29 apr 2020 12:03 29 aprile 2020

Come la moda reagisce all’emergenza Covid-19

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La pandemia sta modificando la propensione all’acquisto e il rapporto tra i brand della moda e i consumatori. Si rafforzano alcuni valori e si impongono nuovi modelli di distribuzione. 

Come la moda reagisce all’emergenza Covid-19

Secondo l’ultima indagine annuale sul sistema moda Italia realizzata dall’Area Studi Mediobanca nel 2018 il giro d’affari totale è stato pari a 71,7 miliardi di euro, in crescita del 3,4% sul 2017. Sono italiani 14 dei 46 big europei del settore, che nel 2018 hanno fatturato complessivamente 251,5 miliardi di euro, in aumento del 6,3% sull’anno prima. Tra i comparti, l’abbigliamento determina il 42,6% dei ricavi aggregati, seguito dalla pelletteria (23,1%) e dall’occhialeria (15,6%).

Le più recenti stime di The Business of Fashion e McKinsey prevedono che “l’industria della moda globale (abbigliamento e calzature) subirà nel 2020 una contrazione del 27-30%, con la possibilità di tornare a una crescita compresa tra il 2% e il 4% nel 2021. Per i beni di lusso (moda, accessori, orologi, gioielli e beauty d’alta gamma) si stima una contrazione del 35-39%, con un possibile ritorno alla crescita tra l’1% e il 4% nel 2021”.

Web reputation

La reputazione aziendale diventerà sempre più importante e la comunicazione dovrà puntare alla concretezza per compensare le minori occasioni che avranno i consumatori di “toccare con mano” i prodotti.

Secondo un’indagine sulla web reputation dei marchi italiani della moda realizzato da Prometeia, 559 brand delle 173 aziende considerate vengono cercati su internet circa 300 milioni di volte al mese. I Paesi in cui il fashion italiano è più cercato online sono Germania e Stati Uniti, seguiti da Cina e Russia. È ancora parzialmente inespresso il potenziale del made in Italy in Australia, Brasile, India, Polonia, Canada e Messico, mercati in cui il volume di export è inferiore rispetto alla popolarità dei brand.

Il primo rapporto “Social Luxury Index” di Altagamma e Accenture ha preso in esame per un anno milioni di conversazioni spontanee inerenti al Luxury - Made in Italy sui canali social. Dall’analisi emerge che Fashion e Automotive sono protagonisti del 90% delle discussioni analizzate. La moda è l‘ambito che premia le contaminazioni trasversali, le discussioni online si alimentano e nutrono in occasione di eventi pubblici e partnership e si lasciano contagiare dalle tendenze musicali più attuali. I dati evidenziano notevoli  opportunità di crescita nei social market emergenti dell’Asia e del Pacifico. Russia e Cina rappresentano circa il 30% del mercato globale del lusso, sui canali social di queste aree geografiche sono presenti oltre 1 miliardo e mezzo di utenti, attivi su piattaforme locali come VK, WeChat e Sina Weibo.

Quale futuro per il sistema moda?

Secondo alcuni esperti i consumatori, al termine della pandemia, saranno meno attenti alle mode temporanee tipiche del “fast fashion” e verranno attratti da collezioni capaci di durare nel tempo grazie a capi comodi, funzionali  e rispettosi dell’ambiente.

La direttrice di Vogue Anna Wintour, in una recente intervistata rilasciata a Naomi Campbell, parlando del futuro della moda al tempo del coronavirus ha dichiarato: “Meno sfilate, meno lusso e sprechi, più attenzione a sostenibilità e creatività”.

L’impatto della pandemia sulle sfilate in programma in Italia è stato devastante: 

  • Milano Fashion Week ha fatto ricorso alle sfilate a porte chiuse e allo streaming
  • Pitti Uomo e Pitti Bimbo sono slittati da giugno a settembre
  • la settimana italiana dedicata alla moda maschile di Milano, in programma a giugno, è stata rimandata e verrà presentata a settembre insieme a quella femminile.

Anche le pre-collezioni che tradizionalmente si tenevano tra aprile e maggio quasi sempre in posti esotici (sfilate resort) verranno ridotte al minimo: alcuni propongono di presentarle insieme alle collezioni, altri di dedicarle esclusivamente ai buyer, o di ricorrere agli show room virtuali.

Commercio elettronico e style ambassador

Il sempre maggior ricorso al commercio elettronico pone problematiche nella gestione dei resi della merce acquistata online. Molti rivenditori di abbigliamento negli Stati Uniti hanno allungato i tempi di restituzione di 30 o 60 giorni dato che i clienti, a causa del lockdown, non si possono recare negli store o negli uffici postali. Il blocco rende più difficile la rivendita della merce restituita e più complesso il compito dei centri di distribuzione che si occupano dei resi alle prese con la riduzione dei dipendenti.

L’interazione online e offline e la multicanalità sono già realtà per molte aziende che stanno preparando un ulteriore salto di qualità per garantire ai distributori e ai clienti finali di scoprire le nuove proposte in modo virtuale sfruttando le tecniche 3D e gli ologrammi.

I negozi saranno più simili agli atelier e proporranno tecniche di vendita tipiche dei beni di lusso estremo. Il rapporto con i clienti sarà sempre più personalizzato: gli addetti alla forza vendita stanno diventando al contempo personal shopper e fashion stylist virtuali. Questo trend potrebbe ridurre l’importanza degli influencer: negli Stati Uniti circa il 30 per cento dei marchi di moda ha già cancellato gli accordi con gli influencer.

Come segnala un articolo di Repubblica.it la società cinese di cosmetici Lin Qingxuan ha chiuso il 40% dei suoi negozi durante l'epidemia e spostato i consulenti di bellezza online, trasformandoli in influencer. Le vendite sono aumentate del 200% rispetto all'anno precedente.

In Italia, Miroglio Fashion ha recentemente invitato le 2.500 addette alla vendita del gruppo a scegliere online 6 aspiranti style ambassador, 2 per ciascuna griffe (Motivi, Oltre e Fiorella Rubino). Obiettivo: trasportare l’esperienza delle commesse dallo store ai social network attraverso foto, tutorial, dirette Instagram, Tik Tok video e consigli personalizzati veicolati mediante i profili personali e quelli aziendali.

Enrico Forzato

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