Imamoglu era già risultato vincitore alla tornata di marzo, ma alla luce di un vantaggio minimo e di “presunti brogli”, l’AKP aveva richiesto, e ottenuto, nuove elezioni. La strategia di Erdoğan non ha però sortito i risultati sperati; al contrario ha avuto ripercussioni non trascurabili sulle principali variabili finanziarie del Paese, già alle prese con una fase recessiva dopo un turbolento 2018. Nei primi cinque mesi dell’anno infatti, la lira turca ha subito un ulteriore deprezzamento (circa il 15%) e i principali indicatori finanziari hanno riflesso la costante perdita di fiducia da parte dei mercati.
Alcuni miglioramenti si sono invece registrati a seguito del risultato elettorale del 23 giugno: ad esempio, i rendimenti dei titoli del debito pubblico sono calati, cosi come le quotazioni dei CDS a 5 anni; la lira inoltre si è lievemente apprezzata. Sono diminuiti anche l’inflazione e il deficit di parte corrente, il tutto accompagnato da un lieve incremento del Pil. La durata e la “consistenza” di tali progressi restano tuttavia incerte, e questo nonostante la lunga pausa elettorale – le prossime elezioni parlamentari e presidenziali sono previste nel giugno 2023 – rappresenti un’occasione per mettere da parte l’approccio populista del governo. Continuiamo infatti a ritenere che tra gli scenari possibili (Tabella 1), quello con maggiore probabilità di accadimento sia un progressivo consolidamento della figura di Erdoğan e delle sue politiche (scenario A). La recente rimozione del governatore della Banca Centrale, Murat Cetinkaya, “colpevole” di non aver allentato la politica monetaria – come più volte “richiesto” dal presidente turco – potrebbe essere stato un primo segnale in tal senso.
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All’incertezza politica sul piano interno, si aggiunge la “minaccia” delle doppie sanzioni, americane ed europee. Washington ha dato un ultimatum alla Turchia (31 luglio) affinché rinunci all’acquisto del sistema russo di difesa aerea S-400 – ritenuto dagli Stati Uniti incompatibile con i sistemi di difesa della Nato, di cui la Turchia fa parte – pena l’emanazione di sanzioni punitive nell’ambito del programma F-35. Da Bruxelles invece, il rischio di sanzioni deriva dall’entrata di una nave trivella turca per esplorazioni petrolifere nella Zona Economica Speciale di Cipro. Un approccio più “accomodante” nei confronti degli Stati Uniti e dell’Unione Europea potrebbe evitare un’escalation delle tensioni, ma non è da escludere che il presidente turco prosegua con la retorica ostile nei confronti dell’Occidente.
Il processo di stabilizzazione del Paese resta dunque precario e il recupero della fiducia dei mercati internazionali si prospetta difficoltoso in assenza di reali cambiamenti nella governance. I lievi segnali di ripresa mostrati nel secondo trimestre del 2019 sono dipesi in gran parte dallo stimolo fiscale impresso dal governo in vista delle elezioni di Istanbul; una volta esaurita tale spinta, e in assenza di ulteriori stimoli, la ripresa potrebbe affievolirsi. L’azione di governo non è infatti finora riuscita ad affrontare i problemi strutturali che affliggono l’economia turca, con conseguenze negative sulla capacità del Paese nel fronteggiare shock avversi, anche a causa della perdita di credibilità della Banca Centrale. Quest’ultima si riunirà il prossimo 25 luglio sotto la guida del nuovo governatore Murat Uysal: sarà un primo banco di prova utile a comprendere se l’Istituto intenderà muoversi verso un allentamento della politica monetaria.
I nostri esportatori dovranno continuare quindi a monitorare l’evoluzione del mercato turco, che nel 2018 ha accolto 8,8 miliardi di euro di beni Made in Italy (12° Paese di destinazione a livello globale e 1° nell’area Mena), registrando una forte contrazione rispetto al 2017 (-13,1%), a causa della crisi valutaria osservata dal Paese. Anche l’avvio del 2019 è stato negativo (-17,8% nei primi 5 mesi), ma dal 2020 è prevista una lieve inversione di tendenza (+2,5%, in media nel triennio 2020-22). Preso tra due fuochi, Trump e Putin, e costretto a una decisione, su quale blocco propenderà la scelta del presidente Erdoğan? Al momento il suo sguardo non sembra rivolto a Occidente.
Alessandra Drigo e Giovanni Salinaro