Al centro delle catene globali del valore e dei numerosi distretti industriali, elemento fondamentale della diffusione e affermazione del Made in Italy nel mondo, le PMI italiane offrono un contributo rilevante per lo sviluppo economico, tecnologico e sociale.
Le oltre 200 mila piccole e medie imprese italiane producono un giro d'affari di oltre 1.000 miliardi di euro, generano quasi il 40% del valore aggiunto nazionale e impiegano 5,4 milioni di persone, pari a un terzo di tutti gli occupati.
Realizzano all’estero circa un terzo del fatturato e contribuiscono a quasi la metà dell’export nazionale (rispetto al 20% delle PMI tedesche e delle francesi e al 34% delle spagnole).
Secondo le previsioni SACE, le esportazioni delle PMI italiane cresceranno quest’anno del 6,2%, del 4% nel 2024 e del 3,2%, in media, nel biennio 2025-2026, quando supereranno i 300 miliardi di euro.
Principali risultati della ricerca
Obiettivo dello studio è sottolineare le caratteristiche che contraddistinguono le oltre 200 mila PMI italiane, al fine di aiutarle a cogliere le opportunità alla luce della duplice sfida della transizione sostenibile e digitale.
Quasi 7 PMI esportatrici su 10 sono attive nella manifattura (circa 35mila imprese di cui 26mila piccole) e l’80% del valore esportato dalle PMI deriva dalla manifattura, con più della metà dell’export manifatturiero generato da tre settori: meccanica strumentale (38,8 miliardi di euro nel 2021), prodotti in metallo (31,8 miliardi di euro) e alimentari e bevande (19,3 miliardi di euro).
La propensione all’export delle piccole imprese è sensibilmente inferiore rispetto a quella delle medie: oltre la metà esporta infatti meno del 10% del proprio fatturato e solo il 17% esporta oltre il 50%. Per le medie quasi un terzo esporta più del 50% del proprio fatturato e solo il 34% ne esporta meno del 10%.
Con riferimento ai mercati di destinazione oltre il 70% del valore delle esportazioni delle PMI è destinato a due aree:
- Unione Europea, che accoglie più della metà delle vendite all’estero delle PMI italiane per un valore di 123,5 miliardi di euro
- Paesi europei non UE, che registrano una quota del 14% circa con una domanda di beni pari a 31,6 miliardi di euro.
Tra le altre principali aree di sbocco anche America settentrionale, che riceve il 9,5% dell’export delle PMI, e Asia orientale, con un’incidenza dell 7%; seguono, con domande più contenute, Medio Oriente (3,4%) e America centro-meridionale (3%).
In ottica futura, l’export delle PMI nel 2023 crescerà al ritmo più elevato in Medio Oriente (+10,1%), a cui seguiranno le performance di Asia orientale (+9,2%) e Asia centrale (+8,4%). Incrementi in linea con la media attesa verso il mondo (+6,2%) riguardano America settentrionale (+6,6%) e America centro-meridionale (+6,1%). Gli altri Paesi africani registreranno una flessione della domanda quest’anno (-2,4%), mentre saranno quelli a segnare un aumento più intenso nel 2024 (+5,6%). Le dinamiche del prossimo anno saranno nuovamente sostenute per America centro-meridionale (+5,4%), Medio Oriente (+5,3%) e America settentrionale (+5,1%).
Transizione sostenibile e rivoluzione digitale
La cosiddetta “Duplice transizione” aumenta la propensione all’export delle PMI: il numero delle imprese che investe in green e digitale e che esporta è di 20 punti percentuali superiore a quello delle imprese che esportano, non facendo alcuna transizione. E se per le medie imprese la Duplice Transizione sortisce un effetto positivo, ma senza un significativo differenziale rispetto all’investire in solo una delle due transizioni, per quelle piccole il beneficio derivante dal realizzarle congiuntamente è nettamente superiore.
Abbracciare la Duplice transizione porta le PMI a essere più resilienti, lungimiranti e consapevoli, ma soprattutto più produttive e competitive anche in ambito internazionale.
Se la duplice transizione funge da elemento propulsore all’esportazione, come mai il 28% delle PMI ha deciso di non investirvi?
- Le barriere culturali come l’assenza di conoscenza degli effetti positivi delle tecnologie 4.0 sulla competitività, o la mancanza di interesse da parte del management sono le motivazioni più frequenti (35% delle imprese).
- Le motivazioni economiche, come la scarsità di risorse economiche, problemi di accesso al credito e tassi di interesse elevati sono state dichiarate dal 32% delle imprese.
- L’eccesso di burocrazia e la scarsa informazione sugli incentivi sono indicate da 12 imprese su 100 come barriera per iniziare ad investire in tecnologie 4.0.
- La difficoltà a trovare la migliore tecnologia 4.0 su cui investire è infine indicata dal 9% delle imprese.
La ricerca è stata realizzata dall’Ufficio Studi di SACE in collaborazione con The European House – Ambrosetti.
Fonte: SACE (Piccole, medie e più competitive: le PMI italiane alla prova dell'export tra transizione sostenibile e digitale)