su livelli restrittivi.
Per le aziende è aumentato il costo del credito e una parte di queste non ha ottenuto i prestiti richiesti perché anche i criteri di offerta sono stati stretti dato il peggioramento delle attese sull’economia e qualche difficoltà delle banche sui mercati.
Il risultato è una pesante riduzione dello stock di prestiti alle imprese italiane (-6,2% annuo) e un contemporaneo forte aumento degli oneri finanziari (+10,3 miliardi di euro sui dodici mesi). Si è rapidamente assottigliata anche la liquidità disponibile in azienda e si registra, dopo tanto tempo, anche un aumento dei ritardi di pagamento tra imprese, sintomo e conseguenza che le disponibilità di risorse liquide si stanno esaurendo.
Tutto ciò va a impattare sulle decisioni di investimento: se ne realizzano meno perché, se non ci sono sufficienti mezzi propri, gli investimenti costano di più e non si trovano sufficienti risorse a debito per pagarli.
La Cina continua a ridurre il ruolo di principale driver degli scambi, grazie al nuovo modello di sviluppo, incentrato sulla domanda interna e su una minore dipendenza dai prodotti esteri (soprattutto intermedi). Assume sempre più importanza l’India che sta guadagnando spazio come potenza manifatturiera in grado di attrarre fasi produttive di rilievo mondiale. La crescita del PIL indiano si è dimostrata sostenuta nel 2022 (+7,2%) e nei prossimi 2 anni i tassi di crescita attesi sono pari a +6,3% e +6,1%.
Si sta allargando la forbice tra la dinamica dell’economia USA, che è forte e resiliente, e quella dell’Eurozona, che invece è debole e non va meglio di quella italiana. L’economia USA è stata colpita molto meno nel 2022 dallo shock sul prezzo del gas e non ha dovuto affrontare la difficile e ancora incompleta transizione per ridurre la dipendenza dal gas russo.
Il conflitto israelo-palestinese potrebbero accrescere ulteriormente la frammentazione geopolitica, con effetti negativi sul commercio internazionale; spingere verso un nuovo aumento del prezzo del petrolio, che potrebbe trascinare in alto anche le quotazioni di altre commodity energetiche; accrescere ulteriormente l’incertezza e determinare un calo della fiducia di famiglie e imprese.
In Europa, pesa in particolare la difficoltà della Germania, che aveva la maggiore dipendenza dal gas russo e che è scivolata in una moderata recessione nel 2023. Le analisi del Centro Studi Confindustria mostrano che la crisi in corso in Germania dovrebbe impattare sull’Italia in modo più limitato, rispetto a episodi passati perché:
- è soprattutto una recessione da calo dei consumi e frenata dei servizi, piuttosto che da debolezza dell’industria, che pure rimane
- le interconnessioni tra Italia e Germania, pur restando forti, risultano più deboli che in passato.
Nelle previsioni Confindustria, il PIL italiano avanza di appena il +0,7% nel 2023. Nel 2024, in media andrà peggio, +0,5%. Questa bassa crescita è trainata quasi interamente dalla dinamica dei consumi delle famiglie. Nel biennio di previsione, la produzione è attesa diminuire di -2,3% quest’anno e rimbalzare molto parzialmente, di +0,8%, nel 2024.
Le ragioni di scambio dell’Italia migliorano nel 2023, in misura marcata, dopo il crollo subito nel 2022. Questo perché il prezzo del gas e del petrolio nella media dell’anno sono molto sotto i recenti picchi. Il miglioramento delle ragioni di scambio è un fattore positivo per il saldo commerciale del Paese che ritorna in attivo.
Esportazioni italiane
Le esportazioni italiane di beni e servizi, dopo un’espansione quasi in doppia cifra nel 2022 (+9,9%), registrano una battuta d’arresto nel 2023 (+0,8%) e accelerano gradualmente nel 2024 (+2,3%), sotto ai ritmi medi di crescita del periodo pre-pandemia (+2,5% nel 2012 - 2019), ma in linea con il commercio mondiale.
La riduzione dell’export di beni nel 2023 è legata al rallentamento della domanda mondiale, specie nei principali mercati di destinazione delle merci italiane, Germania e Stati Uniti. Nei primi 8 mesi dell’anno, l’export manifatturiero si è ridotto (-1,0% rispetto allo stesso periodo 2022, a prezzi costanti) facendo registrare poche variazioni positive.
L’export di autoveicoli ha realizzato il maggior incremento (+19,1%), compensando la debole crescita del 2022; seguono l’occhialeria, i macchinari, primo settore per peso dell’export, gli altri mezzi di trasporto, in forte rallentamento rispetto al 2022, e i prodotti farmaceutici, che avevano registrato una crescita eccezionale nel 2022.
Il contributo alla crescita del PIL che proviene dall’export, misurato al netto dell’andamento delle importazioni, risulta nullo nel 2023. E poi torna ad essere appena positivo il prossimo anno. Dunque, dagli scambi con l’estero, complessivamente nel biennio, non viene quel forte stimolo alla crescita economica che si è registrato negli ultimi anni e di cui ora ci sarebbe bisogno.
Fonte: Confindustria