9 aprile 2020

Covid-19: quale impatto per l’economia italiana?

di lettura

Segnaliamo alcune previsioni che tentano di quantificare le conseguenze della pandemia  sull’economia nazionale (Confindustria, Prometeia e Istat).

Covid-19: quale impatto per l’economia italiana?

La pandemia,  iniziata in Italia lo scorso febbraio, sta provocando uno shock congiunto di offerta e di domanda: al progressivo blocco di molte attività economiche, necessario per arginare la circolazione del virus, si è associato un crollo della domanda di beni e servizi, sia dall’interno che dall’estero.
Le previsioni economiche sono quindi particolarmente difficili perché:

  • siamo di fronte a una recessione atipica, che non nasce dall’interno del sistema economico italiano
  • vanno considerate variabili epidemiologiche e sociali (l’arrivo della stagione estiva contribuirà a depotenziare il virus? Come gestiranno l’emergenza sanitaria i principali Paesi di destinazione del made in Italy?).

Confindustria 

Secondo il Rapporto del Centro Studi Confindustria pubblicato il 31 marzo le prospettive economiche sono gravemente compromesse e non è chiaro con quali tempi esse potranno essere ristabilite neppure dal lato dell’offerta. Gli analisti hanno ipotizzato che nel settore manifatturiero saranno attive nei prossimi mesi queste percentuali di imprese:

  • aprile: 40% all’inizio - 60% a fine del mese
  • maggio: 70% all’inizio - 90% a fine del mese
  • giugno: 90% all’inizio -  100% a fine del mese. 

La caduta stimata del PIL nel secondo trimestre rispetto a fine 2019 è attorno al 10%. Nel 2020 il calo del PIL è previsto al -6,0%, nell’ipotesi che la fase acuta dell’emergenza sanitaria termini a maggio. Ogni settimana in più di blocco normativo delle attività produttive, secondo i parametri attuali, potrebbe costare una percentuale ulteriore di Prodotto Interno Lordo dell’ordine di almeno lo 0,75%.

Il Report  segnala che, nel caso l’emergenza  sanitaria non evolvesse positivamente, queste previsioni economiche andrebbero riviste al ribasso.

I consumi delle famiglie, nella prima metà del 2020, risulteranno decisamente inferiore rispetto a quello dell’anno scorso (-6,8%). È in atto una sostanziale ricomposizione del paniere, a sfavore di vari capitoli di spesa, quali l’abbigliamento, i trasporti, i servizi ricreativi e di cultura, i servizi ricettivi e di ristorazione.

Gli investimenti delle imprese sono la componente del PIL più colpita nel 2020 (-10,6%). Calo della domanda, aumento dell’incertezza, riduzione del credito, chiusure forzate dell’attività: in questo contesto è proibitivo per un’azienda realizzare nuovi progetti produttivi, visto che la stessa prosecuzione dell’attività corrente è compromessa o a forte rischio. 

L’export dell’Italia non viene risparmiato dal calo generale dell’attività economica (-5,1% nel 2020) dato che la pandemia ha colpito tutto il mondo, o quasi. Poiché il calo dell’attività sarà particolarmente forte nei principali mercati di destinazione dei prodotti italiani e i nostri esportatori saranno più penalizzati da difficoltà produttive e logistiche, l’export è atteso cadere più della media mondiale.

Un blocco dell’attività più lungo e diffuso a livello internazionale potrebbe portare a un crollo del commercio mondiale comparabile a quello del 2009. Inoltre, concorrenti esteri potrebbero approfittare delle attuali difficoltà della manifattura italiana per sottrarre quote di mercato.

Il Rapporto considera quattro fattori geoeconomici cruciali: i cambiamenti climatici, le regole europee, i legami finanziari USA-Europa e la governance multilaterale degli scambi.

  1. L’emergenza sanitaria è connessa al tema della sostenibilità della crescita mondiale. Evidenzia, infatti, che l’equilibrio economico è anche un equilibrio ambientale e sociale. L’Europa ha urgente necessità di un ampio piano di investimenti per realizzare la transizione green, anche per contribuire al recupero macroeconomico dopo la crisi da Covid-19.
  2. I limiti dell’assetto della governance europea sono nuovamente evidenziati dall’attuale crisi. La sospensione del Patto di stabilità è emergenziale, indispensabile, ma insufficiente. Le istituzioni europee sono all’ultima chiamata per dimostrare di essere all’altezza della situazione.
  3. I mercati finanziari sono stati l’origine e il primo canale di diffusione della crisi del 2008. I successivi profondi interventi regolatori e prudenziali li hanno resi sensibilmente più robusti a fronte di shock negativi. Sono in grado di reggere l’impatto dell’attuale crisi?
  4. Il dibattito sul protezionismo ha costituito il principale elemento di tensione economica globale nei due anni passati. Anche ora i blocchi agli scambi giocano un ruolo rilevante, aggravando le conseguenze delle interruzioni lungo le catene internazionali di fornitura. 

Prometeia

Nell’analisi Prometeia pubblicata il 27 marzo si legge: “L’Italia, con un settore servizi e turismo caratterizzato da piccole e medie imprese, e un settore pubblico con un debito già elevato, rischia di essere tra gli Stati più fragili… e negli anni a venire recupererà solo parzialmente quanto perso nel 2020”.

Ipotizzando una lenta e selettiva rimozione dei blocchi produttivi a partire da inizio maggio, gli economisti prevedono una contrazione del Pil italiano del 6,5% nel 2020. Il rimbalzo sarà graduale, portando al +3,3% nel 2021 e al +1,2% nel 2022. 

Le politiche monetarie della Bce allenteranno le tensioni sui titoli di Stato italiani nel breve periodo, ma l’intervento fiscale del governo non potrà che essere limitato nel sostenere la domanda; a fine 2020 il deficit/Pil avrà raggiunto il 6,6% e il debito/Pil il 150%. Nel medio periodo l’Italia dovrà convivere con un elevato livello di disavanzo pubblico (di nuovo sotto il 3% solo nel 2022).

Nel 2020, Pil mondiale -1,6% e commercio internazionale di merci -9,4%. Nel 2021 e 2022 la crescita globale sarà, rispettivamente, del 4,6% e del 3,3%. 

Istat 

Secondo la nota mensile di marzo dell’Istat, le prime indicazioni disponibili sull’impatto economico della pandemia in Italia provengono dal clima di fiducia di famiglie e imprese, che a marzo ha segnato una forte e diffusa flessione, e dai dati riferiti a febbraio sul commercio estero extra Ue e le vendite al dettaglio.

Sul fronte dei dati macroeconomici, che rilevano ancora solo in parte gli effetti della pandemia, in Cina, nel primo bimestre dell’anno, si è registrato un calo congiunturale del 13,5% della produzione industriale e del 20,5% delle vendite al dettaglio. Le prospettive economiche però sono in miglioramento (la diffusione del contagio si sta riducendo e le misure di contenimento sono state allentate). Dopo una caduta verticale a febbraio, i PMI Markit dei servizi e del manifatturiero cinese di marzo sono inaspettatamente rimbalzati sopra la soglia di espansione (rispettivamente 52 da 35,7 e 52,3 da 29,6).

Negli Stati Uniti l’employment report di marzo ha registrato un rialzo del tasso di disoccupazione a 4,4% da 3,5% di febbraio, segnando la variazione mensile più ampia dal 1975.

Nell’area dell’euro, gli indici qualitativi di marzo hanno registrato un forte calo. Sempre a marzo, l’Economic sentiment indicator (ESI) elaborato dalla Commissione europea, per cui buona parte della raccolta dati per molti Stati membri è antecedente alla messa in atto delle misure di contenimento più restrittive, ha registrato un crollo di 8,9 punti diffuso a consumatori e imprese. Il calo è stato particolarmente forte per i servizi e il commercio al dettaglio. A livello nazionale, l’indice ha registrato le diminuzioni più significative in Italia (-17,6) e Germania (-9,8), scendendo in misura minore in Francia (-4,9) e Spagna (-3,4).

L’Istat propone due scenari, il primo in cui la chiusura delle attività riguarderebbe solo i mesi di marzo e aprile; l’altro in cui la chiusura si estenderebbe fino a giugno:

  • nel primo caso la riduzione dei consumi sarebbe pari al 4,1% su base annua 
  • nel secondo la riduzione salirebbe al 9,9%. 

La riduzione dei consumi determinerebbe una contrazione del valore aggiunto dell’1,9% nel primo scenario e del 4,5% nel secondo.

Conseguenze per l’economia mondiale

La società di consulenza McKinsey ha pubblicato il 30 marzo “Covid-19: Implications for business” in cui prende in considerazione tre possibili scenari economici globali.

Recupero rapido

La diffusione del virus continua a crescere, data l’elevata trasmissibilità, ma alcuni paesi sono in grado di reagire tempestivamente come ha fatto la Cina. Questo scenario “ottimistico” presuppone che il virus sia stagionale e che i giovani riescano a cambiare alcune abitudini quotidiane per adottare atteggiamenti più responsabili. In caso di recupero rapido, la crescita del PIL globale per il 2020 scende dalle precedenti stime di circa il 2,5% a circa il 2%. 

Rallentamento globale

Il secondo scenario presuppone che la maggior parte dei paesi non sia in grado di ottenere un rapido controllo. Per gli Stati Uniti, lo scenario presuppone tra 10.000 e 500.000 casi totali, una certa diffusione in Africa, India e altre aree densamente popolate, ma la trasmissibilità del virus diminuisce con la primavera dell’emisfero settentrionale. Lo shock della domanda ridurrebbe della metà la crescita del PIL globale per il 2020, tra l’1 e l’1,5 per cento. Questo rallentamento avrebbe un impatto più acuto sulle piccole e medie imprese e sulle economie meno sviluppate.  

Pandemia e recessione

Lo scenario più pessimistico ipotizza che il virus non sia stagionale. La crescita dei casi continua durante il secondo e il terzo trimestre, travolgendo i sistemi sanitari in tutto il mondo e spingendo una ripresa della fiducia dei consumatori verso il terzo o oltre. Questo scenario si traduce in una recessione, con una crescita globale nel 2020 compresa tra -1,5 percento e 0,5 percento.

Segnaliamo infine un articolo del 7 aprile pubblicato su Repubblica.it secondo cui l'Organizzazione Internazionale del Lavoro (Oil) prevede che la pandemia ridurrà il numero di ore lavorate nel mondo del 6,7 per cento nel secondo trimestre, equivalenti a 195 milioni di lavoratori a tempo pieno. In alcuni settori sono circa 1,25 miliardi i lavoratori ad alto rischio per l'incremento "drastico e devastante" dei licenziamenti e delle riduzioni dei salari e dell'orario di lavoro.

Enrico Forzato

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