Gli scambi di beni hanno beneficiato negli ultimi 30 anni del mercato unico europeo, contribuendo anche alla formazione di catene di fornitura continentali. L'integrazione resta però ancora limitata, con un valore di scambi intra-UE pari al 26% del PIL, contro il 60% negli USA.
Il mercato europeo dei servizi sconta il persistere di normative diverse tra Stati e barriere legali che limitano l’attività transfrontaliera. Molte imprese operano su scala nazionale e hanno dimensioni medie più piccole rispetto a quelle statunitensi, in particolare nel settore utilities.
La mobilità del lavoro in Europa è ostacolata dalle barriere linguistiche e dal mancato riconoscimento dei titoli. Solo il 3% degli europei vive in uno stato UE diverso da quello di nascita (25% gli americani). I sistemi pensionistici dei vari stati europei sono diversi: chi ha maturato contributi in più di un Paese UE ottiene prestazioni separate, con tempistiche diverse, con moltiplicazione degli oneri burocratici.
La produttività del lavoro nella UE ha mostrato una dinamica meno brillante rispetto a quella degli USA che si è riflessa in una minore crescita del PIL pro capite del continente europeo. Tra il 1993 e il 2022, la crescita negli USA è stata pari a +56,6%, quella del mercato unico europeo +28,2%.
Mercato dei capitali
Il mercato dei capitali europeo è ampiamente sottosviluppato rispetto a quello USA per dimensione, numero di operatori attivi e nuova raccolta di capitale. La frammentazione e l’assenza dell’unione bancaria penalizzano in particolare i compartii innovativi, i processi di sviluppo dimensionale delle imprese e la nascita e la crescita di start-up.
La quota europea di investimenti mondiali nell’ambito del venture capital ammonta al 19% (contro il 50% degli Stati Uniti). L’Europa è in ritardo nel finanziare l’innovazione a causa di un “approccio bancocentrico” (il credito al settore privato offerto dalle banche è oltre il 90% del PIL, a fronte del 55% negli USA).
Secondo gli analisti: “Impensabile, senza una piena integrazione dei mercati dei capitali soddisfare il fabbisogno di 620 miliardi/anno (al 2030) stimati in Europa per raggiungere l’obiettivo di neutralità climatica al 2050.
Una maggiore integrazione dei mercati nazionali aprirebbe l’Europa ai grandi investitori globali, oggi limitati da regole e assetti di mercato disomogenei, oltre che da un’offerta relativamente modesta. Il rischio è che le imprese europee vadano a quotarsi oltreoceano, come peraltro sta già accadendo, con l’obiettivo di ottenere quotazioni più elevate grazie alla più ampia liquidità di mercato”.
Il completamento del mercato dei capitali deve essere accompagnato però da una più forte armonizzazione fiscale tra gli Stati membri, per evitare di esacerbare gli effetti distorsivi esistenti.
Armonizzazione fiscale UE
Anche l’armonizzazione fiscale tra i diversi Stati europei sconta notevoli ritardi: ci sono 27 diversi sistemi fiscali. Per quanto riguarda la tassazione dei redditi di impresa si va da un’aliquota media del 9% in Ungheria al 35% a Malta. Negli USA il sistema è più uniforme, con un range che va dal 21% nel Nevada al 30% nel New Jersey (l’aliquota minima di base definita a livello federale è al 21%).
La scarsa armonizzazione delle aliquote nella UE è alla base di una significativa attività di profit shifting da parte delle imprese residenti. Nel 2019, secondo l’OCSE:
- dei quasi 200 miliardi di euro di profitti trasferiti da Paesi UE a fini fiscali, circa 170 miliardi si sono spostati all’interno dell’UE.
- Irlanda, Paesi Bassi, Lussemburgo e Belgio hanno attratto nel 2019 circa il 30% dei profitti trasferiti da Paesi non UE all’interno della UE.
Tali differenze nei sistemi fiscali generano distorsioni nell’allocazione efficiente delle risorse all’interno del mercato unico e disuguaglianze.
Aiuti di stato
Nel biennio 2020-2021, l’ammontare degli aiuti di Stato concessi è stato pari al 2,3% del PIL della UE, più del doppio di quanto registrato nel ventennio precedente (media 2000 - 2019: 0,7%).
Gli aiuti sono stati concessi dai diversi Stati in modi eterogenei: quelli con maggiore spazio fiscale hanno sostenuto maggiormente le proprie aziende rispetto alle economie con indebitamento pubblico oltre il 60%. Emblematico il confronto degli aiuti nazionali in rapporto al PIL concessi nel 2021 da:
- Germania 3,4% (debito pubblico al 66%)
- Francia 2,5% (debito pubblico al 112%)
- Italia 1,7% (debito pubblico al 142%).
Il documento è stato coordinato da Andrea Montanino e Simona Camerano e predisposto da: Alberto Guidi, Simone Passeri, Massimo Rodà e Livio Romano
Fonte: Cdp Brief (30 anni di mercato unico europeo: un confronto con gli USA)