Le Pmi sono al centro della crisi economica causata dalle misure di contenimento del Coronavirus che sta producendo danni superiori a quelli della crisi finanziaria del 2008.
Il Coronavirus ha confermato la vulnerabilità delle Pmi a uno shock contemporaneo dell’offerta e della domanda (in particolare per quanto riguarda la liquidità) con seri rischi di sopravvivenza per più del 50% delle imprese di piccole e medie dimensioni.
Il collasso delle Pmi, che rappresentano il 60-70% dell’occupazione dei Paesi Ocse, avrebbe un forte impatto sulle economie nazionali, sulle prospettive di crescita globale, sul settore finanziario e sul sistema bancario.
Gli economisti stimano un declino di 2 punti percentuali del Pil per ogni mese di lockdown, anche se il reale impatto dipenderà da vari fattori (la reale durata del contenimento, gli effetti delle misure a sostegno della domanda di beni e servizi, la velocità con cui verranno implementati gli interventi fiscali e monetari).
Per evitare queste drammatiche conseguenze, i Paesi colpiti dalla pandemia stanno adottando politiche che normalmente comprendono:
- protocolli a salvaguardia della salute
- sostegno della liquidità con proroga delle scadenze di vari pagamenti
- facilitazioni per l’accesso al credito
- sussidi temporanei a lavoratori e disoccupati.
Anche se la crisi ha colpito in misura diversa i Paesi e pur essendo eterogenea la loro capacità di reazione, alcune osservazioni generali si possono già trarre.
- Innanzitutto è fondamentale che gli interventi governativi siano tempestivi e le procedure amministrative trasparenti e semplici. Lentezza e burocrazia sono quindi il principale ostacolo alla ripresa, come segnalato dalle Pmi di molti Paesi.
- Posticipare il pagamento di varie imposte o dei contributi previdenziali non rappresenta un valido aiuto per le start-up e le giovani imprese che non hanno ancora cominciato a generare profitti.
- Per quanto riguarda le altre misure di sostegno finanziario, come le garanzie sui prestiti personali e sui mutui, le banche continuano ad essere restie a concedere ulteriore credito (in particolare nei settori più duramente colpiti)
- Anche se vari interventi sono specificamente pensati per le Pmi e i piccoli imprenditori – molto più di quanto accadde per fronteggiare la crisi globale del 2008 – spesso l’obiettivo primario è la compensazione dei mancati guadagni e solo raramente i governi cercano di sostenere anche il potenziale imprenditoriale che contraddistingue questa categoria di aziende.
Principali cause della vulnerabilità
Le Pmi sono più vulnerabili, rispetto alle imprese di maggiori dimensioni, agli effetti della pandemia e del distanziamento sociale per varie ragioni.
Molte operano nei settori più compromessi, come il turismo, i trasporti, la ristorazione, la moda, le costruzioni, i servizi professionali. Inoltre hanno spesso un numero limitato di fornitori, scorte di magazzino ridotte e servizi gestiti in outsorcing.
Sono frequenti i casi in cui la produzione rimane bloccata anche dopo la ripartenza per mancanza di componenti o materie prime soprattutto quando i fornitori risiedono nei Paesi più colpiti dal virus e le merci arrivano via mare, treno o aereo.
Inoltre le Pmi non riescono sempre a sostenere i costi di sanificazione degli stabilimenti produttivi e dei dispositivi di protezione individuale per i dipendenti e hanno spesso difficoltà a ricorrere al telelavoro per una scarsa cultura digitale.
Infine non riescono a reperire le informazioni necessarie per contrastare al meglio il virus e per accedere agli aiuti e alle misure governative.
Rafforzare la resilienza di lungo periodo
Gli economisti dell’Ocse suggeriscono di continuare a supportare il potenziale di crescita delle Pmi anche dopo la crisi tramite politiche e investimenti strutturali.
Le crisi offrono l’opportunità di rivedere con lungimiranza i modelli di business, di sfruttare la digitalizzazione per trovare nuovi mercati, di migliorare le infrastrutture strategiche, di aggiornare i sistemi formativi, di introdurre nuovi metodi di produzione più sostenibili a basso impatto ambientale…
I Paesi che sapranno cogliere al meglio queste opportunità potranno aumentare la resilienza delle Pmi e la loro capacità di reagire agli shock futuri e acquisiranno importanti vantaggi competitivi a livello globale.
Il Belgio, ad esempio, ha potenziato gli strumenti finanziari a supporto delle Pmi per aiutarle a trovare nuovi mercati di sbocco e di approvvigionamento.
La Cina sta incoraggiando le imprese più grandi a collaborare con le Pmi rafforzando il loro supporto alle catene di approvvigionamento in termini di gestione dei crediti, fornitura di materie prime, progettazione in outsourcing. L’esperienza cinese ha inoltro dimostrato che l’adozione della tecnologia blockchain e di altre innovazioni legate all’Industry 4.0 (come i Big Data, 5G e l’Intelligenza artificiale) hanno accelerato la ripresa economica e stanno contribuendo a controllare la diffusione del virus e a ricercare il vaccino anti Covid-19.
Il report cita anche l’esempio italiano:
- SACE ha definito un nuovo pacchetto di aiuti per sostenere le Pmi nella gestione delle esigenze di cash flow e nella diversificazione dei mercati di esportazione
- Agenzia ICE ha cancellato i costi di partecipazione alle fiere delle Pmi proponendo anche soluzioni alternative per accrescere la visibilità internazionale e fornisce servizi gratuiti alle Pmi.
Survey sull’impatto del Coronavirus
Il report cita numerose survey realizzate in marzo e in aprile in vari Paesi per meglio illustrare la natura dell’impatto del Covid-19 sulle Pmi.
- Un’indagine condotta tra il 31 marzo e il 6 aprile dall’Asia Pacific MSME Trade Coalition dimostra che almeno il 50% delle Pmi intervistate ha solo 1 mese di riserve di cassa. Circa il 30% si aspetta di dover ridurre la forza lavoro del 50%.
- Una ricerca condotta in Australia il 3 aprile dimostra che i 2/3 dei 510 piccoli imprenditori intervistati sta soffrendo gli effetti del Coronavirus: il 41% ha registrato una caduta del 50% delle entrate negli ultimi 2 mesi.
- Belfius Research in Belgio ha pubblicato un’analisi secondo la quale il 31% delle Pmi belghe rischia di uscire dal mercato.
- Negli Stati Uniti e Canada, secondo Alignable Small Business Pulse Poll, un terzo del campione ha poche settimane di riserve finanziarie per garantire la sopravvivenza.
- L’8 aprile il British Chamber of Commerce Impact Tracker riporta che il 6% delle Pmi ha già chiuso per crisi di liquidità, mentre il 57% ha non più di 3 mesi di riserve. Il 37% prevede di ridurre dal 75% al 100% la forza lavoro.
- Secondo una survey condotta in Cina a febbraio, un terzo delle Pmi aveva liquidità sufficiente per coprire le spese fisse per 1 mese, mentre un terzo poteva reggere 2 mesi. Un altro Report pubblicato il 14 marzo segnala che il 60% delle Pmi cinesi aveva ripreso le loro attività con cali di domanda importanti provenienti dai mercati esteri.
- In Germania un’indagine di DIHK su 1.0000 imprese tedesche (85% delle quali con meno di 200 dipendenti) pubblicata il 9 marzo indicava che circa la metà del campione si aspettava un impatto negativo per il 2020, con più di un terzo che prevedeva perdite del 10%.
- Il 21 marzo Japanese Chamber of Commerce and Industry ha pubblicato i risultati di una survey secondo la quale il 92.1% delle imprese stava soffrendo gli impatti negativi della crisi. Il Business condition index ha raggiunto il suo livello più basso (-49) dopo il grande terremoto (-51.4).
- La Federazione coreana delle Pmi ha realizzato un’indagine tra il 17 e il 20 marzo coinvolgendo 407 Pmi: il 61.1% stava riscontrando difficoltà e il 42.1% non era in grado di continuare l'attività per più di 3 mesi.
Per approfondimenti (EN)
Enrico Forzato