Nei primi sei mesi del 2020 l’attività economica si è ridotta di oltre il 10 per cento rispetto al corrispondente periodo del 2019. Vi hanno concorso le misure necessarie per il contenimento dei contagi e, successivamente, il calo della domanda interna ed estera. Secondo l’indicatore trimestrale dell’economia regionale (ITER) elaborato dalla Banca d’Italia, la flessione è stata più marcata al Nord, coerentemente con l’insorgenza precoce della pandemia in tale area geografica.
Le attività economiche non essenziali sospese in marzo e aprile rappresentavano al Nord circa il 60 per cento del valore aggiunto del settore, contro il 51 al Centro e il 44 nel Mezzogiorno. La perdita di valore aggiunto derivante dalle chiusure è stata dovunque mitigata dalla possibilità di continuare a operare per le imprese appartenenti a filiere essenziali e dall’adozione, ove possibile, di pratiche di lavoro da remoto.
Secondo la stima preliminare dell’Istat pubblicata il 30 ottobre, nel terzo trimestre il PIL sarebbe cresciuto del 16,1 per cento rispetto al periodo precedente; si sarebbe invece ridotto del 4,7 per cento nel confronto con il corrispondente trimestre del 2019.
Il numero di occupati si è ovunque ridotto, più marcatamente nel Mezzogiorno, dove la struttura produttiva è più orientata ad attività maggiormente esposte agli effetti della pandemia (quali i servizi connessi con il turismo) e la composizione dei contratti di lavoro risulta più sbilanciata verso forme di lavoro temporaneo.
Nei mesi estivi le valutazioni delle imprese manifatturiere sul livello degli ordini sono progressivamente migliorate in tutte le aree, ma a settembre si collocavano ancora molto al di sotto dei livelli registrati prima dell’emergenza. Nel Nord Ovest il recupero è stato più lento che nel resto del Paese.
Le prospettive restano condizionate dall’incertezza circa l’evoluzione della pandemia, la cui incidenza è in aumento nelle ultime settimane. Come nelle precedenti crisi, l’intensità della ripresa dall’emergenza Covid-19 dipenderà anche dalle caratteristiche strutturali del sistema produttivo locale.
Domanda estera
Nel 2019 le esportazioni di beni a prezzi correnti hanno registrato una sensibile accelerazione al Centro, sostenute soprattutto dalle vendite di prodotti farmaceutici, di articoli di moda e di metalli preziosi, queste ultime favorite anche dalle quotazioni dell’oro. Le esportazioni sono cresciute a tassi più modesti nel Nord Est, mentre si sono leggermente ridotte nel resto del Paese.
Le vendite al di fuori dell’area dell’euro hanno sostenuto la dinamica complessiva: ad eccezione del Nord Ovest, le esportazioni reali verso questi mercati sono cresciute in tutte le aree a tassi superiori a quelli della relativa domanda potenziale. Le esportazioni verso l’area dell’euro sono aumentate più della domanda potenziale solo al Centro.
Nel primo semestre del 2020 le esportazioni hanno subito in tutte le aree una flessione di circa il 15 per cento rispetto allo stesso periodo dell’anno precedente.
Al Nord e nel Mezzogiorno la contrazione è stata in buona parte attribuibile alle vendite di macchinari, prodotti in metallo, autoveicoli e articoli di abbigliamento e pelletteria, comparti che più di altri hanno risentito del crollo della domanda di beni durevoli e della parziale interruzione delle catene di fornitura internazionali. Nelle regioni meridionali anche le esportazioni di prodotti petroliferi raffinati si sono significativamente ridotte.
Al Centro, dove la contrazione è stata più forte per i mercati extra europei, sono diminuite soprattutto le vendite di prodotti del made in Italy, che da sole hanno contribuito a quasi il 45 per cento del calo complessivo.
Tassi di crescita delle esportazioni (FOB) per settore nel 1° semestre 2020
(Variazioni percentuali sul periodo corrispondente a prezzi correnti)
Fonte: L'economia delle regioni italiane N. 22 (Banca d'Italia)