Infatti, oltre alle aree dove l’elevato rischio politico appare ormai cronicizzato, gli indicatori di rischio evidenziano un aumento degli episodi di violenza politica in Paesi non caratterizzati da conflitti sistematici, ma dove la presenza di tensioni religiose, sociali e politiche hanno prodotto il deterioramento del livello di sicurezza.
È il caso delle Maldive, dove le tensioni politiche e sociali hanno portato allo stato d’emergenza, cosi come le Filippine e il Bangladesh, dove istanze islamiste si sono manifestate nel corso dell’anno in diversi episodi terroristici. Inaspettato è anche l’aumento del rischio di violenza politica dell’India, dove nel 2017 si sono registrati circa 900 episodi terroristici - a fronte, ad esempio, dei circa 1300 in Afghanistan (Global Peace Index)- legati a rivalità religiose e rivendicazioni territoriali. Tensioni in crescita anche nell’area dell’Est Europa e Caucaso dove sembrano riaperti i fronti dei conflitti etnico-territoriali tra Armenia e Azerbaijan e Serbia e Kosovo, teatri di scontri sporadici ma in aumento.

Esportare o investire in questi mercati, nonostante i rischi, si può. La presenza di tensioni politiche può costituire un rischio per l’attività delle aziende, pur in presenza di opportunità interessanti offerte da tali Paesi. L’impatto dei rischi politici non è immediatamente evidente, ma può incidere sia sulle capacità di ripagamento delle controparti, sia esporre gli investimenti in loco a perdite rilevanti, legate al rischio di perdita degli asset e di impossibilità di proseguire la propria attività produttiva all’estero (c.d. business interruption)
La gestione di tali rischi costituisce un importante elemento di competitività per le aziende interessate a operare sui mercati esteri.
Valentina Cariani