L’impatto del Covid-19 in America Latina

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L’America Latina, l’area tra le economie emergenti con la più bassa crescita media nell’ultimo decennio (2%), si trova ad affrontare la diffusione della pandemia coronavirus da una posizione di relativa debolezza.

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All’alba del decennio appena concluso il subcontinente sembrava lanciato verso una crescita inarrestabile e un miglioramento generalizzato nelle condizioni di vita dei cittadini, ma la fine del boom nei prezzi delle commodity a metà decennio ha prodotto un duro risveglio. Da quel momento la crescita è stata stagnante, se non negativa, in parecchi contesti.

C’è chi è arrivato a parlare di seconda decada perdida, ma il paragone con gli anni ’80 non regge perché quel decennio fu drammatico in quanto quasi tutte le maggiori economie furono colpite da pesanti crisi debitorie. Negli ultimi decenni la maggior parte dei Paesi dell’area ha rafforzato i conti pubblici allungando la vita media dello stock di debito e riducendo l’esposizione in valuta forte, nonché adottando cambi flessibili per assorbire meglio shock esterni.

La diffusione di covid-19, finora relativamente limitata rispetto ad altre aree geografiche, potrebbe essere favorita in America Latina da alcuni fattori peculiari:

  • i tassi di urbanizzazione più elevati al mondo che rendono difficile prendere provvedimenti di distanziamento sociale
  • la presenza di una vasta economia informale che scoraggia l’adozione di lockdown generalizzati e prolungati per le possibili conseguenze in termini di tensioni sociali
  • la relativa debolezza dei sistemi sanitari nazionali rispetto ai Paesi avanzati
  • il progressivo invecchiamento della popolazione rispetto ad altre aree emergenti
  • l’inversione delle stagioni rispetto all’Europa nella parte australe del subcontinente.

Oltre allo stress test immediato sui sistemi sanitari è necessario valutare quali Paesi potrebbero essere più colpiti economicamente dagli effetti della pandemia.

Per le prime dieci economie dell’area abbiamo individuato a questo proposito cinque indicatori che cercano di catturare peculiarità e punti di debolezza rispetto ad altre geografie emergenti, a partire dal contributo tradizionalmente elevato per molte economie caraibiche e centroamericane di turismo e rimesse degli emigrati alla formazione del Pil. Ancora, il rapporto tra interscambio e Pil che ben evidenzia i diversi gradi di integrazione nelle catene globali del valore. Infine, il rapporto tra debito pubblico e Pil che fornisce una misura degli spazi di politica fiscale e il rapporto tra passività in valuta estera sul totale delle passività del sistema bancario che è una proxy dell’efficacia nei meccanismi di trasmissione della politica monetaria.

Nella tabella allegata, per ogni indicatore, il colore più scuro della cella indica la posizione peggiore rispetto al gruppo.

Tra le maggiori economie dell’area il Messico sarà più penalizzato poiché maggiormente inserito nelle catene globali del valore e con un peso di turismo e rimesse maggiore rispetto ad altri.

Brasile e Argentina saranno in parte protetti dalla caduta degli scambi globali per la scarsa apertura al commercio estero, ma entrambi scontano spazi fiscali ridotti, in particolare l’Argentina, alle prese con una complessa ristrutturazione del debito estero.

In una situazione molto difficile si trova pure l’Ecuador, privato anche della leva della politica monetaria a causa della piena dollarizzazione.

In posizione migliore invece Cile e Perù, che godono di maggiori spazi fiscali per politiche anticicliche ma anche la Colombia, che non presenta forti squilibri macroeconomici e proviene da un 2019 a forte crescita.

Queste tre geografie presentano ancora buoni margini di penetrazione per l’export italiano e costituiscono mercati su cui puntare a breve e medio termine.

Fonte: SACE (Davide Serraino)

 

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