I dati preconsuntivi evidenziano una crescita del giro d’affari nominale a livello aggregato del 20% (a 82 miliardi di euro, +21% sul 2019). A trainare i ricavi sono le vendite all’estero, in accelerazione del 24% sul 2021. Bene anche gli investimenti che dovrebbero attestarsi a un +35%.
Per il 2023 si prevede un ulteriore incremento del giro d’affari dell’8% che porterebbe l’aggregato delle maggiori aziende moda Italia a sfiorare i 90 miliardi, all’interno di uno scenario in rallentamento macroeconomico, in un contesto di tassi di interesse che vanno normalizzandosi verso l’alto e con le tensioni inflazionistiche in decelerazione. Sul fronte delle vendite, si rilevano segnali di ripresa dei consumi e la riapertura della Cina si prefigura come un’opportunità e un importante driver della crescita.
Le 152 maggiori aziende della moda con sede in Italia registrano un valore aggiunto pari all’1,3% del Pil nazionale nel 2021 e sono distribuite in tutta la penisola, con prevalenza nel Nord (111 unità), seguito dal Centro (32).
Tra le imprese manifatturiere spicca l’abbigliamento che determina il 28,6% dei ricavi aggregati 2021, seguito da pelli, cuoio e calzature (23,1%). Le produzioni riferibili all’alta gamma rappresentano il 73,2% del totale dei comparti abbigliamento, pelletteria e tessile.
La base produttiva delle aziende esaminate è principalmente italiana: il 68% degli insediamenti manifatturieri è ubicato in Italia, mentre il restante 32% è in Paesi stranieri: 17% Europa, 8% Asia, 5% Africa e 2% Americhe. Per le aziende di alta gamma, la concentrazione della produzione nazionale è maggiore: l’83% della loro base produttiva è in Italia e solo il 17% è in Paesi stranieri (di cui due terzi in Europa).
Gruppi stranieri
Significativa la presenza di gruppi stranieri nella moda italiana: 58 delle 152 aziende hanno una proprietà estera che controlla il 43,6% del fatturato aggregato (il 24,2% è francese), a conferma dell’apprezzamento oltreconfine del Made in Italy. L’investitore straniero predilige l’alta gamma: l’87,4% del fatturato aggregato delle aziende a controllo estero è relativo alla fascia lusso (il 58,8% è francese).
Export
La proiezione internazionale è una delle caratteristiche più rappresentative delle società manifatturiere della moda. Il 73,7% del fatturato complessivo proviene dall’estero, con in testa la gioielleria (80,3%) l’occhialeria (78,0%), le pelli, cuoio e calzature (76,9%).
I produttori di alta gamma (comparti abbigliamento, pelletteria e tessile) si collocano su livelli di export più elevati rispetto a quelli di fascia più economica (73,2% vs 58,2%), dimostrando maggiore capacità di presidiare i mercati esteri.
Nel 2021 il giro d’affari delle 152 maggiori aziende della moda evidenzia una ripresa a “V” a 68,6 miliardi di euro, +32,7% sul 2020, superando dello 0,9% i livelli pre-pandemici. Il fatturato estero registra un rimbalzo più sostenuto (+35,7%) rispetto a quello nazionale (+28,7%). I produttori di alta gamma reagiscono con maggior forza rispetto a quelli mass-market, superando i livelli del 2019 dell’1,1%, mentre i produttori della fascia più economica si trovano ancora al di sotto dei livelli pre-crisi (-3,6%).
Le medie imprese a controllo italiano segnano una ripresa più incisiva (+6,6% sul 2019) rispetto alle grandi (-1,7%) e a quelle a controllo estero (+3,3%), a conferma della maggiore dinamicità e flessibilità di questa classe dimensionale. Le prime venti aziende rappresentano da sole oltre la metà del fatturato aggregato.
Classifica ricavi
- Prada (3,4mld)
- Luxottica Group (3,2mld)
- Calzedonia Holding (2,5mld)
- Moncler (2mld)
- Giorgio Armani (2mld)
La redditività segnala una dinamica calante: l’ebit margin scende dal 12,1% del 2019 al 10,6% del 2021, dopo l’impatto dirompente della crisi quando si era fermato al 4,5%. Il comparto pelli, cuoio e calzature riporta i margini più soddisfacenti (15,7% nel 2021), seguito dall’occhialeria (12,3%). Il podio per redditività vede al primo posto Fendi (32,8%), davanti a Renato Corti (29,5%) e Gingi (29,2%, principale marchio Elisabetta Franchi).
Gli investimenti superano dell’8,9% i livelli pre-crisi (330 milioni in più sul 2019). Fra le aziende produttive, nel comparto della gioielleria la crescita è stata anche più consistente (+189,1%).
Sul fronte patrimoniale, le aziende della moda rafforzano la propria struttura finanziaria (debiti finanziari sul capitale netto al 40,8% nel 2021 dal 56,8% del 2019), con i produttori di occhiali, abbigliamento e tessuti a distinguersi come i più capitalizzati.
Sostenibilità
Emerge la crescente attenzione alle tematiche ESG (Environment, Social and Governance), accelerata dalla pandemia. Le aziende italiane della moda si impegnano con incisività per un futuro più sostenibile e per la salvaguardia dell’ambiente:
- mediamente diminuiscono le emissioni di CO2 (da 1.766 tonnellate di CO2 per un milione di fatturato nel 2020 a 1.462 nel 2021; -20,8%)
- diminuiscono i rifiuti prodotti (da 2,9 tonnellate per un milione di fatturato nel 2020 a 2,4 nel 2021; -17,2%)
- aumenta il ricorso alle fonti rinnovabili (dal 38,4% nel 2020 al 43,4% nel 2021) e la quota di rifiuti riciclati (dal 65,5% nel 2020 al 73,5% nel 2021).
I fornitori dei maggiori player italiani della moda sono mediamente localizzati per il 56% in Italia, per il 30% in Asia, per l’11% nel resto dell’Europa, per il 2% in Africa e per il restante 1% nelle Americhe. Il ricorso a terzisti italiani è massimo per le aziende di alta gamma (80%) che adottano una strategia di maggiore qualità e prossimità, mentre le società vocate a prodotti di fascia più economica si rivolgono soprattutto a fornitori asiatici (58%).
La collaborazione con i terzisti pare privilegiare quelli tricolore, in coerenza con la tendenza a riportare in Italia produzioni che in passato erano state delocalizzate. Attualmente si stanno evidenziando due strategie prevalenti:
- da una parte, una spinta alla realizzazione di nuove fabbriche in Italia o l’ampliamento di quelle già esistenti
- dall’altra una differente allocazione dei propri fornitori, rafforzando le collaborazioni con i terzisti chiave e più prossimi, anche attraverso joint venture o acquisizioni.
Fonte: Area Studi Mediobanca