Nota mensile Istat: aprile 2020

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La stima preliminare del Pil riferita a gennaio - marzo ha fornito una prima quantificazione degli effetti della crisi sull’economia: la caduta rispetto al trimestre precedente è stata pari al 4,7%.

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A marzo, le misure di contenimento dell’epidemia in Italia e nei principali paesi partner commerciali hanno avuto effetti negativi sugli scambi con l’estero del Paese.

Il commercio mondiale di merci in volume a febbraio ha registrato un nuovo calo congiunturale (-1,5% da -1,4% di gennaio) e l’indice PMI globale sui nuovi ordini all’export di aprile suggerisce il proseguimento di questa fase di caduta degli scambi internazionali.

Nel primo trimestre il Pil cinese ha registrato una contrazione congiunturale record del 9,8% (-6,8% il dato tendenziale). La produzione industriale e le vendite al dettaglio, crollate tra gennaio e febbraio rispettivamente del 13,5 e del 20,5%, hanno mostrato a marzo segnali di attenuazione della caduta (rispettivamente -1,1 e -15,8%).

Negli Stati Uniti, la stima preliminare del Pil del primo trimestre, che incorpora gli effetti del lockdown attuato nella maggior parte degli Stati dalla seconda metà di marzo, ha registrato un calo rispetto al trimestre precedente (-1,2%) dovuto ad ampie flessioni di consumi e investimenti fissi non residenziali.

Nell’area dell’euro, la stima flash del Pil nel primo trimestre ha mostrato una decisa contrazione congiunturale (-3,8%): in Francia si è registrata una riduzione del 5,8% e in Spagna del 5,2%. Le recenti previsioni della Commissione europea stimano per l’area nel complesso un forte calo dell’attività economica quest’anno (-7,7%) e un rimbalzo nel 2021 (+6,3%). Ad aprile, l’Economic sentiment indicator (ESI) della Commissione europea ha registrato: Spagna (-20 punti), Germania (-19,9 punti) e Francia (-16,3 punti).

In Italia a febbraio i nuovi ordinativi dell’industria hanno registrato una robusta flessione congiunturale sia sul mercato interno (-4,4%) sia su quello estero (-4,3%). Indicazioni simili provengono dal settore delle costruzioni, con la produzione che ha registrato a febbraio una brusca diminuzione (-3,4% rispetto a gennaio).

Scambi con l’estero

I flussi con i paesi extra Ue hanno segnato un deciso calo: le esportazioni sono diminuite complessivamente del 13,9% e le importazioni del 12,4% in termini congiunturali.

Rispetto a marzo 2019 la riduzione di esportazioni e importazioni verso i mercati extra europei ha riguardato tutti i principali paesi. In particolare, le vendite di prodotti italiani hanno mostrato un netto peggioramento in Turchia, Stati Uniti e Giappone.

Da un punto di vista settoriale, si è osservato un calo delle vendite su base annua per tutti i principali raggruppamenti di industrie, particolarmente marcato nel caso dei beni di consumo durevoli (-28%) e strumentali (-20,8%), mentre la flessione è risultata superiore al 10% per l’energia e al 5% per i beni di consumo non durevoli e per quelli intermedi.

Considerando l’industria manifatturiera, la chiusura delle attività ha penalizzato soprattutto le imprese esportatrici: quelle che operano in settori che sono stati sospesi tra il 25 marzo e il 3 maggio producono il 66,6% dell'export complessivo, realizzando all'estero il 41,3% del fatturato, contro il 26,21% di quello delle imprese operanti nei settori che sono rimasti aperti.

La maggiore esposizione verso l’estero delle imprese esportatrici del settore manifatturiero la cui attività è stata sospesa è testimoniata anche da un numero medio di paesi di destinazione dell’export più elevato (11 contro 10 di quelli attivi) e soprattutto da un maggior numero medio di prodotti esportati (quasi 10 contro 7) nel confronto con i settori rimasti aperti.

Impatto del lockdown sul commercio estero dell’Italia

L’analisi fornisce una prima misura su base annuale della riduzione di valore aggiunto dei settori manifatturieri del nostro Paese attribuibile alla caduta della domanda di prodotti italiani da parte degli altri paesi.

A partire dalle previsioni di aprile del Fmi sulla contrazione del Pil nel 2020, è stata ipotizzata una riduzione della stessa entità della domanda finale interna di ciascun paese. Tale riduzione della domanda ha un effetto diretto sul valore aggiunto italiano (per le minori importazioni di beni per uso finale dall’Italia) e un effetto indiretto (per la riduzione dell’importazione di beni intermedi prodotti in Italia).

In assenza di previsioni settoriali per i paesi esteri, l’Istat ha mantenuto la disaggregazione di branca solo per l’Italia, considerando in maniera aggregata le informazioni relative alle altre economie. L’adozione di questo schema ha permesso di quantificare gli effetti della trasmissione di questi shock nazionali al sistema economico italiano per settore e paese.

Sulla base di tali ipotesi, l’impatto del lockdown dei paesi esteri si manifesterebbe in una flessione del 3,4% su base annua del valore aggiunto manifatturiero italiano, di cui: 0,5 punti percentuali dovuti alla contrazione dell’economia tedesca; 1 punto percentuale  alla diminuzione prevista per il resto dell’area euro e 1,9 punti percentuali alla flessione della domanda del resto del mondo.

Il contributo estero alla caduta di valore aggiunto dell’industria italiana appare significativo ed eterogeneo:  i settori più colpiti sono quelli più aperti al commercio internazionale e più rilevanti per il modello di specializzazione italiano:

  • tessile-abbigliamento-pelli (-4,1%)
  • apparecchi elettrici (-4%)
  • macchinari (-3,8%)
  • autoveicoli (-3,7%).

Effetti più contenuti si registrerebbero, invece, per gli alimentari e bevande (-1,9%).

Nel complesso questi cinque settori sono quelli maggiormente esposti alla caduta della domanda proveniente dagli altri paesi ed essi da soli contribuirebbero alla perdita totale di valore aggiunto con 1,6 punti percentuali, pari a quasi la metà della caduta dell’intero comparto manifatturiero.

La flessione tedesca incide in misura maggiore sul valore aggiunto dei comparti della metallurgia (8 decimi di punto), della chimica, degli autoveicoli e degli apparecchi elettrici (per 7 decimi di punto), della gomma e plastica (6 decimi).

Fonte: Istat

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