Definizioni
Un alimento è definito funzionale se, oltre alle proprietà nutrizionali che gli sono naturalmente proprie, ha una dimostrata capacità di influire positivamente su una o più funzioni fisiologiche, contribuendo a migliorare lo stato generale di salute e a ridurre il rischio d’insorgenza di talune patologie. Gli alimenti funzionali hanno l’aspetto esteriore dei cibi naturali o convenzionali della dieta quotidiana (pesce, yogurt, frutta fresca o secca, verdura, legumi, latte, olio d’oliva, uova, ecc.) e non assumono mai l’aspetto esteriore di dispositivi predosati come pillole, capsule, bustine solubili o fiale.
Tale caratteristica esteriore li distingue dagli integratori alimentari (food/dietary supplements) che sono concepiti come apporti suppletivi e integrativi, permettendo l’assunzione concentrata di singole sostanze.
All’insieme dei cibi funzionali sono assimilabili anche gli alimenti per l’infanzia, tipicamente impiegati fino ai tre anni di vita, che intendono soddisfare le esigenze nutrizionali delle prime fasi di vita.
A seconda del tipo di manipolazione, i cibi funzionali modificati si distinguono in: cibi rich in (o arricchiti), nei quali il componente aggiunto non è naturalmente presente in origine, cibi free from, che sono privati di sostanze non desiderate e cibi fortificati, nei quali viene incrementata la concentrazione di un nutriente già normalmente presente.
I nutraceutici sono sostanze che svolgono comprovate funzioni fisiologiche o attività biologiche, derivate mediante le tecniche della sintesi farmaceutica da piante, agenti microbici e alimenti. I nutraceutici possono essere assunti attraverso i cibi funzionali da essi arricchiti, oppure sotto forma d’integratori in compresse, capsule, fiale o polveri solubili. Si tratta quindi di una categoria a cavallo tra l’alimentazione funzionale e gli integratori. Anche la finalità della nutraceutica è quella di coadiuvare diverse funzionalità fisiologiche: rafforzare il sistema immunitario, favorire le funzioni gastro-intestinali, supportare l’organismo durante l’attività fisica, ridurre la probabilità d’insorgenza di patologie cardiovascolari, o di natura degenerativa.
Trend candidati a sostenere la crescita dei cibi funzionali
L’allungamento della speranza di vita ha comportato l’aumento della quota di popolazione longeva con conseguente incremento dei costi sanitari. I sistemi di sanità pubblica cercano di favorire l’ingresso della popolazione nella fascia di età avanzata, in condizioni di relativa buona salute. A tale obiettivo concorre un regime alimentare in cui l’assunzione dei nutrienti necessari avvenga in maniera corretta e bilanciata.
Una dieta bilanciata richiederebbe, ad esempio, un’incidenza del 50% nel consumo di frutta e verdura, mentre nella popolazione adolescente europea tale porzione è limitata al 17%. Sempre in Europa il consumo di zuccheri è del 15% superiore ai livelli raccomandati, del 47% nel Nord America; il consumo di carne li eccede del 36% in Europa (38% le carni rosse, 51% gli insaccati) e del 48% nel Nord America (46% e 50%).
A fronte di circa 900 milioni di persone sottonutrite nel mondo, ve ne sarebbero 1,5 miliardi obese o sovrappeso, tanto che i decessi annui per mancanza di alimentazione (circa 36 milioni) non sono troppo distanti da quelli per eccesso (29 milioni).
Il mercato dei cibi funzionali
La dimensione mondiale del mercato dei cibi funzionali è stimata a fine 2021 in circa 500 miliardi di dollari, con aspettative di crescita a un tasso medio annuo al 6,9% che porterebbe il comparto a 750 miliardi nel 2027.
La categoria più consistente è quella dei cibi per il controllo del peso (slimming o weight management), pari a 214 miliardi di dollari, con previsione di sviluppo al 6% medio annuo, seguita dagli integratori che valgono a livello globale 140 miliardi (+7,7% le attese). I baby food arrivano a 73 miliardi (+6,5%), ma sono le specialità vegan (25 miliardi, +9%) a mostrare le attese più rosee.
L’Italia ha una posizione di particolare rilievo con riferimento al mercato degli integratori la cui dimensione è pari a circa 3,8 miliardi di euro nel 2020. Tra il 2008 e il 2020 il mercato italiano degli integratori è triplicato, con una crescita media annua superiore al 9%. Si tratta del primo mercato europeo, stimato valere 14,6 miliardi, con una quota del 26%, davanti alla Germania (18,8%), alla Francia (14,7%), al Regno Unito (9,5%) e alla Spagna (7,2%). Le aspettative di crescita del mercato europeo sono nell’ordine del 6% annuo, con l’Italia che dovrebbe toccare nel 2025 una dimensione pari a 4,8 miliardi.
La forte propensione dei consumatori italiani per gli integratori è evidente considerando che la loro spesa media procapite è di circa 64€ rispetto ai 33€ della Germania, ai 32€ della Francia e ai 21€ del Regno Unito. Si stima che in Italia il 54% della popolazione faccia ricorso agli integratori, rispetto a quote che si collocano tra il 20% e il 25% in Germania, Francia e Regno Unito. In Italia gli integratori sono venduti essenzialmente attraverso il canale delle farmacie e parafarmacie (87% a valore), con una presenza della Gdo all’8%, mentre in Francia (55%) e Germania (67%) il canale farmaceutico e parafarmaceutico è più contenuto.
Il mercato vegan, che è equiparabile a una categoria del free from, è dominato a livello mondiale dai prodotti alternativi al latte (80% dei consumi), lasciando una quota ancora minoritaria ai surrogati della carne il cui giro d’affari è limitato a meno dell’1% di quello della carne macellata.
La produzione di carne da allevamento e relativi derivati è fonte di notevoli immissioni di gas serra (GHG – Greenhouse Gas), mentre i suoi surrogati a base vegetale (c.d. plant-based meat) comportano minori consumi di acqua e utilizzo di terre. E’ anche sulla base di queste considerazioni, che si affiancano a quelle di ordine dietetico, che si aprono prospettive d’interesse per il consumo di proteine diverse da quelle contenute nella carne da allevamento tradizionale. A fianco della carne vegetale, due segmenti in forte fermento sotto questo profilo sono quelli della carne coltivata o sintetica (cultivated/clean meat) e dell’entomofagia, due esempi di novel food.
Lo sviluppo futuro di questa linea di prodotti dipende da molteplici fattori tra i quali, oltre al prezzo, vanno ricordati le resistenze culturali e psicologiche da parte dei consumatori e l’impatto del quadro regolamentare. Attualmente, solo Singapore ha disciplinato la vendita di carne da laboratorio (pollame prodotta dall’americana Eat Just).
Il consumo di insetti (entomofagia) costituisce un’ulteriore alternativa alla assunzione di proteine da animali d’allevamento e quindi si inserisce come possibile opzione assieme alla carne artificiale.
Per produrre 100 grammi di proteine da carne di vitello si richiede lo sfruttamento di oltre 160 mq di terreno, estensione che scende a 11 mq per i suini e a 7 mq per l’allevamento avicolo, mentre per gli insetti possono bastare un paio di metri quadri. Per 100 grammi di proteine, si arriva a 11.200 litri per la carne bovina, a 5.700 per quella di maiale, a 3.400 per i polli per finire a circa 400 litri nel caso dei grilli e a 40 litri per le larve.
Le previsioni proiettano l’industria mondiale degli insetti a un valore di circa un miliardo di dollari nel 2023 per poi arrivare a 4,6 miliardi di dollari nel 2027, con un tasso di crescita medio annuo del 44%. Si stima che nei Paesi occidentali operino circa 400 imprese di allevamento e commercializzazione di insetti, essenzialmente grilli e tarme della farina.
Fonte: Area Studi Mediobanca - Nutraceutica e novel food: tra salute e sostenibilità Overview internazionale