Sebbene non esistono specifici incentivi per l’investimento estero, sono soprattutto le politiche fiscali ed amministrative forti ed efficaci e collaudate competenze finanziare e bancarie a fare di Hong Kong la prima scelta per chi voglia investire in Cina e uno dei più attraenti centri affaristici per potenziali investitori.
La politica di attrazione degli investimenti esteri praticata dal Governo si basa sulla libertà e sull’apertura del mercato con poche e limitate restrizioni; nella maggior parte dei casi l’investitore estero può investire in qualsiasi impresa e possederne fino al 100% del patrimonio netto, ed il capitale e gli utili possono essere liberamente reimpatriati senza controlli valutari.
Inoltre, in virtù dello stato di porto franco di Hong Kong la maggior parte delle merci, sia in entrata che in uscita, è assolutamente libera e non sono previsti dazi doganali (Exempted articles).
Da non sottovalutare il legame politico ed istituzionale di favore che lega Hong Kong alla madrepatria cinese; fondamentale al riguardo è il Closer Economic Partnership Arrangement (CEPA), primo accordo di libero scambio concluso il 29 giugno 2003 tra Cina e Hong Kong che, in alcune circostanze, ha apportato ai beni e servizi di Hong Kong vantaggi esclusivi di accesso al mercato della Cina continentale.
Le ragioni dell’investimento in Cina tramite Hong Kong
La certezza del diritto, assicurata da un sistema di leggi e un sistema giudiziario di stampo anglosassone (common law), oltre ad un'ampia disponibilità di servizi nei settori finanziario e legale, rappresentano le principali ragioni che hanno spinto migliaia di società straniere (tra cui centinaia di italiane) a decidere di stabilire il proprio quartier generale operativo in tutta l'Asia ad Hong Kong.
Come noto, nonostante il passaggio alla sovranità cinese, Hong Kong gode di una giurisdizione separata dalla Cina, il cui regime fiscale, legale e finanziario segue regole e normative differenti.
I vantaggi del sistema societario e legale
Nel caso in cui l’imprenditore decida di operare in Cina congiuntamente con un partner cinese (al fine di beneficiare dell’insieme delle conoscenze di mercato e delle relazioni di affari che il soggetto locale può aver maturato nel corso delle proprie precedenti attività) è necessario sin dalla preliminare fase di pianificazione strategica dell’investimento valutare attentamente alcune peculiarità della normativa societaria locale.
Al riguardo, sebbene attualmente la normativa cinese si sia positivamente evoluta per quanto concerne gli aspetti relativi alla governance e alle principali tematiche dell’operatività delle società di capitale, qualora si debbano affrontare operazioni di fusione, ristrutturazioni o mutamenti dell’assetto azionario potrebbero sorgere delle problematiche legate a questioni burocratiche o a lacune normative che porterebbero a situazione di stallo decisionale (dead lock) che appaiono di non rapida soluzione.
La volontà di evitare tale rischio induce moltissimi investitori a costituire la joint venture con il socio cinese nella Regione Amministrativa Speciale di Hong Kong e, tramite tale società, effettuare l’acquisto dell’intera partecipazione sociale nella target cinese a totale partecipazione straniera (WFOE, ovvero Wholly Foreign Owned Enterprise).
Così operando, si ha modo di far ricadere sulla controllata cinese gli effetti delle operazioni societarie che avvengono sulla holding di Hong Kong, ove è possibile beneficiare di una normativa societaria di impronta britannica e quindi maggiormente idonea a trattare le più complicate strutture e operazioni societarie.
Fondamentale quanto ad efficacia sotto il profilo pratico, in particolare per controversie di natura commerciale, considerare il fatto che Hong Kong ha da sempre e costantemente sviluppato e incentivato l’arbitrato e il ricorso a modalità alternative di risoluzione delle controversie, diventando una tra le più grandi ed affidabili giurisdizioni internazionali in materia.
A tale rilevante motivazione di ordine societario si affiancano ulteriori valutazioni che possono suggerire la scelta di Hong Kong come piattaforma strategica per effettuare l’investimento in Cina.
I vantaggi del sistema fiscale
Il sistema fiscale è uno dei meno gravosi tra le economie sviluppate, con un’impostazione semplice e tassi molto bassi, ove non sono tassate plusvalenze, dividendi o successioni.
Gli utili derivanti da attività commerciali conseguiti da società di capitali sono soggetti ad un’aliquota pari al 16.50%; al riguardo non si deve dimenticare che sono soggetti a tassazione esclusivamente i profitti provenienti da Hong Kong e non quelli provenienti dall’estero.
Inoltre, non sono certo da trascurare gli interessanti scenari che potrebbero aprirsi una volta che entrerà definitivamente in vigore la convenzione contro le doppie imposizioni stipulata tra l’Italia ed Hong Kong, che porterà alla probabile esclusione di Hong Kong dalle liste black-list previste dal sistema tributario nazionale.
In tal caso nei confronti di Hong Kong non troveranno più applicazione le disposizioni antievasive ed antielusive, e i principali vantaggi per la controllante italiana riguarderanno:
- la non applicazione del regime di trassazione per trasparenza CFC ai sensi degli articoli 167 e 168 del DPR 22 dicembre 1986, n. 917 (TUIR); pertanto, gli utili derivati da società residenti in Hong Kong saranno eventualmente soggetti a tassazione unicamente con un aliquota pari al 16,50%;
- l’applicazione della participation-exemption su dividendi corrisposti da società di Hong Kong a favore di società residenti in Italia, ove saranno tassati ad un’aliquota pari all’1,375%,
- regime ordinario di deducibilità dei costi provenienti da soggetti residenti a Hong Kong.
Inoltre, in un’ottica di pianificazione fiscale, con l’eventuale esclusione di Hong Kong dalle liste black-list risulterà ancora più conveniente strutturare l’investimento in Cina attraverso la creazione di una holding a Hong Kong (che a sua volta deterrà la partecipazione della sussidiaria cinese) rispetto ad un investimento diretto.
Difatti il reddito prodotto in Cina dalla sussidiaria cinese sarà ivi assoggettato all’imposta sul reddito delle società con aliquota del 25% e il dividendo, al momento della sua erogazione alla casa madre residente ad Hong Kong (che detiene almeno il 25% del capitale della società cinese) subirà una ritenuta alla fonte nella misura ridotta del 5%, così come previsto dalla convenzione per evitare le doppie imposizioni in vigore tra Cina e Hong Kong.
Per ciò che concerne la tassazione in capo alla società di Hong Kong, la normativa fiscale locale prevede l’esenzione totale per i redditi prodotti al di fuori del territorio della stessa. Da ciò ne consegue che il dividendo proveniente dalla controllata cinese, non essendo considerato territorialmente prodotto in Hong Kong, non sarà ivi soggetto ad ulteriore imposizione ai fini dell’imposta sul reddito e, inoltre, non soggiacerà ad alcuna ritenuta alla fonte al momento del pagamento al socio italiano.
Al contrario, nel caso di un investimento diretto nella Repubblica popolare cinese, il reddito prodotto in Cina dalla sussidiaria cinese sarà sempre ivi assoggettato all’imposta sul reddito delle società con aliquota del 25% ma il dividendo, al momento della sua erogazione alla società controllante italiana, subirà una ritenuta alla fonte a titolo di imposta del 10%.
Natale Galimi