7 marzo 2023

Acquisire PMI all’estero: come gestire la governance

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Una Pmi italiana che decida di effettuare un’operazione di acquisizione in un paese estero tendenzialmente si indirizzerà, per motivi di natura dimensionale e di complessità organizzativa, verso aziende simili, spesso di matrice familiare e imprenditoriale.

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L’esperienza mostra come quasi sempre queste operazioni siano caratterizzate da una certa superficialità nella valutazione nel management locale esistente (inclusi i soci operativi), per la fretta di chiudere un accordo, o per la sua strategicità, o per il rischio che altri si inseriscano nelle trattativa.

Parlando di soci operativi nella società acquisita, è fondamentale capire sin dall’inizio quali hanno una valenza strategica in un’ottica di medio-lungo periodo. Ad esempio (da un caso reale) se l’acquisizione ha un intento eminentemente di natura produttiva, è probabile che un socio che si occupi soprattutto della parte commerciale possa essere ridondante.

Abbiamo già evidenziato il ruolo che un temporary manager locale può giocare nella fase di pre-acquisizione e di impostazione dell’intera trattativa.

Nella realtà questa “lungimiranza” trova poco spazio per cui spesso, e soprattutto nel caso di acquisizione di aziende piccole, l’acquirente decide di mantenere con ruoli operativi uno o più membri del gruppo familiare del controllo originario.

La motivazione principale che si dà è quella di garantire una transizione soft verso la nuova proprietà, dando tempo a persone che hanno magari un’anzianità aziendale elevata e un rapporto fiduciario e personale con la proprietà, di adattarsi a nuove logiche e a nuovi comportamenti.

Il problema, che tende a insinuarsi in maniera “strisciante” e quindi non immediatamente intercettabile, è che spesso gli elementi a favore appena citati non si manifestano: gli esponenti della vecchia proprietà continuano di fatto a gestire l’azienda come se fosse la loro, con una serie di ricadute decisamente poco gradevoli per il nuovo entrante.

Alcuni segnali

  • I vecchi proprietari continuano de facto a trattare l’azienda come se fosse ancora cosa loro
  • I dipendenti continuano per abitudine a riconoscere solo la vecchia proprietà, facendo quasi finta di non vedere i nuovi proprietari
  • i dipendenti trattano i nuovi entranti come “ospiti”, in maniera magari cortese e squisita, ma senza riconoscere il ruolo che compete loro
  • difficoltà prolungata ad avere dettagli economici e finanziari
  • “fronda” verso nuove indicazioni strategiche.

Una soluzione possibile?

Inserire un manager in ruoli di CEO/DG con i seguenti obiettivi:

  • spezzare la catena con la vecchia proprietà e la precedente gestione
  • mettere al contempo in sicurezza l’azienda, ovvero impedire che parti di attività possano essere sottratte e trattenere le risorse chiave che in caso di forzature eccessive potrebbero decidere di lasciare l’azienda
  • inglobare definitivamente l’azienda acquisita nell’ambito della controllante e dei suoi processi operativi.

Per una PMI il problema è individuare la risorsa da inviare in missione nel paese: quasi sempre un responsabile di funzione (spesso un CFO, talvolta anche un manager di Risorse Umane), che ha però il limite di potersi occupare in maniera frammentaria della nuova acquisizione. Anche in questo caso una soluzione per certi versi ottimale potrebbe essere quella del manager locale.

Nei grandi gruppi con un elevato grado di presenza internazionale, a volte succede che in alcuni paesi operi un management molto bravo, ma anche molto forte e indipendente, capace di portare per anni grandi risultati, ma poco penetrabile nei suoi meccanismi di gestione alle diverse aree funzionali di casa madre.

In altre parole, si può assistere alla crescita e allo sviluppo di potentati locali, in cui la loyalty del management, e quindi dei collaboratori, va al monarca locale e non al gruppo internazionale di appartenenza, visto quasi come un elemento di disturbo, come un “ospite di riguardo” nel caso di visite alla controllata, ma che poca visibilità ha sui processi interni e su quanto realmente accade.

Finché i risultati tengono, a livello di casa madre queste situazioni vengono spesso tollerate e accettate: in fin dei conti, perché andare a disturbare un business che va bene e che porta lustro e risultati alla controllante e suoi manager che gestiscono le attività internazionali?

Il problema nasce nel momento in cui i risultati iniziano a mancare: in questi frangenti non si riesce a capire cosa succede nel paese, proprio perché di quanto accade al suo interno poco si sa.

Sono questi i momenti che portano a decisioni ultrarapide: rimozione del management locale nell’arco di pochissimi giorni e sostituzione dello stesso con un temporary manager e/o una squadra di temporary manager che ha esattamente gli obiettivi sopra elencati nel caso di “rimozione” della vecchia proprietà.

Maurizio Quarta

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