10 maggio 2021

Trend costi di trasporto internazionali e materie prime

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Da qualche mese le aziende stanno affrontando, oltre alla pandemia, l’esplosione dei costi di trasporto internazionali, l’aumento dei costi delle materie prime e l’allungamento dei tempi di consegna.

Trend costi di trasporto internazionali e materie prime

Cosa sta succedendo? Quanto durerà questa situazione? Vediamo di fare il punto.

Per quanto riguarda la problematica dei costi delle materie prime e dei tempi di consegna allungati dovuti ai ritardi dei trasporti navali è utile analizzare i dati forniti dal “Baltic Dry Index” che indica l'andamento dei costi del trasporto marittimo e dei noli delle principali categorie delle navi cargo che trasportano materiale dry (quindi non liquido come petrolio, materiali chimici, ecc.) e bulk (sfuso), in particolare materie prime. Misura la correlazione tra l'offerta e la domanda di grandi navi da carico e la richiesta delle loro rotte commerciali.

L’indice dell’andamento dei noli marittimi, negli ultimi 3 anni, tranne il picco di metà 2019 non ha superato il valore 2.000. A partire da marzo 2021 ha subito una impennata che lo ha portato al valore di 3.000 (+50%) in cui si trova attualmente, eppure il rialzo dei prezzi dei container e dei noli risale a ben prima, verso settembre 2020.

Circa il 60% delle merci globali si sposta tramite container e il prezzo medio attuale della spedizione a livello globale, circa 4.600 dollari, è balzato a 8.000 dollari per la tratta Asia-Nord Europa e 8.900 dollari per Asia-Mediterraneo un anno fa eravamo sui 1.500 dollari di media.

Prezzo medio in US$ spedizione container

Cause

I dati del Baltic Dry Index evidenziano che il problema principale è l’irregolarità nell’andamento dei trasporti (caduta inizio 2019 - impennata metà 2019 - crollo fine 2019 e inizio 2020 - impennata metà 2020) creando un effetto “stop-and go” che ha portato a una alterazione dei flussi commerciali.

In pratica, le quantità di container e materie prime complessivamente movimentate, dal punto di vista della quantità, non sono sostanzialmente cambiate. Non c’è scarsità di prodotto, ma problemi di movimentazione L’impennata dell’export cinese compensa le quantità non esportate durante la pandemia. I tradizionali flussi commerciali dalla Cina verso l’estero erano alimentati da molti container pieni in uscita e pochi vuoti in entrata, ma con una velocità di rotazione che consentiva un ricambio in tempi congrui.

Flussi commerciali distorti nei mercati di consumo, che importano di più e esportano di meno del normale a causa della pandemia, hanno portato a un accumulo record di container al di fuori della Cina (per ogni 3 container in uscita dalla Cina, ne entra solo uno), creando una carenza che ha portato a una speculazione nel settore. Oggi, chi ha container vuoti se li fa pagare a prezzi elevati. Addirittura le navi con merce proveniente dalla Cina quando scaricano in Europa o USA poi tornano rapidamente vuote in Cina per un nuovo carico (mentre prima tornavano, facendo quanti più scali possibili, per caricare merce e ottimizzare i costi di ritorno). In pratica le aziende cinesi si accollano i costi di trasporto delle navi vuote, costi che poi “scaricano” sul cliente finale.

Le società di trasporto marittimo stanno cercando in tutti i modi di recuperare le perdite subite negli ultimi anni, in particolare durante la pandemia periodo in cui hanno fatto viaggiare le navi con poco carico per rispettare le consegne.

Gli armatori usano attualmente mezzi sempre più grandi (come la “Ever Given” incagliata recentemente nel Canale di Suez, 200mila tonnellate di peso e 400 metri di lunghezza) per ottimizzare i costi lasciando ferme le navi più piccole. Anche in questo caso, complessivamente la quantità di container movimentata è la stessa di prima, ma con meno navi disponibili si è ridotta la flessibilità del sistema di spedizione.

Anche il traffico aereo cargo si è molto ridotto, e considerando che le prime sei compagnie di trasporto navale mondiali (che rappresentano l’85% di tutto il traffico merci) si sono associate in tre consorzi, si capisce che non ci sono molte alternative dal punto di vista logistico a questa situazione, per il momento.

A breve termine la situazione è destinata, nella migliore delle ipotesi, a rimanere stabile. Ma l’impennata del 50% del “Baltic Dry Index” avvenuta negli ultimi 2 mesi significa che la carenza di navi e container è destinata a peggiorare almeno nel breve periodo. I flussi di merci probabilmente non si stabilizzeranno prima della fine dell’estate. Se la pandemia sarà tenuta sotto controllo e non ci saranno altri lockdown la situazione dovrebbe migliorare.

Questa complessa situazione, dovuta alla combinazione di flussi commerciali irregolari che hanno creato il collo di bottiglia e attività speculative, spingono molti grandi operatori commerciali internazionali ad acquistare solo quanto strettamente necessario, senza fare scorte, in attesa che tra qualche mese i prezzi calino. Ma si tratta sempre di una scommessa perché, se la speculazione dovesse perdurare, allora le aziende dovrebbero, già da adesso, rivedere la loro “supply-chain” e trovare fornitori in paesi più vicini dove si possa lavorare con altri mezzi di trasporto (gomma, treno).

Michele Lenoci

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