L’azienda, fondata ad Arezzo insieme alla moglie Barbara Bertocci responsabile dell'ufficio stile, è oggi un gruppo composto da 5 imprese che ha fatturato, nel 2009, 31milioni di euro (nel 2010 il giro d’affari dovrebbe superare i 36milioni di euro).
Innovazione, creatività, qualità e ricerca di nuovi mercati. Queste le chiavi del vostro successo?
Questi fattori rappresentano sicuramente le pietre angolari del successo aziendale, ma il vero fattore trainante è la passione. Molte aziende fanno abbigliamento, solo quelle di successo sanno emozionare ed esprimere la vera artigianalità italiana.
Noi cerchiamo di essere creativi, mai banali, per trasmettere ai nostri clienti freschezza e joie de vivre. Ma per essere sempre propositivi c’è bisogno di nuova energia. Per questo ospitiamo continuamente giovani talenti grazie ad accordi con università e scuole professionali di vari Paesi. A ogni stagier assegniamo piccoli progetti da portare avanti in piena autonomia. E quelli che superano la prova poi si fermano spesso a lavorare con noi…
Siete presenti in 52 Paesi. Come avete sviluppato la vostra strategia di internazionalizzazione?
Anche in questo caso le risorse umane sono la chiave di volta. Per operare in nuovi mercati è fondamentale un approfondito controllo preliminare degli attori più rilevanti nel mercato di rappresentanza, dei competitor, dei potenziali partner e non si può prescindere dalla conoscenza diretta delle condizioni operative. Cardine della nostra strategia è lo sviluppo costante di un’economia di legami e di conoscenze.
Oggi il nostro mercato domestico è l’Europa a 15. Nei Paesi occidentali più evoluti abbiamo aperto gradualmente boutique monomarca, flagshipstore, oppure corner (dalla forte identità) nei migliori punti vendita della Grande distribuzione.
Nei mercati emergenti di solito cerchiamo il supporto di un partner locale insieme al quale costruiamo una joint venture. In Cina, seguendo questa strategia, abbiamo aperto 65 negozi, in Siria 17. Le altre joint venture operano in Brasile, India, Libia, Egitto e Taiwan. E ancora una volta il rapporto umano con il partner è fondamentale. C’è sempre uno scambio di know how: noi apportiamo innovazione, creatività, strumenti di marketing, il partner il controllo del territorio e la conoscenza dei gusti dei consumatori locali.
Un ultimo aspetto contraddistingue la nostra strategia e il nostro posizionamento di mercato: non abbiamo mai prodotto conto terzi e tutti i capi che escono dai nostri stabilimenti hanno l’etichetta Monnalisa.
Su quali nuovi mercati avete deciso di orientare i vostri prossimi sforzi commerciali?
Usa, Cina, Europa dell’Est, Nuovi Stati Indipendenti. Poi l’Australia che rappresenta una sfida per la lontananza e per la diversa stagionalità, ma è un mercato in cui potremo conquistare quote interessanti.
Avete mai chiesto il supporto delle istituzioni che operano a sostegno dell’internazionalizzazione delle imprese? La risposta è stata adeguata?
Oltre ad essere un imprenditore che si è avvalso in varie situazioni dei servizi ICE, Promos Milano, Promofirenze e di alcune Camere di Commercio italiane all’estero, sono Presidente di due consorzi (Bimbo Italia e Italy Glam export). Alle imprese associate dico sempre di non avere aspettative troppo alte. Non possiamo pensare che le istituzioni preposte a supportare l’internazionalizzazione ci portino a casa i clienti garantendo la loro solvibilità. Ma rappresentano dei presidi in grado di svolgere un servizio di prima assistenza e un supporto logistico in certi mercati molto prezioso e che consente di abbattere i costi soprattutto nella fase del primo approccio.
Il vostro core business è l’abbigliamento per bambina di fascia alta, ma avete recentemente lanciato anche la linea bambino Hitch Hiker (autostoppista). Cosa vi ha spinto in questa direzione? I primi risultati sono incoraggianti?
All’inizio dell’attività producevamo capi anche per i bambini. Poi ci siamo concentrati sul mercato femminile che offriva migliori prospettive di crescita e che ha un più alto contenuto di moda.
Solo recentemente, dopo attenta analisi, abbiamo individuato nel mercato bimbo spazi di crescita interessanti per capi confortevoli e ricchi d’appeal come quelli della linea Hitch-Hiker che piacciono trasversalmente ai genitori, ai nonni e ai bambini. Abbiamo così deciso di proporre un gusto trendy, frizzante, indossabile senza compromessi. I risultati, a livello di sell-in, ci riempiono di soddisfazione.
Molte aziende riducono le sfilate tradizionali e si moltiplicano i video che presentano le collezioni on line. Cosa ne pensate?
Proprio l’anno scorso per la prima volta abbiamo messo in live streaming sul nostro sito il fashion show Monnalisa autunno / inverno. Dato il target di riferimento è fondamentale per noi abbracciare le nuove tecnologie.
Personalmente non amo molto le sfilate, anche perché capita che i bambini vengano iper-responsabilizzati dalla situazione (e a volte dalle loro mamme…). C’è però un aspetto delle sfilate al quale non voglio rinunciare. Rappresentano un riconoscimento formale ai fornitori, agli stilisti e ai collaboratori che vedono rappresentato e valorizzato il frutto del loro impegno e di 6 mesi di lavoro di squadra.
Inoltre sono spesso gli stessi nostri top client internazionali a richiederci di organizzare delle sfilate. Recentemente abbiamo sfilato in Cina e a New York
nell’ambito dell’happening “Petite Parade designer” della New York kids fashion week. Il feedback è stato molto positivo.
Avete anche lanciato Monnalisa Living, una linea di camerette per bambina realizzate su licenza dall’azienda brianzola Tommasi. Allargherete ulteriormente il vostro campo d’azione?
È inevitabile che in una strategia di brand extension, soprattutto per un’azienda del settore moda, si prospetti un’offerta di life style.
Le persone che acquistano i capi Monnalisa vogliono vivere un’esperienza totalizzante, un’emozione che non si esaurisca nell’esperienza d’acquisto all’interno dei nostri punti vendita, ma che si estenda anche alla familiarità della vita quotidiana. I progetti sono molteplici, siamo di fronte a una nuova era Monnalisiana.
Ci può parlare, infine, della Fondazione Monnalisa Onlus?
Il primo progetto che abbiamo realizzato è stata una cittadella di 5 ettari per la sicurezza stradale. Tutti gli anni migliaia di bambini hanno la possibilità di acquisire maggior consapevolezza dei pericoli della strada. Attraverso percorsi opportunamente attrezzati, esperienza di guida su 2 ruote, video che presentano i pericoli dell’alcool.
Sono molto sensibile a questi temi, forse anche perché, da giovane, ho percorso in lungo e in largo sulla mia Lambretta tutta l’Europa…
Poi organizziamo anche eventi culturali e concerti, spesso in collaborazione con il Comune di Arezzo, per promuovere il nostro territorio cui siamo molto legati.
Enrico Forzato